il quadro

Ci sono 11,5 miliardi di euro per fare l’Agenda, ma non abbiamo imparato a spenderli

Ecco tutto quello che bisogna sapere sulle risorse economiche disponibili al 2020. Le risorse sono sufficienti. Senza adeguate competenze e strumenti finanziari si rischia però di non usarle al meglio o, peggio, di non usarle affatto. Il primo passo concreto per attuare l’Agenda Digitale è nella direzione di un coinvolgimento attivo della comunità finanziaria

Pubblicato il 18 Dic 2015

Luca Gastaldi

Direttore dell'Osservatorio Agenda Digitale e dell’Osservatorio Digital Identity del Politecnico di Milano

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Una delle più grandi lacune conoscitive in merito all’Agenda Digitale riguarda l’ammontare delle risorse per finanziarne l’attuazione. Su quanto possiamo fare affidamento? Rispondere non è banale perché la progressiva compressione delle risorse allocate dallo Stato agli enti locali ha orientato questi ultimi a fare sempre più affidamento sui fondi comunitari. Il vantaggio delle risorse europee per i potenziali beneficiari è che poggiano su un solido impianto programmatorio pluriennale e che godono di una definizione finanziaria quantitativamente certa. Tuttavia occorre orientarsi tra più di un centinaio di Programmi e – anche dove si sia identificata la misura potenzialmente fruibile – saper candidare progetti credibili, innovativi e che realizzino collaborazioni pubblico–pubblico e pubblico–privato.

L’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano ha censito le risorse messe a disposizione dalla Comunità europea dal 2014 al 2020 e fatto stime prudenziali sulle dotazioni che possono essere considerate impiegabili per l’attuazione dell’Agenda Digitale italiana. Complessivamente possiamo contare su 11,5 mld euro dal 2014 al 2020, pari a circa 1,65 mld euro l’anno. Tali risorse sono allocate su due diverse tipologie di fondi:

  • Fondi strutturali: gestiti dagli stati membri che, sulla base di Programmi Operativi (PO) e attraverso le loro amministrazioni centrali e locali, ne dispongono l’assegnazione ai beneficiari finali. L’analisi di tutti i codici di investimento dei 74 PO Nazionali (PON) e Regionali (POR) dell’Italia (60 dei quali sono già stati approvati dalla Commissione europea) ci ha consentito di stimare 1,27 mld € l’anno come disponibili per attuare le politiche nazionali di digitalizzazione.

  • Fondi a gestione diretta: gestiti direttamente dalla Commissione europea e assegnati agli utilizzatori finali previa partecipazione a bandi (come ad esempio quelli di Horizon 2020). Nella programmazione 2014–2020 i fondi disponibili per tutti i Paesi europei sono pari a circa 82 mld €, di cui è ragionevole pensare che l’Italia riesca a catturarne circa 7 mld € (l’8,5% del totale). Il 38% di questi fondi è stato verificato essere destinabile all’attuazione dell’Agenda Digitale, per un totale all’anno di circa 0,38 mld €.

I fondi europei strutturali e a gestione diretta potrebbero essere sufficienti a coprire le necessità di spesa pubblica in innovazione digitale che sono specificate nei due piani strategici redatti dall’AgID. Infatti:

  • nella Strategia italiana per la banda ultralarga sono previsti 6 mld € di investimenti per la PA, a cui abbinare un cofinanziamento privato dipendente dalla propensione delle imprese di telecomunicazioni a investire in zone che attualmente presentano una bassa richiesta di connettività;

  • nella Strategia per la crescita digitale 2014–2020 il fabbisogno previsto è quantificato in 4,6 mld €, di cui 1,5 già stanziati e 3,1 da recuperare su risorse nazionali o fondi strutturali.

Complessivamente stiamo parlando di investimenti pubblici pari a 10,6 mld euro dal 2014 al 2020 (corrispondenti a 1,51 mld € l’anno). Se la determinazione delle risorse disponibili sembra complessivamente adeguata nella sua dimensione quantitativa va però precisato che:

  • i piani strategici dell’AgID non esauriscono gli interventi da effettuare per una completa attuazione dell’Agenda Digitale italiana ma rappresentano una serie di fattori abilitanti atti ad accelerare i processi di digitalizzazione in ambito privato e a livello locale; ricordiamoci che l’Agenda Digitale è molto di più della digitalizzazione della PA del nostro Paese;

  • anche con riferimento a quest’ultima, non è sufficiente che la dimensione complessiva degli investimenti da coprire corrisponda alla disponibilità di risorse finanziariamente acquisibili; è infatti necessario che i vincoli allocativi di tutti gli interventi che caratterizzano i fondi siano compatibili con i requisiti di tutte le tipologie d’investimento dell’Agenda Digitale; le risorse dei diversi strumenti d’intervento siano impiegabili nei tempi e nei modi previsti dagli investimenti dell’Agenda Digitale;

  • le stime effettuate a valere sui fondi strutturali ipotizzano l’impiego di risorse previste per altri Obiettivi Tematici rispetto all’OT2, esclusivamente dedicato all’attuazione dell’Agenda Digitale; in altre parole, per disporre della quota del budget complessivamente censito è necessario competere con altri operatori e settori per catturare risorse da destinare all’attuazione dell’Agenda Digitale;
  • la gran parte delle risorse relative ai fondi a gestione diretta sarà gestita dai privati ed è stato ipotizzato che i beneficiari finali italiani mantengano invariato il tasso di accoglimento delle loro proposte per tutto il settennio 2014–2020 anche se la competizione per ottenerle sta crescendo inesorabilmente;
  • anche per i fondi a gestione diretta è necessario candidare proposte che non si limitino a colmare gap di digitalizzazione, ma che realizzino obiettivi di attuazione dell’Agenda Digitale soddisfando altre priorità politiche. A questo si aggiunge la necessità di inquadrare problemi locali in iniziative e priorità che si abbinino a temi e collaborazione d’interesse internazionale.

Al di la dei numeri, emerge sempre più la necessità – sia a livello pubblico che a livello privato – di sviluppare competenze avanzate di ingegneria finanziaria per passare da una logica di finanziamento mono-risorsa, mono-erogatore e mono-prodotto (che ha caratterizzato gli scorsi anni) a una logica “blended funding”, che possa abbinare più prodotti, attingere a molteplici risorse (spesso europee) e che sappia valorizzare la collaborazione tra PA e privati oltre che al ruolo chiave della comunità finanziaria. E qui cominciano i veri problemi perché:

  • la PA e le imprese italiane collaborano ancora troppo poco nell’attuazione dell’Agenda Digitale, sia nella fase di raccolta delle risorse che in un loro efficace impiego. È sufficiente pensare alle forme più innovative di procurement pubblico già contemplate nell’attuale ordinamento giuridico. È sintomatico che, delle 6.765 procedure di dialogo competitivo attivate dal 2012 ad oggi in tutta Europa, oltre il 65% sia stata effettuata in Francia e Regno Unito, mentre l’Italia ha attivato 84 procedure di cui solo 5 avevano come oggetto soluzioni relative all’attuazione dell’Agenda Digitale;
  • Nonostante la rilevanza degli investimenti per attuare l’Agenda Digitale non si registra in ambito finanziario l’evolvere di nuova strumentazione che colga la specificità di questi interventi e ne sappia soddisfare le esigenze come invece è avvenuto per altri segmenti (si pensi solo a titolo esemplificativo ai settori immobiliare, energetico, ambientale e del welfare).

Le risorse per sostenere la trasformazione digitale del nostro Paese ci sono. Senza adeguate competenze e strumenti finanziari si rischia però di non usarle al meglio o, peggio, di non usarle affatto. Il primo passo concreto per attuare l’Agenda Digitale è nella direzione di un coinvolgimento attivo della comunità finanziaria.

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