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Il software è il fattore di cambiamento di aziende e Paesi: le ultime tendenze

Le aziende che più sono cresciute negli ultimi anni sono quelle che hanno fatto del software un patrimonio e fattore strategico. Il software sta determinando un profondo cambiamento in settori quali la finanza, l’industria, la PA. Ecco come si è arrivati a questa egemonia culturale e perché è finita l’era dell’outsourcing

Pubblicato il 22 Giu 2018

Paolino Madotto

manager esperto di innovazione, blogger e autore del podcast Radio Innovazione

github

Durante la conferenza mondiale in cui Apple presenta annualmente nuovi prodotti e soluzioni, questo mese Microsoft ha annunciato l’acquisizione della piattaforma GitHub per 7,5 miliardi di dollari. GitHub è la più importante piattaforma che consente ai programmatori opensource di collaborare insieme allo sviluppo e lì ci sono i più importanti progetti del momento. E’ valutata 2 miliardi di dollari, per il fatto che è anche la piattaforma dove molte delle big company rilasciano il software in open source (compresa Microsoft ormai sempre più “open source” oriented).

Il senso di Microsoft per i software e servizi open source 

Questa acquisizione ci dice molte cose sulla strategia di Microsoft che punta a diventare uno tra i principali player nel mondo del software open source e dei servizi, spostando ormai in modo molto evidente i suoi guadagni sui servizi cloud e sui servizi professionali e molto meno sul costo delle licenze.

Questa acquisizione ci dice ancora di più su quanto è strategico il software per il business di qualsiasi azienda e di qualsiasi settore. Microsoft sta cercando di cavalcare questo settore e di accreditarsi come un player strategico tra chi vuole fare software.

Per capire meglio cosa significa il software per l’economia attuale bisogna guardare chi sono le aziende “contributrici” open source. J.P. Morgan è il principale contributore di “QUORA” una piattaforma di blockchain derivata da Ethereum, Uber contribuisce con numerose soluzioni software che ha prodotto internamente per compiti specifici anche lontani dal suo core business, Google sforna continuamente soluzioni che vanno dall’intelligenza artificiale alla gestione delle reti e così via. Le più grandi aziende mondiali stanno producendo software e mettendolo in comune nel mondo open source. Aziende “clienti” e aziende “fornitrici”. Certo non tutto il loro software, quello più strategico è tenuto gelosamente da parte ma i mattoncini che lo compongono spesso sì.

Team di software interni e soluzioni custom

Se vediamo le aziende più dinamiche dell’ultimo decennio notiamo che in moltissimi casi esse hanno alla base un software prodotto internamente. Non una soluzione acquistata o un system integrator che sviluppa un pacchetto ma un team di software interno dedicato ad una soluzione custom. Per anni l’idea di sviluppare software internamente è stata considerata come “fumo negli occhi” dai CIO e invece oggi vediamo che ritorna prepotentemente all’ordine del giorno.

Le aziende che hanno visto la crescita più prepotente negli ultimi anni sono quelle che hanno più software come loro patrimonio, che sanno manutenerlo e che ne hanno fatto un fattore strategico. Oggi è nel software che si racchiude sempre più la conoscenza aziendale.

Nicholas Carr, nel suo famoso articolo “IT Doesn’t matter” del 2003 aveva aperto la strada per un quinquennio all’idea che l’IT fosse una commodity, qualcosa che non avesse valore per l’azienda. Si poteva acquisire fuori, al minor costo possibile, standard. E invece torna con forza l’idea che è proprio nell’IT la chiave strategica delle aziende. E con l’Intelligenza Artificiale è sempre più evidente che accanto al software ci sono i dati come fattore strategico.

Il software fattore di cambiamento

Le nuove aziende in tutto il mondo stanno sviluppando velocemente e molto, si calcola che un’auto Tesla abbia più codice di macOS o Windows Vista. E questo succede in tantissimi settori. La finanza, l’industria, la PA, in tutti questi settori il software sta determinando un profondo cambiamento.

Le figure più pagate nella Silicon Valley sono sempre di più programmatori, esperti di Intelligenza Artificiale, architetti tecnologici. Persone che sono in grado di mettere insieme l’analisi dei problemi con la realizzazione software. Non semplici tecnici ma persone in grado di dominare business e tecnologia.

Molte delle società di consulenza più grandi hanno cominciato ad assumere esperti di software e tecnologie per affiancarli agli esperti di business per creare valore per il cliente ma non sempre questa ibridazione funziona. È difficile mettere insieme mondi che per troppi anni sono rimasti distinti o far capire ad un vecchio manager che il software o la soluzione tecnica molte volte non sono lo strumento con il quale realizzare sarebbe qualcosa ma sono il qualcosa. Far capire che senza la piattaforma software non solo non  sarebbe stato possibile offrire una soluzione ad un problema ma nemmeno ci saremmo posti il problema.

E tutto questo software sviluppato le aziende lo rendono open source, lo inseriscono nelle grandi piattaforme come GitHub dove migliaia di persone possono collaborare insieme per farlo crescere, manutenerlo, migliorarlo. Controllare la piattaforma significa comprendere prima quali sono i trend, governare la base di conoscenza fatta da righe di codice, commenti, domande e risposte, ecc. Un patrimonio per chi sviluppa o aiuta a sviluppare software.

L’egemonia culturale del software

La crescita economica dei cosiddetti OTT come Google, Facebook o Amazon non sarebbe stata possibile senza la loro capacità di produrre software e costruire modelli di business intorno alle soluzioni software.

Nessun player del cloud può vivere e prosperare senza produrre internamente codice. Le piattaforme software ormai per la gran parte sono funzioni da richiamare e integrare, le API (application programming interface), e architetture a microservizi.

E per produrre software è stato necessario creare nuovi approcci al suo sviluppo, metodologia DevOps e Agile. E abbiamo visto queste metodologie di gestione progetti nate nel settore del software estendersi a qualunque cosa stabilendo una egemonia culturale profonda del software sul resto. Anche esagerata in diversi casi ma così è.

Stiamo vedendo un passaggio repentino da un modello di acquisto di software “già fatti” da configurare (“off-the-shelf”, “da scaffale”) a uno di integrazione “custom” di librerie, piattaforme, porzioni di software già fatto riadattato alle esigenze specifiche. Perfino in mondi codificati come l’amministrazione si sta facendo largo l’idea che avere un ERP che possa essere fortemente customizzato e integrato possa essere più strategico che averne uno uguale agli altri. L’epoca dell’outsourcing dell’informatica aziendale che ha spopolato per molti anni sembra una eresia ormai, mentre vediamo startup tecnologiche acquisite e portate all’interno di grandi aziende non solo tecnologiche ma anche banche o grande distribuzione.

Più servizi, meno pacchetti

Chi produce software deve ripensare il suo mestiere, pensare che venderà meno pacchetti e più servizi, che dovrà investire sempre di più in skill e in innovazione e comprendere prima e meglio degli altri i trend di sviluppo del business.

I clienti vogliono sempre di più partner competenti e preparati, sono sempre meno disposti a spendere denaro solo su un nome. Per soddisfarli c’è sempre più bisogno di partner che sappiano integrare conoscenza di business e conoscenza tecnica. Sempre più spesso le scelte di implementazione del software si spostano verso i vertici aziendali e lo sviluppo software lo troviamo ovunque in azienda. Può essere una macro, una query, interi moduli software, un modulo per i big data o anche semplicemente la creazione di un report tutto è guidato da un software scritto con un linguaggio più o meno complesso. Perfino i sistemisti puri stanno sparendo, spesso non è possibile gestire il data center o la propria infrastruttura hw/sw senza utilizzare piattaforme basate su api che arrivano ad automatizzare completamente le operazioni.

L’Italia è impreparata

“Software is everything and anything is software” se volessimo riassumere ciò che sta accadendo. E di fronte a questo come al solito l’Italia si trova impreparata, molte nostre aziende non hanno compreso a fondo cosa sta accadendo e come non rimanerne travolti.

Il software, che per molti anni è stato l’incubo di chi doveva consegnare i progetti o rispondere di costi e ricavi di un progetto per non parlare della qualità del risultato è diventato più sofisticato come mai prima ma anche più semplice da costruire. Ci sono ormai tool che rendono più semplice lo sviluppo, il test, la misurazione della qualità.

Dietro l’acquisizione di GitHub si nasconde sicuramente una operazione di rafforzamento di Microsoft e l’impronta di una metamorfosi silenziosa da azienda di software proprietario, spesso sotto scacco per pratiche antitrust, a player del cloud e dell’opensource. Si nasconde anche l’emergere di nuovi modelli di business, di una tecnologia che è in grado di sconvolgere tutto il resto. Da questa rivoluzione, le aziende e la PA, non devono farsi travolgere.

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