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Digital tax, accordo OCSE in stallo: adesso puntare sulla soluzione Ue

L’OCSE conta di arrivare a un accordo sulla digital tax entro la prima metà del 2021. In realtà, alla luce dell’esperienza passata, è legittimo avere qualche dubbio sulla possibilità di rispettare una siffatta scadenza. Vediamo perché si rischia lo stallo politico e la soluzione europea rimane la più praticabile

Pubblicato il 29 Ott 2020

Alberto Franco

Professore a Contratto di Diritto Tributario presso l’Università di Torino, Ph.D. Of Counsel, Genta & Cappa

taxefficientbenefits

Come era stato prospettato da più parti, anche l’OCSE riconosce infine l’impossibilità di arrivare ad una soluzione condivisa in materia di tassazione della digital economy entro la fine del 2020; il nuovo obiettivo dell’OCSE – invero, non meno sfidante – è raggiungere un consenso entro la metà del 2021.

Digital tax: alla (difficile) ricerca di una soluzione condivisa

Nel corso del recente incontro dell’OECD/G20 Inclusive Framework on BEPS, i membri hanno recentemente approvato uno statement in cui si rinnova l’impegno a ricercare una soluzione condivisa, che superi le numerose differenze politiche e tecniche che hanno caratterizzato le negoziazioni negli ultimi mesi. Del resto, sia la nota emergenza Covid-19, sia la presenza di alcune importanti scadenze politiche – tra tutte, le elezioni presidenziali USA, previste per il 3 novembre prossimo – hanno reso evidente l’impossibilità di proseguire i negoziati nel contesto attuale.

Proprio con riferimento alle prossime elezioni presidenziali statunitensi, occorre osservare come non sia scontato che un eventuale vittoria di Biden renda più agevoli i negoziati con gli USA, negoziati che l’amministrazione americana ha abbandonato alcuni mesi fa.

Infatti, nonostante la vittoria di Biden possa favorire il rapporto con l’Unione Europea, lo stesso Pascal Saint-Amans (Direttore del Centre for Tax Policy and Administration dell’OCSE) ha manifestato il suo scetticismo sul fatto che gli USA possano prendere sul tema una posizione radicalmente diversa rispetto alla linea tenuta finora dall’amministrazione Trump. Saint-Amans, in particolare, ha sottolineato che gli europei sottostimano quanto in realtà sia bipartisan la posizione americana (“Europeans underestimate how bipartisan the U.S. position is … You cannot attack U.S. tech companies”)[1].

Anche il Ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, nei giorni scorsi ha manifestato sostanzialmente il medesimo punto di vista, osservando che nel caso di una vittoria di Biden non si attende grandi cambiamenti in materia di digital tax. In tal caso, infatti, secondo il Ministro francese potrebbero in effetti esserci mutamenti nell’approccio tenuto dagli USA in relazione alle sanzioni, e più in generale nei rapporti con l’Unione Europea, ma eventuali cambiamenti rilevanti sul merito della questione sono visti con scetticismo (“There could be a change on the question of sanctions and how the U.S. will behave with Europe … But I’m more skeptical about fundamental change in the U.S. position on digital tax”)[2].

Per tale ragione, la Francia, che aveva in precedenza sospeso l’operatività della web tax introdotta a livello nazionale proprio per consentire una soluzione condivisa a livello internazionale, dovrebbe iniziare a riscuotere tale imposta a partire da metà dicembre – con le inevitabili conseguenze politiche che seguiranno a questa decisione, prima tra tutte la possibile applicazione di dazi “ritorsivi” da parte degli USA.

I pilastri della riforma Ocse in consultazione

Intanto, se dal punto di vista politico una soluzione globale è lungi da venire, a livello tecnico l’OCSE sta comunque procedendo a sviluppare i “pilastri” della riforma, ovverosia, in estrema sintesi, il Pillar One, che si concentra sulla previsione di una nuova ripartizione delle potestà impositive degli Stati attraverso nuovi criteri di collegamento e di allocazione dei redditi, e il Pillar Two, il quale invece si focalizza sullo sviluppo di una serie di regole per assicurare un livello minimo di tassazione globale in capo alle imprese multinazionali.

Più in dettaglio, a seguito della riunione dell’8-9 ottobre, sono stati emanati due documenti di consultazione pubblica (per entrambi il termine della consultazione è previsto per il 14 dicembre prossimo), ovverosia il Blueprint for Pillar One e il Blueprint for Pillar Two[3].

In tali documenti si dà preliminarmente atto che l’emergenza Covid-19 ha comportato per gli Stati un grande sforzo finanziario, sia nel settore della sanità, sia nel fornire il necessario supporto finanziario al sistema economico, e che allo stesso tempo gli Stati avranno nel prossimo futuro la necessità di rimettere le proprie finanze pubbliche entro un percorso sostenibile. In ragione di tale circostanza, pertanto, la necessità di una tassazione a livello globale dell’economia digitale, a giudizio dei membri dell’Inclusive Framework, sembra ancora più urgente.

Senza volersi addentrare in una analisi di dettaglio dei due documenti, i quali – al pari dei precedenti documenti emanati sul tema – presentano un notevole approfondimento ed una elevata complessità, occorre riconoscere che dal punto di vista tecnico i due Blueprint rappresentano senza dubbio un passo avanti rispetto ai precedenti documenti di consultazione. Essi, infatti, danno conto degli accordi raggiunti in sede internazionale su diverse tematiche, e nondimeno identificano le questioni politiche e tecniche ancora “sul tavolo”.

L’analisi dell’impatto economico della digital tax

Particolarmente interessante sembra essere inoltre l’analisi dell’impatto economico aggiornata sulla base degli ultimi sviluppi a livello OCSE[4].

Infatti, tale analisi stima che l’effetto combinato di Pillar One e Pillar Two possa incrementare l’imposta sul reddito delle società a livello globale di un importo pari a circa 50-80 miliardi di dollari l’anno – effetto che potrebbe anche crescere fino a 100 miliardi e rappresentare circa il 4% dell’imposta sul reddito delle società complessiva a livello globale.

Nondimeno, l’analisi economica sottolinea anche una circostanza interessante con riferimento non solo agli impatti economici di un accordo, ma anche a quelli di un eventuale mancato accordo tra gli Stati in relazione ad una soluzione unitaria.

Infatti, l’OCSE rileva che l’impatto della tassazione basata su Pillar One e Pillar Two potrebbe effettivamente comportare un aumento dei costi per le imprese multinazionali, costi che potrebbe in via di principio incidere sul PIL globale, sebbene l’impatto sia stimato essere inferiore allo 0,1% nel lungo termine.

Tuttavia, l’OCSE mette soprattutto in luce che l’assenza di una soluzione condivisa potrebbe con ogni probabilità condurre alla proliferazione di una serie di misure fiscali unilaterali e non coordinate (in sostanza, le web tax che sono state – o saranno – implementate dai singoli Stati). Nello scenario peggiore, i costi addizionali di compliance per le imprese multinazionali e le ritorsioni commerciali potrebbero condurre a ridurre il PIL globale per più dell’1%.

Conclusioni

Come sopra accennato, l’OCSE conta di concludere i negoziati e di arrivare ad un accordo entro la prima metà del 2021. In realtà, alla luce dell’esperienza passata, è legittimo avere qualche dubbio sulla possibilità di rispettare una siffatta scadenza; il percorso recentemente intrapreso dall’OCSE non sembra infatti dissimile da quello del 2019, in cui la scadenza delle consultazioni era stata prevista per fine anno, al fine di arrivare ad un output definitivo entro la metà del 2020.

Ora, è pur vero che la nota situazione pandemica ha evidentemente rallentato l’elaborazione di una soluzione, tuttavia è altrettanto vero che i principali “nodi” per giungere ad un accordo a livello globale non sembrano essere tanto tecnici quanto piuttosto di natura politica, e nel contesto attuale permangono le medesime perplessità di cui si è dato conto sinteticamente in precedenza – specialmente sul fatto che anche nel caso di un cambio dell’amministrazione USA non è detto che si assista ad un deciso cambio di rotta su questi temi.

Allo stato attuale degli sviluppi, pertanto, nonostante gli indubbi sforzi compiuti la soluzione OCSE rischia di rimanere comunque incagliata in una situazione di stallo anzitutto politico; di conseguenza, come recentemente osservato da autorevoli commentatori, la soluzione europea rimane la più credibile, anche tentando di superare, all’occorrenza, il superamento dell’unanimità sulle decisioni in materia di imposte sui redditi[5].

BIBLIOGRAFIA

  1. M. Heikkilä, E. Braun, Digital tax: A cautionary tale, Politico.eu, 20 giugno 2020
  2. W. Horobin, France to Go Ahead With Digital Tax, Risking U.S. Tariffs, Bloomberg.com, 14 ottobre 2020.
  3. Reperibili sul sito internet dell’OCSE (www.oecd.org).
  4. Sul contenuto di tale analisi economica (anch’essa reperibile sul sito www.oecd.org) si veda anche V. Balocco, Webtax, l’accordo Ocse slitta a metà 2021, Corrierecomunicazioni.it, 12 ottobre 2020.
  5. F. Tundo, Web tax, Bruxelles può aiutarci se argina i suoi paradisi fiscali, Il Fatto Quotidiano, 20 ottobre 2020.

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