La concorrenza dei motori di ricerca sbarca su Android ed è merito del giro di vite dell’Antitrust UE su Google, sotto la salda guida di Margrethe Vestager, commissario europeo per la concorrenza, in carica dal 2014 nell’ambito della Commissione Juncker e riconfermata nella commissione von der Leyen.
Finalmente Google ha ceduto alle pressioni dell’Antitrust dell’Unione europea (UE) in tema di concorrenza contro l’abuso di posizione dominante, e ha annunciato su Twitter la decisione con un post pubblicato sul blog ufficiale: “Android offre alle persone più scelta di qualsiasi altra piattaforma mobile. Gli utenti possono selezionare gratuitamente quali apps (di ricerca, ndr) usare, scaricare e configurare di default”. Gli utenti degli smartphone equipaggiati col sistema operativo di Google non saranno più obbligati ad usare il motore di ricerca della Big G, ma potranno servirsi di app alternative e rivali.
Le modifiche ad Android
L’azienda di Mountain View sta infatti sviluppando le modifiche finali alla schermata che da settembre mostrerà la possibilità di decidere a quale motore predefinito affidarsi per effettuare una ricerca online. Dopo anni di serrate discussioni fra Alphabet, la capofila di Google, e la UE, la piattaforma Android offrirà la possibilità a migliaia di sviluppatori e produttori di dispositivi di fare affari nel settore che, fin dagli esordi, rappresenta il cuore del business di Google, la ricerca su Internet. La società ha deciso di porgere qualcosa di più di un ramoscello d’ulivo a Bruxelles, andando oltre le richieste europee.
Abuso di posizione dominante nel digitale: il caso Agcm contro Google e altre distorsioni
La mossa è frutto della costante e sempre più mirata, dunque efficace, pressione esercitata dall’Antitrust UE che nel 2018 sanzionò Google per abuso di posizione dominante su Android, il sistema operativo che gira su quattro quinti degli smartphone mondiali. In precedenza, Google aveva proposto una farraginosa asta, respinta da tutti i player.
Le mosse dell’Antitrust UE sulle big tech
L’Antitrust dei 27 Paesi UE è fortemente impegnata a imporre Fair Play nel mercato digitale e in particolare ad obbligare le Big Tech – Google, Amazon, Facebook, Microsoft ed Apple – a rispettare le regole della concorrenza, impedendo al contempo l’abuso di posizione dominante nel mercato comune europeo digitale.
Il giro di vite contro Apple, Microsoft, Amazon, Google (Alphabet) e Facebook – le cinque aziende più grandi al mondo che tutte insieme totalizzano circa 8 trilioni di capitalizzazione in Borsa – sono nel mirino delle autorità di controllo non solo dell’Unione europea, ma di tantissimi Paesi nel mondo. Authority che le accusano di pratiche monopolistiche. Le aziende spesso collaborano fra loro per eludere o distorcere la concorrenza, in una selva di complessi intrecci e partnership. Per esempio, Google ha siglato un’intesa con Apple per mostrare il proprio motore di ricerca su tutti gli iPhone, in cambio del pagamento del 15-20% dei profitti di Apple.
Nel novembre 2020 la Commissione europea ha aperto un’indagine su Amazon, il colosso dell’e-commerce online, sempre più in crescita nel mercato dell’advertising digitale e anche sempre più utilizzato come motore di ricerca, grazie alle ricerche effettuate dagli utenti sugli speaker dell’azienda di Seattle. Amazon è anche concorrente di Microsoft e Google nel mercato del cloud computing con il suo servizio Aws (Amazon web services). Apple iCloud si affida alla nuvola di Amazon e Google. Gli intrecci delle collaborazioni sono infatti numerosi e complicati. L’indagine della Commissione europea aperta nel 2020 su Amazon riguarda violazioni delle norme antitrust: l’accusa ipotizza l’attrazione della concorrenza nei mercati al dettaglio online. L’Antitrust UE adombra l’ipotesi di violazione degli articoli 101 e 102 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) che vietano l’abuso di posizione dominante a danno dei consumatori e a fini di esclusione dei concorrenti dal mercato.
La Commissione ha poi aperto un’indagine su Facebook, il social network (in realtà una galassia social, con Instagram, Whatsapp, Facebook Messanger) colosso della pubblicità digitale.
Le nuove armi antitrust contro le big tech, ecco come possono fare la differenza
La società di Menlo Park era l’unica non ancora finita sotto la lente del commissario alla concorrenza europea, che invece ha in passato messo sotto torchio Microsoft (la prima a battesimo con la famosa indagine dell’ex commissario Mario Monti), più volte Google eccetera. La Commissione europea intende valutare se l’azienda fondata da Mark Zuckerberg abbia violato le regole europee con Facebook Marketplace, un servizio di annunci economici dove gli utenti Facebook possono acquistare o vendere merci tra loro. Le aziende che operano nel settore degli annunci pubblicizzano i propri servizi sul social network di Facebook, ma , al contempo, competono con il servizio Facebook Marketplace.
La Commissione teme che l’azienda di Menlo Park possa alterare la concorrenza per i servizi di annunci online, sfruttando i dati raccolti dai concorrenti, ottenuti a sua volta da Facebook mediante la sponsorizzazione delle offerte di questi ultimi sul social, per offrire un indebito vantaggio competitivo a Facebook Marketplace. In poche parole, Facebook potrebbe utilizzare questi dati con un certo valore commerciale contro le aziende già sue clienti nell’ambito della sponsorizzazione.
Le altre autorità negli USA e UE sulle big tech
In campo non c’è solo l’autorità europea, ma anche la FTC americana e le authority nazionali di Germania, Francia, l’italiana Agcm eccetera.
Big tech e antitrust, la pacchia è finita: perché siamo alla svolta
Per essere sempre più efficaci e venire a capo di questo complesso e ramificato “groviglio” di collaborazioni tra le big tech, in particolare, le Authority alla concorrenza mondiali stanno applicando nuovi strumenti ed approcci innovativi. Per esempio, la Germania ha varato una nuova legge per fare la differenza: si tratta di una normativa che accresce il potere del regolatore ed accelera le indagini.
Solo nelle ultime settimane, negli Stati Uniti, iniziata la Presidenza Biden, il Distretto della Columbia ha citato in giudizio Amazon, accusata di impedire ai venditori che sfruttano il suo marketplace di applicare prezzi inferiori ai loro prodotti su altri siti e piattaforme online.
Sembra insomma che si vada verso uno scenario in cui le authority Antitrust non hanno più armi spuntate per affrontare i colossi IT, per ottenere finalmente il rispetto delle regole di mercato a vantaggio dei consumatori. E lo dimostra da ultimo proprio il caso di Google che ha ceduto alle pressioni UE, andando anche oltre le richieste della stessa Unione europea.