legge di bilancio 2020

Transizione 4.0: ecco le misure che mancano per una vera svolta

La perdita di centralità del tema digitale, la rimodulazione al ribasso e la dispersione dell’investimento rappresentano un limite non trascurabile del quadro di misure a sostegno della trasformazione digitale delle imprese “Transizione 4.0”: servono dei correttivi per un vera discontinuità. Vediamo quali

Pubblicato il 15 Gen 2020

Andrea Bacchetti

Osservatorio Smart AgriFood del Politecnico di Milano e dell’Università degli Studi di Brescia

Giovanni Miragliotta

Direttore dell’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano

Marco Perona

Professore Ordinario, Direttore Scientifico Laboratorio RISE, Università di Brescia

Nicola Saccani

Professore Associato, Laboratorio RISE, Università di Brescia

industry-4.0

Con la pubblicazione della legge di Bilancio 2020 è divenuto definitivo il quadro di misure a sostegno della trasformazione digitale delle imprese (rinominato “Transizione 4.0”).

L’impianto della nuova disciplina ruota attorno alla sostituzione delle precedenti misure con un unico schema di incentivo legato al credito di imposta, modulato ed esteso a coprire varie attività di innovazione, ciascuna con le proprie aliquote e soglie (il testo esteso può essere consultato qui, una breve esegesi può essere consultata qui). Ci sembra importante fare qualche considerazione nel merito del provvedimento.

Transizione 4.0: i pregi

Certamente, questo nuovo impianto ha diversi pregi: il primo è quello di razionalizzare il precedente quadro di misure (beni strumentali, beni materiali 4.0, beni immateriali 4.0, Innovazione e ricerca, formazione) articolato attorno a forme e discipline diverse, introducendo un unico schema incentivante, appunto quello del credito di imposta: questo può portare a una semplificazione amministrativa che, come tale, è da considerarsi positiva.

Positiva anche la scelta del credito di imposta (una misura accessibile anche a start-up e giovani imprese), che il beneficio sia stato esteso adesso ai beni immateriali (software) in modo incondizionato rispetto all’acquisto di un bene strumentale 4.0, la rimozione di alcune condizioni per l’accesso al credito su formazione, l’inclusione di imprese anche non in regime fiscale ordinario (e quindi ad esempio di tutto il comparto agrifood) e, infine, il mantenimento di un incentivo anche per l’acquisto di beni strumentali non 4.0 (il vecchio super-ammortamento). Il quadro complessivo delle misure manifesta dunque la chiara volontà di ampliare ulteriormente lo spettro dei soggetti beneficiari e degli interventi incentivati, a sostegno della competitività delle imprese italiane.

Particolarmente importante è anche l’adozione di un orizzonte pluriennale (triennio 2020-2022), esplicitamente menzionato dalla norma; questa condizione, invero necessaria, dovrebbe porre rimedio ad un importante limite del precedente quadro normativo che, nei fatti, di anno in anno allo scoccare della fatidica ora della discussione della Legge di Bilancio, vedeva riaprirsi il dibattito su quali incentivi prolungare e quali no, ed in che forma.

Sulla scorta di precedenti e non sempre positive esperienze, è lecito nutrire ancora qualche dubbio circa l’effettivo mantenimento nel tempo di tale impegno visto che, tolta la declaratoria iniziale, il testo poi si riferisce sempre e solo ad interventi / impegni di spesa relativi all’esercizio 2020. Tuttavia, un orizzonte (almeno) triennale sarebbe di grande aiuto a tutte le imprese che, dovendo affrontare un intervento complesso e di ampio respiro come la trasformazione digitale, potrebbero quantomeno contare sulla stabilità del quadro normativo, senza brusche accelerazioni o frenate indotte dalla materia fiscale.

Gli elementi trascurati dal Piano

Accanto a queste note positive, vi sono però alcuni elementi che avremmo voluto fossero diversamente affrontati, in questa nuova versione, e che un poco diluiscono l’ottimismo del giudizio.

In primo luogo, leggendo il testo, il tema specifico dell’industria 4.0 appare quasi stemperato, circondato da altre misure di incentivo, quali quelle sull’innovazione di design e di ideazione estetica (limitatamente ad alcuni comparti); leggendo la norma, che si parli di trasformazione 4.0 si desume solo nelle aliquote più elevate concesse in termini di credito, e molto meno nell’impianto complessivo del dispositivo. Sarebbe stato importante ricordare che la trasformazione digitale dei processi operativi è il vero cuore del cambiamento su cui le imprese devono sintonizzarsi: uno dei pregi della prima versione del piano fu proprio la capacità di attirare l’attenzione anche nelle imprese più “distratte”, parlando in modo netto di digitalizzazione dei macchinari, della loro connessione, dell’acquisto di SW e applicazioni in congiunzione ad investimenti su macchinari connessi.

Oltre a ciò, senza affrontare la tecnicalità della differenza tra disciplina dell’iper-ammortamento e del credito di imposta, le nuove aliquote nel complesso rimodulano un poco al ribasso i benefici concessi, e ciò è comprensibile dal momento che viene esplicitamente dichiarato come obiettivo del nuovo programma di impattare su un numero maggiore di imprese, a pari budget di spesa. Questa rimodulazione, tuttavia avviene proprio nel momento in cui le imprese, concluso il primo ciclo di investimenti che ha portato a sperimentare e inquadrare le possibili applicazioni, devono mettere a budget il grosso della spesa, ovvero quella con cui dovranno uscire dalla fase dei Proof of Concept/progetti pilota, ed estendere la trasformazione digitale a tutti i processi. Per quanto infatti la prima fase possa aver prodotto una chiara comprensione delle applicazioni utili e dei ritorni attesi, la messa a terra complessiva del cambiamento richiederà investimenti ben maggiori, con ritorni non necessariamente immediati. Alzare il piede dall’acceleratore adesso, a nostro avviso, è veramente controproducente, e rischia di spingere le imprese italiane nel cosiddetto “pilot purgatory”.

Ulteriormente, sempre in virtù dell’obiettivo dichiarato di maggiore inclusività dell’azione incentivante, la nuova norma pone dei limiti superiori all’investimento ammissibile, per ciascuna tipologia di azione, ridotti rispetto alla disposizione precedente (ad esempio, per i beni 4.0, Allegato A, la soglia massima viene abbassata da 20 a 10 milioni di euro). Questa scelta finirà con il penalizzare proprio le imprese più grandi (o più coraggiose), perseverando con lo storico errore strategico italiano di voler credere a tutti i costi che “piccolo è bello”, favorendo numerose ma poco incisive azioni (verticali, non necessariamente di filiera) in un mondo che, invece, continua a premiare le grandi imprese che raggiungono posizioni di eccellenza / forza, anche e soprattutto su scala internazionale.

Questi tre elementi: la perdita di centralità del tema digitale, la rimodulazione al ribasso e la dispersione dell’investimento rappresentano, a nostro giudizio, un limite non trascurabile della nuova norma.

Cosa serve adesso

Un incremento delle risorse disponibili sarebbe stato il vero segnale di discontinuità, ben sincronizzato con il tipo di sostegno pubblico richiesto in questa fase storica che, come emerge dalle numerose ricerche ormai disponibili, richiede adesso una forte spinta sull’uscita dalla fase pilota, favorendo (anche tramite grandi investimenti) la formazione di eccellenze nazionali, ed accettando il fatto che le piccole imprese saranno assai spesso trainate dai loro clienti e dalle loro filiere più che non da una spontanea e autonoma capacità innovativa.

Ammesso invece di considerare inamovibile il vincolo di spesa, allora a parziale compensazione sarebbe stato utile prevedere che le imprese (specie le medie e le grandi) potessero comunque presentare richiesta per la totalità dei loro investimenti e che, nel caso in cui non tutte le risorse stanziate fossero state consumate (come ad esempio accaduto negli anni scorsi per il budget formazione), le quote eccedenti potessero essere re-indirizzate verso le azioni eccedenti le soglie stabilite in prima battuta.

Con questi correttivi, confidando nella promessa stabilità del quadro di investimenti, e magari con qualche risorsa in più nel nuovo anno, il nuovo piano si potrebbe rivelare uno strumento davvero utile e completo per supportare le nostre imprese nella difficile trasformazione che hanno intrapreso, o che le attende.

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