Lo tsunami di contagio non c’è stato, almeno per ora. Sta di fatto, però, che l’onda lunga del crack FTX sta ancora vivendo una fase di “risacca” della quale, per mancanza della necessaria trasparenza, non possiamo conoscere fino in fondo gli effetti. Al momento, l’unica altra vittima illustre del mondo cripto – esposta anch’essa da FTX – è stata BlockFi, altro exchange che fino a qualche tempo fa sembrava godere non solo di ottima salute ma anche di una solida reputazione. Mentre sul lato della finanza tradizionale la vittima più illustre è stata la californiana Silvergate.
La crisi di credibilità dei cryptoasset
Ed in effetti, a questo punto, la crisi degli exchange di criptovalute è divenuta a tutti gli effetti una crisi di credibilità. In estrema sintesi, il problema di FTX è nato dal fatto che Sam Bankman-Fried, usando quella che era una succursale per gli investimenti del suo exchange, ha gestito a piacimento del danaro depositato senza renderne conto a nessuno.
A quanto pare, è proprio su questo aspetto che verte l’intervento di altri due giganti del mondo crypto, Binance e Coinbase, che, dopo essere stati a loro volta sfiorati (ma non del tutto in salvo) dalla prima grande onda del crack FTX, stanno ora premurandosi di tranquillizzare gli investitori, soprattutto quelli potenziali.
Entrambi gli exchange vogliono, quindi, offrire “garanzie di solvibilità” tangibili ai propri depositanti. A questo proposito, Binance ha annunciato un nuovo “sistema di prova delle riserve”, promettendo un aggiornamento certosino degli utenti riguardo l’ammontare dei loro averi. Più laconico l’intervento di Coinbase che si è limitato ad affermare che presso le sue casse vi è sempre la stessa quantità di denaro e che anche per questo è del tutto impossibile una “corsa agli sportelli” che le prosciughi (in tal caso risulterebbe curioso conoscere in che modo esattamente produce profitti). Attualmente, secondo il sistema di valutazione creato dal Ceo di Binance CZ, l’exchange dispone di un coefficiente di riserva del 101%, potendo quindi beneficiare di amplissimi fondi. Per quanto si tratti di un passo in avanti, per molti addetti ai lavori tale sistema ha più le sembianze di una cortina di fumo che di una concretezza. Secondo quanto, ad esempio, evidenziato da Jesse Powell, CEO e co-fondatore di Kraken, tale pratica sarebbe di fatto “inutile” privata degli scambi che includono passività. Per quanto non risolutiva, la prova della liquidità trasla però il concetto di criptovalute da decentralizzata verso più centralizzata, forzando la mano ad un “prodotto” concepito per essere indipendente da tutto e da tutti.
La trasparenza è la chiave
La trasparenza – ben maggiore di quella avuta e annunciata sinora – è la chiave per ripristinare la fiducia evaporata negli ultimi tempi. È fondamentale per gli investitori avere accesso alle informazioni sui dati finanziari di uno scambio, ma anche info più dettagliate sull’attività svolta dall’exchange.
Come segnalato anche in un precedente contributo, la trasparenza regolamentare è l’unica via per comprendere certi fenomeni e tutelare nel migliore dei modi i consumatori. Andando oltre, poi, quanto accaduto a Silvergate dovrebbe suggerire che la trasparenza dovrebbe riguardare tutti i soggetti che detengono criptovalute. Anche se apparentemente la regolamentazione sembra suggerire una tacita accettazione del fenomeno, andrebbe precisato che in questo caso se ne ammette semplicemente l’esistenza, il che è diverso. Se poi – come da paper della BCE – il Bitcoin sta degradando verso l’irrilevanza, allora è solo questione di tempo e si potrebbe attendere che la “bolla” si sgonfi da sola. Nel frattempo, però, in quanti si faranno ancora male per scarsa tutela e scarse informazioni? Ammesso anche che il fenomeno stia vivendo una fase calante, credo che non sia salutare andare all in e verificarlo, anche perché, oltre agli exchange, non possiamo sapere quanti altri operatori non puramente crypto ne potrebbero risentire.