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Le trimestrali delle big tech: forte il ruolo dell’IA, ma i dubbi sono tanti



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Vediamo i vincitori e i perdenti della settimana delle trimestrali; il peso dei successi nell’IA generativa come fattore discriminante nelle valutazioni di un mercato borsistico afflitto dalle incertezze macroeconomiche e dalle pesanti tensioni geopolitiche. E le tante domande sul futuro

Pubblicato il 31 ott 2023

Umberto Bertelè

professore emerito di Strategia e chairman degli Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano



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Dopo tanti anni di successi le big five – Alphabet-Google, Amazon, Apple, Meta-Facebook e Microsoft riescono a a mantenersi ai vertici mondiali? Ci sono segnali di un possibile declino? Che impatto sta avendo l’IA-Intelligenza Artificiale generativa?

Qualche risposta è arrivata questa settimana, nella quale quattro delle big hanno presentato le loro trimestrali.

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Come sono andate le trimestrali

Vediamo i vincitori e i perdenti della settimana delle trimestrali; il peso dei successi nell’IA generativa come fattore discriminante nelle valutazioni di un mercato borsistico afflitto dalle incertezze macroeconomiche e dalle pesanti tensioni geopolitiche.

Microsoft, Alphabet, Amazon and Meta see best revenue growth, profit and margins in over a year”, è il sottotitolo di un articolo di commento sulla settimana delle trimestrali di WSJ (The Wall Street Journal) del 30 ottobre, che nel titolo “Tech Titans Rebound From Tough Times as AI Fuels Optimism“ ha sottolineato l’ottimismo con cui il mercato finanziario appare guardare alle prospettive di profittabilità degli investimenti molto rilevanti (diretti e/o attraverso acquisizioni di quote in startup quali OpenAI e Anthropic) fatti dalle big five nell’AI generativa. Un ottimismo non condiviso in tutti i commenti della grande stampa economica internazionale:

Can generative AI live up to the hype? Generative AI has been hailed as a transformative technology, and billions are being spent on developing its potential. But will it live up to its early hype, and can it actually make money?”, il titolo di un video di FT Tech (Financial Times) dello stesso giorno e “Big Tech Struggles to Turn AI Hype Into Profits – Microsoft, Google and others experiment with how to produce, market and charge for new tools” quello di un altro articolo di WSJ di tre settimane prima.

Senza entrare in una discussione su questo tema, peraltro non facile da affrontare perché relativa a una tecnologia in continua evoluzione, voglio solo sottolineare il fatto che la presenza o meno di risultati economici positivi derivanti dagli investimenti nell’AI generativa è stato forse il maggiore fattore discriminante nelle valutazioni fatte dalla Borsa.

Microsoft

E se si guarda non alle reazioni immediate, spesso molto contradditorie (come nel caso estremo di Amazon visibile nella Fig. 1), ma ai saldi dell’intera settimana (prima colonna della Tab. 3), Microsoft emerge come il vincitore della settimana: perché il suo titolo (- 1,7%) è sceso meno rispetto alle altre, meno del Nasdaq 100 (l’indice di riferimento del mondo tech) e meno dello S&P 500 (più rappresentativo dell’intera economia ma molto sensibile per il loro peso alle oscillazioni di valore delle big tech).

Il merito maggiore di Microsoft?

Essere riuscita, con l’investimento fatto su OpenAI e ChatGPT, a dare fiato al suo cloud Azure – in un momento di difficoltà di tutti i cloud per la spinta a ridurre i costi delle imprese clienti – con un risultato in termini di crescita dei ricavi superiore alle previsioni degli analisti e alle aspettative del mercato.

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Google

Un qualcosa che non è riuscito al cloud di Google (che peraltro da anni arranca all’inseguimento di AWS e di Azure), che ha visto il titolo di Alphabet scendere complessivamente nella settimana del 12%, facendone il grande perdente della settimana stessa: e questo nonostante il ridecollo del digital advertising e l’elevato incremento dell’utile netto del trimestre. Un risultato apparentemente paradossale, ma che conferma il rilievo discriminante attribuito dal mercato ai primi segnali sulla capacità di sfruttamento economico degli investimenti nell’IA generativa.

Un risultato che deve essere letto però in una prospettiva temporale più lunga: nonostante la perdita del 12% il titolo di Alphabet vale ora il 15,9% in più di 6 mesi fa (Tab. 3), a fronte di quello di Microsoft cresciuto solo della metà (+8%); mentre in una prospettiva temporale più lunga, quale quella del quinquennio, è Microsoft che ha accresciuto di gran lunga di più il valore del suo titolo (+202,3% contro +117,9%).

Amazon

L’importanza attribuita dal mercato alla crescita del cloud, e al ruolo nel promuoverla alla quantità, qualità e convenienza dell’offerta di servizi per l’IA generativa, è apparso a mio avviso in modo ancora più evidente nel caso di Amazon, che aveva visto cadere in modo netto il suo titolo (Fig. 1) – nonostante i sorprendentemente buoni risultati nell’ecommerce e la ulteriore crescita nel digital advertising – a causa dei numeri del cloud: l’1% in meno nei ricavi rispetto alle attese degli analisi, con una crescita del 12% nettamente inferiore a quella di Microsoft.

Questo sino all’intervento del CEO Andy Jassy, che ha evidenziato come la sottoscrizione di nuovi contratti fosse di nuovo in espansione, favorita dall’offerta di servizi con un miglior rapporto prezzi/prestazioni, mediante l’utilizzo nell’esecuzione dei processi dei chip messi a punto in casa da Amazon stessa (in luogo di quelli top di gamma ma estremamente costosi di Nvidia). Con il risultato che il titolo di Amazon è stato quello che avuto il calo settimanale minore dopo Microsoft, in linea con lo S&P 500 e con una crescita complessiva nel semestre superiore al 23%: ben lontana però dal recupero delle punte raggiunte durante i momenti più critici della pandemia e molto bassa in termini comparativi rispetto a cinque anni fa (+50% circa, a fronte del +200% di Apple e del +100% del Nasdaq 100).

Meta

Molto buoni gli effetti dell’anno dell’efficienza di Meta-Facebook e del ridecollo del digital advertising (aiutato dalla messa a punto con l’IA di strumenti di facilitazione per gli inserzionisti), ma l’insistenza sul metaverso – con il suo drenaggio atteso di profitti – è probabilmente una delle ragioni per cui il titolo ha la caduta più elevata dopo quella di Alphabet.

Nvidia

La caduta del titolo di Nvidia, che non ha presentato nessun nuovo risultato durante la settimana, è almeno in larga parte la conseguenza delle ulteriori restrizioni da parte del governo US all’export in Cina di chip utilizzabili per lo sviluppo dell’IA. E forse anche la caduta del titolo di Apple, che presenterà i dati trimestrali a inizio novembre, risente almeno in parte della crisi dei rapporti con la Cina – storicamente sia suo grande cliente sia Paese ospitante la maggior parte dell’attività manufatturiera dei suoi contractor (a partire da Foxconn) – oltre che delle attese non entusiasmanti degli analisti.

La risposta della Borsa (Tab. 1), seppur con andamenti delle valutazioni (Fig. 1) che ricordano le montagne russe, è netta.

I dati di borsa

Le big five, e insieme con esse Nvidia (che è interessante aggregare per il ruolo che essa gioca con i suoi microprocessori nella filiera dell’IA generativa, occupano le prime due posizioni e sei delle prime sette per capitalizzazione/market cap, ossia per valore loro attribuito dalla Borsa. Insieme valgono 8,7 trilioni di $, una cifra pari – per darne un’idea della rilevanza – a oltre un terzo del PIL statunitense del 2022 e a oltre quattro volte il PIL italiano.

La tabella mostra come al nono posto si collochi una ulteriore impresa a forte contenuto tecnologico, Tesla, che insieme con le precedenti forma il gruppo delle cosiddette mag-seven (magnificent seven): un’impresa di cui non parlerò in modo specifico nel seguito, perché operante in un ambiti poco correlati con le altre, ma con un lungo impegno nell’IA (per rendere self-driving le sue auto) che potrebbe in futuro cambiare la situazione.

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La Tab. 2 ci mostra la consistenza delle big five e delle mag-seven anche in termini di ricavi, utile netto e numero di addetti. Può essere interessante far notare, come informazione aggiuntiva rispetto a quanto riportato nella tabella stessa, il posizionamento delle big five – fra tutte le imprese quotate mondiali – in termini di utili e ricavi.

Apple, Microsoft e Alphabet-Google si collocano nelle top 5 posizioni per consistenza dell’utile netto: Apple alle spalle di Saudi Aramco (prima fra le big oil) e le altre due alle spalle anche di Berkshire Hathaway (l’impresa finanziario-assicurativa con a capo Warren Buffett). E Meta-Facebook è in ventesima posizione, alle spalle di altre 10 big oil e 4 imprese bancario-finanziarie.

Molto arretrata per utili la posizione di Amazon, che viceversa è seconda al mondo fra le quotate alle spalle di Walmart per ricavi.

Amazon, che come noto non opera solo nell’ecommerce ma è leader mondiale con AWS nel cloud computing ed è in continua crescita nel digital advertising, è anche tra le prime società al mondo, quotate e non, per numero di addetti: un milione e mezzo circa, dopo i tagli post-pandemici. E la classifica relativa ai ricavi vede altre tre delle big five nelle prime 25 posizioni: Apple settima, Alphabet-Google quattordicesima e Microsoft venticinquesima.

Qualche domanda – senza risposte – sul futuro

La prima: lo slancio innovativo che ha proiettato le big five alle posizioni di vertice è ancora vivo oppure – come sempre più frequentemente sostengono le authority antitrust US, UE e UK – è la posizione di mercato quasi monopolistica che permette la loro permanenza nelle posizioni di vertice stesse?

La seconda: può essere il fiorire dell’IA generativa il motore di un rilancio della loro innovatività, sfruttando anche il fatto che esse dispongono delle grandi risorse finanziare e infrastrutture tecnologiche indispensabili per lo sviluppo dell’IA stessa?

La terza: crescerà ulteriormente, e non solo nei comparti nuovi, lo scontro fra le big five nel tentativo di allargarsi rubando spazi l’una all’altra? È quanto è ad esempio successo nel caso di Amazon, entrata con successo nel digital advertising sottraendo quote di mercato alle incumbent Google e Meta. E anche nel caso di Microsoft, che da un lato cerca di strappare la leadership ad AWS-Amazon nel cloud computing e dall’altro spera di sfruttare l’investimento fatto in OpenAI (oltre 10 miliardi di $) anche per far spazio al suo motore di ricerca Bing in un comparto del tutto dominato da Google,

La quarta: saranno in grado le big five di difendersi dai sempre più frequenti attacchi delle authority antitrust, resi politicamente più facili dal declino della loro immagine innovativa presso l’opinione pubblica? O comunque gli attacchi stessi, anche se non di completo successo, lasceranno ferite non piccole da rimarginare? Si pensi ad esempio alle possibili ricadute per Google ma anche per Apple di un divieto a mantenere in posizione privilegiata sull’iPhone il motore di ricerca della prima a fronte di un pagamento dell’ordine di 20 miliardi di dollari alla seconda. O ai danni che potrebbe subire l’ecommerce di Amazon se fossero posti dei vincoli – come accaduto in India – alla vendita di prodotti propri in concorrenza con quelli dei terzi che passano attraverso la sua piattaforma.

La quinta: quali danni potranno subire le big five dalla frammentazione in atto dell’economia internazionale, dopo essere state per molti anni fra i massimi fruitori della globalizzazione? Si pensi ai problemi – accennati in precedenza – che sia Apple, sia in tempi ancora più immediati Nvidia, si trovano ad affrontare a fronte delle forti tensioni fra Stati Uniti e Cina. E si pensi alle complicazioni, e ai danni alle economie di scala, che potranno derivare dalla differenziazione delle regole e dalla crescente voglia di dire la propria delle diverse authority antitrust.

La sesta e (almeno per ora) ultima: le big five continueranno a essere viste quasi come se fossero una sola impresa o fattori quali ad esempio quelli appena visti tenderanno a differenziare anche profondamente il loro futuro? Si pensi al caso di Meta, che – a seguito della scommessa sul metaverso – sembrava sulla via di uscita dal gruppo, dopo un crollo del 70% della sua capitalizzazione.

O alle big tech cinesi Tencent e Alibaba che, sino all’attacco portato loro da Xi Jinping, venivano spesso considerate come parte integrante di un gruppo più ampio delle big seven.

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