Agenda 2013

Agenda, il circolo vizioso della volontà politica

Bisognerà che i leader dei partiti ci credano davvero: per superare le enormi resistenze che si oppongono al cambiamento nella Pa, per avviare nuove logiche di formazione, per risolvere le macro questioni della rete. A un convegno del Politecnico di Milano c’erano promettenti candidati, ma basteranno?

Pubblicato il 21 Feb 2013

Umberto Bertelè

professore emerito di Strategia e chairman degli Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano

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I politici esperti di digitale promettono bene e se saranno loro ad avere potere, nel prossimo governo, siamo a cavallo, con l’Agenda. Ma i loro capi avranno uguali priorità? Il problema è che finora è la volontà politica ad essere mancata in Italia, per passare al digitale, per assenza di una coscienza diffusa su questi temi. Un circolo vizioso micidiale che ora proveremo a spezzare.

Sono queste, in sintesi, le riflessioni a margine dell’incontro-confronto “Qual è la vera agenda digitale di partiti e coalizioni?”, che abbiamo organizzato venerdì 15 febbraio come Politecnico di Milano con la partecipazione degli esponenti dei sei principali schieramenti politici in gara nelle prossime elezioni.

Il messaggio del Politecnico. “Per rilanciare competitività e occupazione è indispensabile cavalcare le nuove tecnologie”: è la premessa alle domande poste ai politici, che nasce dalla convinzione che – al di là di una serie di interventi congiunturali indispensabili per uscire dall’emergenza – il vero problema della nostra economia, e allo stesso tempo della nostra società, sia quello di rimetterci in riga con le trasformazioni già avvenute o in atto nel mondo. La lista delle cose da fare è sulla carta largamente condivisa: va in primo luogo snellita e resa più efficiente la Pubblica Amministrazione, con vantaggi in termini sia di costi sia di minori ceppi posti alle iniziative private; va resa molto più veloce la giustizia civile, allineandone le performance agli standard europei; vanno rimossi gli ostacoli alla concorrenza presenti in diversi comparti dell’economia ed eliminate rendite di posizione e sussidi impropri; va promossa l’innovazione tecnologica e organizzativa soprattutto nelle imprese di dimensioni minori, che continuano a rappresentare la componente quantitativamente più rilevante del sistema delle imprese stesse; va promossa, ed è un punto determinante se si vuole curare quel cancro che è la disoccupazione giovanile e controbilanciare la moria di imprese in atto, la nascita di nuove imprese, prendendo atto che i meccanismi che la favorivano nel passato sono in larga misura fuori uso e che è necessario metterne a punto (anche con l’aiuto pubblico in una prima fase) di nuovi.

Le nuove tecnologie, è la banale constatazione del Politecnico, possono avere un ruolo molto forte per tutti i punti citati, e per molti altri: purchè accompagnate da profonde ristrutturazioni, in particolare negli assetti della Pubblica Amministrazione, e da adeguamenti nelle regole del gioco. Gli effetti, come mostrano le esperienze di paesi quali la Germania che hanno già affrontato questi processi di aggiustamento, non sarebbero immediati (una parte significativa dei grandi vantaggi stimati dall’Osservatorio Agenda Digitale in termini di spesa pubblica e risparmi delle imprese deriverebbe ad esempio da una riduzione degli organici), ma proprio per questo è indispensabile che si cominci a operare subito.

La grande rilevanza del tema – è però quanto emerge dall’Osservatorio Politico – non trova adeguato riscontro nel dibattito in rete e sui media e negli interventi dei leader. C’è infinitamente più attenzione sul tema di come ripartire i costi della crisi attraverso i meccanismi fiscali, che non su quello di come ridurre gli oneri fiscali complessivi creando – attraverso le misure viste – nuova ricchezza. Il paese appare rassegnato, nel momento in cui dovrebbe invece reagire con vigore alla crisi: un segnale pericolosissimo, in contrasto con la prontezza di reazione manifestata in altri momenti di grande difficoltà del dopoguerra.

Gli interventi dei politici. Gli esponenti dei partiti e delle coalizioni che hanno partecipato al dibattito sono accumunati dal fatto di essere gli esperti di agenda digitale dei rispettivi schieramenti: persone tutte con conoscenza delle tematiche in discussione, anche se con livelli di esperienza concreta diversa a seconda della presenza o meno (come parlamentari o esperti) nei dibattiti della legislatura in fase di chiusura; persone tutte che, nei loro rispettivi ambiti, sono strutturalmente interessate al successo di almeno alcune delle linee di azione proposte dall’agenda digitale.

È forse per questo che non ho riscontrato posizioni molto divergenti, se non per la sensibilità più o meno elevata verso taluni obiettivi rispetto ad altri. Un esempio: la maggior enfasi attribuita da uno degli schieramenti ai vantaggi, in termini di trasparenza sull’operato dei politici e della PA, conseguibili attraverso la digitalizzazione; a fronte della maggiore attenzione sulle ricadute economiche di altri schieramenti.

L’idea comunque con cui sono uscito dall’incontro può essere così sintetizzata: se fossero queste le persone al potere nella prossima legislatura, a prescindere per certi versi dagli schieramenti di appartenenza, l’agenda digitale potrebbe fare un grosso passo avanti.

Ma, ed è il mio commento finale, mi sono anche chiesto: fermi restando la stima e il ringraziamento per gli esperti dei diversi schieramenti intervenuti, non era invece ai loro capi che dovevano essere poste le stesse domande? Il perché è ovvio, e si ricollega alle grandi difficoltà che anche il governo tecnico ha incontrato nel cercare di portare avanti aspetti come quelli della semplificazioni e delle start-up: non sono le competenze specialistiche la risorsa scarsa, ma la volontà politica.

Occorre una forte volontà politica per fronteggiare le enormi resistenze che si oppongono al cambiamento, per tutto ciò che concerne la PA, a prescindere dal colore del governo in carica; per superare le resistenze (anch’esse fortissime) di chi attinge alle casse dello stato per impieghi (usando un eufemismo) non particolarmente produttivi e reperire così quelle risorse – nemmeno tante – che potrebbero aiutare le imprese a mantenersi al passo con la concorrenza internazionale e favorire la crescita di nuove, e con esse l’occupazione giovanile; per trovare soluzioni equilibrate a problemi, come quello della proprietà di Telecom Italia della rete fissa, che rappresentano un ostacolo non indifferente all’infrastrutturazione hard del nostro paese; per avviare la sperimentazione di nuove logiche di formazione che sfruttino al meglio le potenzialità delle nuove tecnologie e dei nuovi strumenti, invece che metterli al bando e cercare di farne dimenticare l’esistenza. E la volontà politica – soprattutto per le operazioni che richiedono una tensione prolungata nel tempo per il conseguimento dei risultati – risente molto delle spinte provenienti dalla società: spinte al momento purtroppo molto deboli, come detto in precedenza, per l’assenza di una coscienza diffusa della rilevanza di questi temi, spesso confinati come tecnici. Un circolo vizioso che dovremo in tutti i modi cercare di rompere.

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