Confindustria

Italia 2030, un Piano per un digitale scaccia-crisi: le aree su cui il Governo deve agire

Il digitale è un elemento centrale per la competitività del Paese, ma serve un Piano industriale che preveda una programmazione pluriennale e investimenti cospicui e mirati. Vediamo quali sono i driver del valore e perché è una partita in cui l’Italia non può competere da sola

Pubblicato il 21 Lug 2020

Alvise Biffi

consigliere della Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi

digitaL transformation

Il cambiamento tecnologico – concepito anche in ottica di trasformazione sostenibile del Paese – è un elemento di competitività per l’Italia, perciò bisogna portare il digitale ovunque, a cominciare dalle infrastrutture fisiche e da quelle “immateriali” come Scuola, Sanità e Giustizia.

È infatti difficile immaginare un qualsivoglia tentativo di semplificazione e potenziamento di queste senza l’utilizzo delle tecnologie digitali.

Oltre agli investimenti in infrastrutture, come si ripete ormai da anni, bisogna però promuovere al tempo stesso le competenze digitali nelle aziende, in tutti i livelli di istruzione e nella Pubblica Amministrazione perché il fattore umano dovrà essere centrale anche nella gestione sia della fase di transizione sia nel dopo.

Un cambio di passo nel processo di digitalizzazione del Paese è uno degli elementi centrali di Italia 2030, la premessa al piano strategico 2030-2050 che Confindustria presenterà a settembre 2020 a tutte le forze vive della società italiana per definire il quadro necessario a orientare l’intero paese verso la crescita del lavoro, del reddito, della produttività e dell’innovazione.

Le aree su cui agire

Come primo punto per il rilancio, occorre riconoscere tutti gli elementi che stanno ostacolando la crescita italiana, perché solo metabolizzando i problemi e gli errori commessi negli ultimi 25 anni da istituzioni e parti sociali saremo in grado di abbracciare soluzioni efficaci per la trasformazione necessaria alla ripartenza.

Per contrastare l’invecchiamento della popolazione, aumentare la produttività, rendere sostenibile il debito pubblico, ridurre le disuguaglianze e gli squilibri nella distribuzione del reddito e nelle dinamiche territoriali con anche una particolare attenzione all’impatto ambientale, è necessario che le politiche economiche e sociali italiane incidano prioritariamente su tre aree:

  • Educazione e formazione: diritto fondamentale su cui la pandemia ha fatto nuovamente emergere differenze territoriali e di capacità di investimento con impatti sostanziali sulle opportunità di crescita culturale indispensabili per ridurre le disuguaglianze e per non impoverire la nostra capacità di esprimere “genio e impresa” diffusamente su tutto il territorio, come facciamo dal rinascimento;
  • Innovazione e digitalizzazione: investimenti pubblici e privati per recuperare il ritardo del nostro sistema produttivo sono improcrastinabili;
  • Welfare: la piramide dei bisogni e i valori connessi sono stati nel tempo distorti dagli impatti socioeconomici delle innovazioni, occorre rafforzare le relazioni sociali e gli strumenti oggi disponibili per nuovi modelli organizzativi che consentano un ribilanciamento della centralità della persona inserita in un equilibrio ambientale per vincere la sfida dello sviluppo sostenibile;

Non potendo entrare nel merito di tutti gli argomenti presentati, per esigenza di sintesi sorvolerò i nuovi assetti macroeconomici proposti, le politiche monetarie e fiscali, il quadro demografico, l’assetto politico-istituzionale e della pubblica amministrazione come fattori dello sviluppo (che vi consiglio di approfondire leggendo Italia 2030) per concentrarmi sui processi di innovazione tecnologico-organizzativa che sono il pilastro portante nel piano di rilancio.

I tre driver del valore della digitalizzazione

La digitalizzazione è mossa da tre driver del valore:

  • la moltiplicazione degli standard;
  • l’accesso alla personalizzazione dei prodotti, dei servizi e delle conoscenze;
  • l’esplorazione creativa della complessità.

È una partita in cui l’Italia non può competere da sola e dove l’Unione europea è oggi in “recupero” per non perdere il confronto con Usa e Cina.

La flessibilità dell’apparato produttivo italiano è la nostra opportunità per fluidificare il rapporto tra il sistema della ricerca, le applicazioni industriali e la formazione di centri di eccellenza affinché siano perno centrale nel coordinamento tra i diversi paesi europei.

Il ruolo dei Digital Innovation Hub

A livello operativo è quindi fondamentale eliminare il digital divide partendo dai distretti industriali. Una volta ridotto il gap territoriale si dovrà puntare, attraverso progetti concreti, allo sviluppo delle nuove tecnologie abilitanti come l’accesso diffuso alla banda larga con il 5G o infrastrutture analoghe, Internet delle cose, valorizzazione dei Big data, Intelligenza artificiale e cybersecurity, stando attenti a non lasciare indietro nessuno perché è una partita che si può vincere solo con una squadra ampia.

Secondo questa visione tutto il sistema Confindustria sta lavorando ormai da anni, sia a livello culturale che a livello progettuale, attraverso i Digital Innovation Hub, a questi obiettivi. Questo perché con il Piano Industria 4.0 erano state poste le basi di un percorso, condiviso e seguito con convinzione dalle imprese, per aumentare la competitività non solo delle imprese ma del Paese intero.

Quello spirito poi si è andato perdendo per strada, anche a causa dell’instabilità e dei diversi cambiamenti alla guida del MISE, ma il lavoro fatto sui Digital Innovation Hub ha portato risultati straordinari.

In Lombardia, ad esempio, tantissime piccole e medie imprese che rappresento si sono rivolte al DIH Lombardia per sottoporsi ad un assessment finalizzato a comprendere il grado di maturità digitale dei processi produttivi, per poi andare a implementare interventi e azioni mirate per aumentare la competitività dell’impresa. Per fare questo è di fondamentale importanza l’accordo stipulato tra la rete dei DIH di Confindustria ed i Competence Center.  Sempre il Digital Innovation Hub Lombardia ha avviato di recente un progetto dedicato alla supply chain che vede il digitale come fattore per governare la ‘nuova normalità’.

L’obiettivo è dare risposte alle imprese in merito alle criticità individuate lungo la catena di fornitura da una parte e la domanda del mercato dall’altra, per fornire un percorso di miglioramento attraverso l’individuazione dei punti di debolezza e delle competenze necessarie per migliorare. Il DIH Lombardia, in collaborazione con le antenne territoriali e al Competence Center Made, propone alle imprese un percorso di ‘Industrial Smart Working’ per remotizzare non solo alcune attività d’ufficio ma anche determinati processi di fabbrica, andando così a limitare i danni che eventuali interruzioni della produzione, approvvigionamento e distribuzione potrebbero avere sull’intera filiera. Il DIH Lombardia è ora proiettato, con altri attori dell’ecosistema dell’innovazione digitale lombardo, verso l’Europa che andrà a sostenere anche con il supporto delle Regioni, una rete europea di Digital Innovation Hub (EDIH) all’interno del programma europeo “Digital Europe”.

Conclusioni

Ben vengano quindi i propositi – se seguiti poi da azioni concrete – del Ministro Pisano di inserire nel Dl Semplificazioni il ‘diritto a innovare’ in deroga, l’introduzione di un cloud nazionale e la volontà di digitalizzare la PA. Il punto centrale però, come dimostra anche l’esperienza di successo su Industria 4.0, è sempre lo stesso: serve un Piano industriale che preveda una programmazione pluriennale e investimenti cospicui e mirati.

Solo accelerando ed incentivando gli investimenti è possibile recuperare il terreno perduto rispetto ai competitor europei ed extra europei, e mettere le basi per una crescita stabile. Le imprese hanno dato prova di saper e voler fare la propria parte di fronte a progetti seri e credibili e Confindustria ha ancora una volta presentato e messo a disposizione “una strada” con spirito propositivo e di servizio, ma la via può essere tracciata solo dalla governance politica, che deve avere il coraggio di prendersi la responsabilità di decidere.

Gli interventi a pioggia che hanno caratterizzato gli ultimi mesi di governo sono palliativi che scontentano molti senza accontentare appieno nessuno, e soprattutto condannano l’Italia all’immobilismo e di conseguenza ad un autunno tragico per la nostra economia. L’iceberg si avvicina…cambiamo velocemente rotta!

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