l'analisi

Big tech, cosa ci dicono le ultime trimestrali sullo stato dell’economia

Perché così pochi titoli (quelli delle 5 big tech) hanno un peso così grande su un indicatore che guarda a 500 imprese? Come ha reagito la Borsa alle loro trimestrali e quanto pesa l’amore degli investitori retail? Le big tech sono un unicum? E come andrà Apple? Ecco le domande per “leggere” meglio i dati delle trimestrali

Pubblicato il 03 Mag 2023

Umberto Bertelè

professore emerito di Strategia e chairman degli Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano

finanza

Lo S&P 500 (il celebre indice borsistico statunitense) è cresciuto dell’8% dall’inizio dell’anno, ma l’80% di tale crescita è dovuto a sole sette società” (Financial Times). “Circa metà del portafoglio azionario medio di un investitore retail (di un portafoglio cioè non gestito da fondi) è concentrato su sole nove società” (The Wall Street Journal).

Big tech troppo potenti con l’AI: ecco i rischi

Sono mie libere traduzioni dei sottotitoli di due articoli apparsi il 30 aprile, a conclusione di una settimana che ha visto prima Microsoft e Alphabet-Google, poi Meta-Facebook e infine Amazon presentare i loro dati relativi al primo trimestre 2023 e le loro aspettative (anche sulla base dei numeri di aprile) sul trimestre in corso e sui successivi: testimoni di una resilienza superiore alle attese i primi, più contrastate le seconde nel valutare l’impatto che sui propri business potrebbe avere lo scoppio di una crisi indotta dall’inasprirsi delle politiche monetarie poste in atto per contrastare l’inflazione.

Che relazione c’è tra gli articoli e le trimestrali? Una molto semplice, che le quattro società che hanno presentato i loro dati rappresentano – messe assieme – la parte preponderante sia delle sette responsabili dei quattro quinti della crescita dello S&P500 sia delle nove che contribuiscono alla formazione della metà (in valore) del portafoglio azionario medio degli investitori retail.

In questo articolo voglio brevemente toccare cinque punti:

  1. perché così pochi titoli hanno un peso così grande su un indicatore che guarda a ben 500 imprese, scelte fra le principali dei diversi settori dell’economia statunitense, e che cosa questa concentrazione comporta in termini di significatività dello S&P 500 come indicatore generale dello stato di salute
  2. quali vantaggi comporta l’amore degli investitori retail
  3. come ha reagito la Borsa alle trimestrali delle quattro big tech, privilegiando la resilienza da tutte dimostrate o differenziandone il trattamento sulla base delle diverse previsioni per il trimestre e l’anno in corso
  4. più in generale, se sia giusto o meno parlare delle big tech come una sorta di unicum o se l’avvento di nuove tecnologie, a partire dall’intelligenza artificiale, potrà spingere verso una loro differenziazione
  5. come si sta muovendo nel frattempo Apple, i cui risultati verranno presentati in settimana, con le sue scorribande nella finanza.

Lo S&P 500 e l’economia Usa

Lo S&P 500 rappresenta ancora un indicatore credibile dell’andamento della Borsa statunitense e dello stato di salute dell’economia del Paese?

La ovvia risposta è che un indicatore troppo dipendente da un numero estremamente ristretto di imprese, per giunta tutte qualificabili come tech, non lo è così tanto. E che questo è testimoniato dal fatto che si escludono dal conteggio le sette, o anche solo le cinque big, si ha una percezione molto diversa dell’andamento generale.

Perché il ruolo che le sette, o anche solo le cinque, hanno giocato nella crescita dello S&P500, dall’inizio dell’anno a oggi, è così rilevante? Per due ragioni: perché sono cresciuti molto i loro valori azionari, come si può vedere dalla Fig. 1, recuperando una parte più o meno ampia parte delle perdite subite nella fase post-pandemica; perché è molto elevato, data la rilevanza delle loro capitalizzazioni (Tab. 1), il peso loro assegnato nella composizione di un indice ponderato come lo S&P 500 (si veda la Tab. 2 dove la sua composizione è posta a raffronto con quella del Nasdaq 100, che guarda alle più importanti società quotate al Nasdaq, e dello storico Dow Jones, che per la curiosa logica con cui è costruito appare più proiettato verso il passato che verso il futuro).

L’articolo del Financial Times dice sostanzialmente che il peso così forte di solo sette società – le big five oltre a Nvidia e Tesla – in un indice della rilevanza dello S&P 500 ne rende (quasi) del tutto ingannevole il frequente uso come proxy dell’andamento dell’economia. È un fatto ben visibile guardando alla settimana di trimestrali appena conclusa, che – al di fuori del settore tech – visto risultati molto contrastati.

Quali vantaggi comporta l’amore degli investitori retail?

L’amore degli investitori retail – che si estende anche a Netflix e AMD oltre alle sette viste in precedenza – è un fattore di protezione verso le eccessive cadute che possono essere provocate dai fondi, che pure ci sono state e di grande consistenza, ed è un fattore autoaccelerante nella fase in atto.

Come ha reagito la Borsa alle trimestrali delle quattro big tech

Come ha reagito la Borsa alle trimestrali delle quattro big tech, privilegiando la resilienza da tutte dimostrate o differenziandone il trattamento sulla base delle diverse previsioni per il trimestre e per l’anno in corso?

La Fig. 2 (di fonte FT) ci mostra chiaramente come la Borsa abbia fortemente apprezzato Microsoft e Meta-Facebook, che hanno presentato allo stesso tempo buoni risultati e aspettative favorevoli (queste ultime sulla base anche dell’andamento di aprile).

Come viceversa le preoccupazioni espresse da Alphabet-Google sulla tenuta del digital advertising e quelle espresse da Amazon sulla crescita del cloud, in un contesto in cui molte imprese devono fronteggiare l’inflazione e l’aumento dei tassi di interesse, abbiano ridotto (per Alphabet) o addirittura cancellato (per Amazon) l’entusiasmo iniziale.

La Fig. 3 ci conferma la crescita dei valori delle quattro dall’inizio dell’anno a oggi, che tanto impatto ha avuto sullo S&P 500. Mette in luce come le ristrutturazioni poste in atto per cancellare gli eccessi di assunzioni e di infrastrutturazione durante la pandemia e per fronteggiare una congiuntura critica – se non una grande crisi – abbiano ricevuto l’approvazione del mercato.

E come questo sia stato vero in particolare per Meta, apprezzata

  • per la capacità di reazione a salvaguardia del suo digital advertising, messo in pericolo dalla crescente concorrenza di Tik Tok e dalla (estremamente pericolosa) nuova politica per la privacy posta in atto da Apple,
  • per l’impegno a fare del 2023 l’”anno dell’efficienza”, concretizzatosi tra l’altro in licenziamenti molto consistenti (in termini assoluti e ancor più percentuali);
  • per la minore enfasi posta sul metaverso (sin dall’inizio scarsamente gradito agli investitori per l’incertezza sui ritorni e comunque per la loro lontananza nel tempo), a favore di un maggiore impegno sugli investimenti in intelligenza artificiale.

La Fig. 4 guarda agli ultimi tre anni: dal maggio 2019, primo dello scoppio della pandemia, a oggi. Guarda alla grande crescita dei valori durante la pandemia, al crollo post-pandemia e al recupero nel periodo più recente.

Mette chiaramente in luce le forti differenze nei recuperi: con Microsoft al primo posto, alle spalle però di Apple qui non riportata; Alphabet-Google subito dopo, ma con un recupero più incerto; Amazon e Meta-Facebook ritornate più o meno ai livelli pre-pandemia (con storie però diverse), ma ancora molto lontane dai loro massimi.

È giusto vedere le big tech come una sorta di unicum?

È giusto vedere le big tech come una sorta di unicum o l’avvento di nuove tecnologie, a partire dall’intelligenza artificiale, potrà spingere verso una loro differenziazione?

Quello che probabilmente rappresenta un unicum nella storia – o che forse ha un precedente nel comparto petrolifero (ma in maniera territorialmente più limitata) a cavallo fra l’800 e il 900 – è che cinque imprese, operanti in business solo parzialmente sovrapposti sotto il cappello tech, siano riuscite a rimanere ai vertici mondiali per un periodo così lungo. Per il futuro i fattori che possono giocare contro sono diversi. Oltre al potenziale diverso impatto che sui loro business potrà avere l’intelligenza artificiale o l’avvento comunque di nuove tecnologie, credo che possano giocare un ruolo non piccolo:

  • gli aspetti regolamentari e l’evoluzione della filosofia antitrust (già ora in movimento) a livello degli Stati Uniti e dell’UE, ma non solo: al di là del blocco da parte dell’authority inglese dell’acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft, si nota una crescente tendenza delle authority di altri Paesi a introdurre proprie misure (potenzialmente differenzianti nei riguardi delle big tech);
  • gli aspetti geo-politici, e in particolare il rischio di frantumazione del mercato mondiale, con la rivalità fra Stati Uniti e Cina al centro della scena: che può avere impatti molto diversi, ad esempio, per una impresa come Apple, che ha un grosso mercato in Cina e una grossa parte dei suoi fornitori strategici operanti in essa, o per una come Amazon, rimasta sempre ai margini per la presenza di grossi attori locali come Alibaba e Tencent, ma non solo.

Come si sta muovendo Apple

Come si sta muovendo nel frattempo Apple, i cui risultati verranno presentati in settimana, con le sue scorribande nella finanza?

È un tema che meriterebbe una trattazione a sé, non affrontabile in modo semplicistico. Ne faccio cenno solo per completezza, ricordando che la finanza è il frutto proibito cui il mondo tech aspira da tempo: un frutto però anche molto pericoloso, per le reazioni che il mondo politico può avere nei riguardi di quella che appare come una vera e propria invasione di campo.

Lo hanno capito un po’ tardi le big tech cinesi, Tencent e ancor più Alibaba, colpite dal tech backlash di Xi Jinping proprio nel momento in cui Ant Financial, il braccio finanziario di Alibaba, stava realizzando il suo trionfale IPO.

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