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AI Search e SEO: come aumentare conversioni anche con meno traffico



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L’ascesa di AI Search e dei grandi modelli linguistici riduce il traffico organico ma ne aumenta la qualità. Il focus si sposta su dati, CRO e analytics per monetizzare ogni visita e progettare esperienze che trasformano le query in lead e revenue concrete

Pubblicato il 2 dic 2025

Matteo Zambon

Fondatore di Tag Manager Italia



seo-aio (1) AI Search e SEO

Negli ultimi mesi stiamo assistendo a un cambio di paradigma profondo nel modo in cui le persone cercano e interagiscono con i contenuti online.

In particolare, l’avvento dei sistemi di AI Search e degli LLM (Large Language Model) sta ridefinendo non solo la visibilità dei contenuti, ma sta generando un impatto profondo sui costi e sulle performance dei funnel di marketing.

Le ricerche online sono diventate sempre più articolate e conversazionali, le risposte dirette offerte dalle AI nei motori di ricerca si moltiplicano e cresce il fenomeno del zero-click search: gli utenti ottengono le risposte che cercano senza visitare un sito web.

Tutto questo impatta sulla quantità di visite, sui tassi di click e – inevitabilmente – sulla capacità dei brand di generare conversioni.

In questo contesto, il nuovo obiettivo non è più soltanto “farsi trovare” sui motori di ricerca, ma riuscire a ottimizzare le performance di conversione grazie alla raccolta e all’analisi di dati di qualità.

AI Search e nuovi comportamenti di ricerca

Con l’introduzione di strumenti come AI Overview di Google e Bing Copilot, le SERP non sono più una lista di link, ma sono diventate uno spazio informativo in cui l’AI elabora e sintetizza contenuti per rispondere direttamente alle domande degli utenti.

Questo fenomeno ha portato a un drastico calo del traffico generato da intenti di ricerca “informazionali” (ad esempio, “migliori tende da campeggio per trekking”), poiché molte ricerche vengono soddisfatte direttamente nella SERP, senza la necessità di cliccare sui risultati.

Tuttavia, se da un lato è evidente una diffusa e progressiva diminuzione del traffico generato dai motori di ricerca, dall’altro lato la qualità media del traffico organico è in aumento.

In altre parole, gli utenti che arrivano sul sito dopo aver cliccato su un risultato di ricerca hanno un interesse più alto nei confronti del contenuto, abbandonano con meno frequenza la pagina visitata e hanno una maggiore propensione a effettuare un’azione di conversione (scaricare una risorsa gratuita, richiedere un preventivo, etc.).

Per queste ragioni, oggi progettare una strategia SEO profittevole non significa solo preparare contenuti in grado di essere menzionati nelle chat LLM o sui motori di ricerca.

Significa soprattutto progettare in modo data-driven un’esperienza di navigazione che risponda in modo efficace all’intento informativo e commerciale dell’utente, ottimizzando di conseguenza il conversion rate.

Facciamo un esempio concreto.

Immaginiamo il caso di una guida o un tutorial ben posizionato su una query informativa.

Dopo circa 30 secondi dall’ingresso dell’utente, compare un pop-up che propone il download di una checklist pratica, strettamente legata al tema della guida.

Tuttavia, il pop-up non è ottimizzato per i dispositivi mobile: il testo non è completamente visibile e il pulsante di call to action (CTA) — che dovrebbe invitare a lasciare la mail per ottenere la checklist — risulta tagliato o nascosto.

L’utente abbandona la pagina senza convertire, vanificando così una concreta opportunità di acquisizione lead in target.

Al contrario, un contenuto ben allineato con l’intento di ricerca dell’utente e progettato per offrire un’esperienza fluida anche da mobile — con CTA pertinenti, percorsi di lettura chiari e possibilità di approfondimento progressivo — può aumentare sensibilmente il tasso di conversione, anche in scenari di traffico organico più contenuto.

Perché i dati e la CRO sono indispensabili per campagne SEO efficaci

Per questo motivo in un contesto dove è sempre più difficile ottenere visibilità organica, saper convertire con maggior efficacia il traffico generato diventa fondamentale per il business.

In particolare, è quindi indispensabile saper analizzare in modo accurato i dati comportamentali per individuare i punti deboli del funnel e gli ostacoli che impediscono agli utenti di completare l’azione di conversione richiesta.

In questo scenario le tecniche e gli strumenti di CRO (Conversion Rate Optimization) giocano un ruolo da protagonista come leva strategica per monetizzare ogni singola visita, rispondendo a domande cruciali come: da quale canale organico proviene il mio pubblico (ChatGPT, Gemini, Google, etc.)? Cosa fanno gli utenti una volta atterrati? Dove si interrompe più spesso il loro percorso? Quali elementi visivi o testuali aiutano – o ostacolano – la conversione?

Clarity: il ponte tra dati comportamentali e ottimizzazione SEO

Uno degli strumenti più efficaci in questo ambito è Microsoft Clarity, software che consente di analizzare in modo granulare e intuitivo il comportamento reale dell’utente: su quali punti della pagina si è soffermato maggiormente, dove e cosa ha cliccato, etc.

Approfondire tutte le features chiave di Clarity richiederebbe un articolo di approfondimento dedicato.

Tuttavia, all’interno dei processi di analisi delle performance delle campagne marketing e SEO, le seguenti sono alcune delle funzionalità di Clarity determinanti per identificare insight e azioni concrete di ottimizzazione dei contenuti:

  • Session Replay: permette di vedere i movimenti esatti degli utenti, identificando frizioni altrimenti impossibili da identificare (come scroll interrotti, click su elementi non cliccabili, rage click).

  • Scroll Depth: mostra in percentuale quanto le persone leggono davvero un contenuto e se arrivano a vedere la call to action desiderata.

  • Segmentazione per canale: consente di monitorare il comportamento degli utenti provenienti da canali specifici come ricerca organica, newsletter, referral AI (ChatGPT, Perplexity, etc.).

  • Mappe di calore aggregate e per URL: ideali per capire quali sezioni di specifiche pagine attraggono maggiori o minori click o catturano meglio l’attenzione dell’utente.

Analizzando insieme questi dati è possibile capire, ad esempio, che:

  • gli utenti provenienti da mobile abbandonano il 40% più spesso prima della metà della pagina;
  • un form troppo lungo riduce del 25% il tasso di completamento;
  • il blocco di testo introduttivo è ignorato nel 70% delle sessioni.
  • il pubblico si aspettava di trovare all’interno della pagina link di approfondimento circa le features del prodotto

Questi segnali non sono semplici curiosità analitiche: suggeriscono indicazioni concrete da implementare per generare un impatto diretto sui risultati di business.

I nuovi dati da tracciare: referral AI e brand mention

L’avvento delle AI Search ha reso necessario anche un adattamento delle strategie di tracciamento dei dati. Infatti, le risposte fornite all’interno dei sistemi di chat AI come ChatGPT, Gemini o Perplexity, iniziano a generare sempre più traffico in ingresso verso i siti web e i blog che vengono menzionati e linkati come fonti.

In questi casi, le fonti che generano il traffico non sono i motori di ricerca “tradizionali”, bensì altri software terzi che non sono identificabili in modo automatico dai sistemi classici di analytics.

Al fine di monitorare con precisione la qualità e quantità di traffico generato dalle AI per ottimizzare la propria strategia SEO, diventa fondamentale tracciare in modo corretto il referral traffic — ovvero le visite che il sito riceve da piattaforme esterne al proprio dominio web, tra cui chatbot e piattaforme AI.

Per questo scopo, è importante creare canali personalizzati (channel grouping) in Google Analytics 4 (GA4) allo scopo di isolare e monitorare i domini noti degli strumenti di AI — per esempio, creando un canale denominato “AI Referral” che traccia solo le visite provenienti da fonti che hanno come dominio “chatgpt.com”, o “gemini.google.com”, etc.

In questo modo è possibile misurare in modo mirato il comportamento degli utenti che provengono da ambienti LLM o AI conversazionali (ChatGPT, Perplexity, Bing Copilot, Claude o Gemini, etc.), confrontandone le performance con il traffico proveniente dai canali organici tradizionali (Google, Bing, etc.), in particolare:

  • il tasso di conversione
  • lo scroll medio e tempo di permanenza
  • il Bounce rate (tasso di abbandono della pagina)
  • l’impatto diretto generato in termini di revenue e di numero di lead

Nel caso di Microsoft Clarity, che ha recentemente rilasciato una funzionalità specifica per il tracciamento del traffico AI, è possibile inoltre sfruttare la nuova classificazione automatica dei canali.

Clarity categorizza il traffico che proviene da ambienti AI in un canale dedicato chiamato, appunto, “AI”. In questo modo l’utente può visualizzare — direttamente nella dashboard — metriche chiave come:

  • azioni di conversione completate (acquisti, compilazione moduli di contatto, etc.)
  • percentuale di contenuto visto sulla pagina
  • mappe di calore dei click all’interno delle pagine
  • rage clicks
  • comportamenti anomali di navigazione (ad esempio, quando un utente non interagisce con elementi contenuti in una pagina per un certo periodo di tempo).

In questo contesto, collegare tra loro strumenti di analisi SEO potenti come Google Search Console (GSC) a software di analisi dati come GA4 rappresenta un’ulteriore best practice di analytics, fondamentale per tenere sotto controllo le performance chiave dei contenuti organici del proprio sito web o ecommerce.

Questo perché l’integrazione di GSC e GA4 permette di individuare insight più accurati, incrociando tra loro dati relativi

  • alle performance organiche dei diversi contenuti, tra cui: CTR (click through rate), Impressions e Posizione media delle pagine, etc.
  • alle performance relative all’esperienza utente, tra cui: il numero di azioni compiute sulla pagina, le revenue generate, il tempo di permanenza in pagina, etc.

In questo modo è possibile identificare possibili azioni di ottimizzazione efficaci (aggiungere immagini comparative, un box di confronto con i prodotti più venduti, una CTA più chiara verso il catalogo, etc.) per aumentare il tempo di permanenza sul sito web, aumentando i tassi di conversione e migliorando così anche il posizionamento organico del contenuto.

Conclusioni

In un contesto web sempre più dominato da AI, algoritmi e generazione automatica di contenuti, l’unica via sostenibile per restare competitivi è costruire un ecosistema organico in cui ogni visita generi valore reale. L’obiettivo non è compensare il calo dei volumi, ma aumentare il rendimento per sessione.

Un sito che dimezza le visite ma raddoppia la conversion rate è più profittevole di uno che continua a generare traffico di scarsa qualità e non in target. Per questo motivo l’integrazione strutturale tra SEO, CRO e Digital Analytics non è solo un vantaggio tecnico, ma una condizione di sostenibilità economica per il marketing del presente e del futuro.

– Articolo realizzato in collaborazione con Emanuele Urbani (Head of Operations di Seed).

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