crisi dei semiconduttori

Perché passa dai chip la nuova politica industriale mondiale

La digital economy è basata su infrastrutture e componenti tutt’altro che immateriali. L’industria dei semiconduttori, in particolare, rallentata dalla pandemia è anche al centro di dispute politiche e commerciali tra Usa e Cina. Una tempesta perfetta che sta spingendo i governi verso la “sovranità dei circuiti integrati”

Pubblicato il 05 Mag 2021

Simone Vannuccini

docente presso la Science Policy Research Unit (SPRU) dell'Università del Sussex, Regno Unito

Photo by Jason Leung on Unsplash

Sotto la superficie delle dinamiche plasmate dalle tecnologie digitali, l’economia e in particolare i settori high-tech sono ancora profondamente tangibili e ‘materiali’, tanto da diventare – nel caso specifico dei semiconduttori, ma non solo – oggetto di un confronto economico e geopolitico che plasmerà i rapporti internazionali ancora negli anni a venire.

La ‘fisicità’ dell’infrastruttura e delle componenti tecnologiche che sorreggono la digital economy diventa infatti evidente non appena uno shock la colpisce: è il caso dei sempre più numerosi cyber-attacchi, ma ancor di più quello della pandemia globale.

Il Covid-19 ha influenzato sia la domanda che l’offerta: la prima ha avuto un boom grazie all’online shopping indotto dai lockdown; la seconda è stata ridotta dai contagi nelle filiere produttive.

Il combinato disposto di queste due dinamiche – più domanda e meno offerta – ha portato a un boom del costo degli shipping internazionali di containers (anche prima che il canale di Suez venisse temporaneamente bloccato) e a una carenza di componenti tecnologiche: senza chips, varie catene produttive (per esempio nel settore automobilistico) hanno dovuto fermarsi o rallentare.

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Un quadro, quello che andremo ad approfondire, molto complesso, e che richiede soluzioni complesse.

Economia digitale, ma tutt’altro che immateriale

A prima vista, le trasformazioni digitali sembrano tracciare il percorso verso un’economia e una società sempre più immateriali, fatte di piattaforme che mediano interazioni sociali e consumi, di nuovi prodotti intangibili, e di algoritmi che automatizzano i processi decisionali. In realtà, ciò che caratterizza le tecnologie digitali è la capacità di ridurre una serie di costi economici (Goldfarb e Tucker, 2019): quelli di ricerca delle informazioni (tramite sistemi di indicizzazione e piattaforme che facilitano il filtraggio delle informazioni), trasporto (via vendita al dettaglio online e consegna a domicilio), verifica (si pensi ai sistemi di validazione e rating caratteristici delle app e dei connessi modelli di business), tracking (per esempio, via cookies), e riproduzione (produrre contenuti ha alti costi fissi, ma crearne delle copie ha costi marginali prossimi o uguali a zero).

La riduzione di questi costi influenza dinamiche industriali come l’entrata e uscita delle imprese dai rispettivi segmenti o la concentrazione delle quote di mercato in pochi attori dominanti.

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Ma, come abbiamo già sottolineato, la digital economy – al contrario di quanto si possa pensare – è tutt’altro che immateriale. Il cloud computing non accade fra le nuvole ma in concrete computer farms; il settore della logistica su cui si basa l’eCommerce istantaneo cerca di farsi passare per invisibile, ma si avvale di una fitta rete di giganteschi magazzini; la connettività Internet, fissa o mobile, dipende dalla qualità di una vera a propria infrastruttura delle telecomunicazioni che ha letteralmente ramificazioni territoriali profonde. Questo multiplex, o rete di reti e dispositivi, è costituito da varie tecnologie, interdipendenti fra loro e sovrapposte in molteplici strati accumulati nel tempo. A sua volta, il funzionamento di tutto questo sistema si fonda sulla disponibilità di componenti prodotte dall’industria dei semiconduttori come circuiti integrati (chip) o memorie, che sono utilizzati nella totalità dei dispositivi parte dell’infrastruttura digitale così come in moltissimi altri prodotti.

L’industria dei semiconduttori torna al centro della politica industriale

In questo contesto turbolento e senza precedenti, ridurre l’incertezza riguardo la disponibilità di componenti tecnologiche fondamentali per il funzionamento e la crescita dell’economia diventa una priorità. Per questo motivo, l’industria dei semiconduttori è tornata ad essere al centro delle discussioni e decisioni di politica industriale, tecnologica, e dell’innovazione. Ancora più importante è il fatto che, oltre a essere un prodotto fondamentale dal punto di vista tecnologico, i semiconduttori sono anche un prodotto chiave dal punto di vista geostrategico. Non è quindi un caso che l’industria sia recentemente diventata oggetto delle dispute politiche e commerciali tra Stati Uniti e Cina.[1] Tra l’altro, nemmeno questa tendenza è una novità: il controllo delle esportazioni nel settore è già stato sperimentato ai tempi della competizione tecnologica fra Stati Uniti e Giappone, fra la fine degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta.

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La struttura della catena del valore dell’industria

La spiegazione per questa più recente battaglia globale per i chip si può trovare guardando alla struttura della catena del valore dell’industria. Nel corso degli anni, per far fronte ad una domanda e a costi di produzione crescenti, ma anche grazie a innovazioni tecnologiche importanti (come i sistemi di design computerizzato), la strategia dell’industria è stata quella della disintegrazione verticale. Infatti, pochissimi chipmakers sono ancora totalmente integrati (per il momento un esempio è Intel). La fase della fabrication, ovvero la produzione vera e propria dei chip, è nella maggior parte dei casi esternalizzata alle cosiddette foundries, che producono circuiti integrati per vari rivenditori (in competizione fra di loro). La maggior parte delle imprese sono dei produttori fabless, che si concentrano su design, ricerca, test e finalizzazione del prodotto. Dati gli ingenti costi di fabbricazione (un nuovo impianto può richiedere un investimento iniziale nell’ordine di 10-20 miliardi di dollari), le foundries sono pochissime, e la più importante, Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) è situata in un crocevia politico internazionale cruciale, appunto Taiwan. TSMC rifornisce una grande fetta di imprese (per esempio, il recentissimo chip M1 of Apple è prodotto da TSMC), ed è una delle compagnie al centro delle battaglie di politiche e incentivi incrociati fra Cina e US, volte a sviluppare capacità produttiva domestica (per la Cina) e a rilocalizzare (reshore) gli impianti di produzione (per gli Stati Uniti).

La posizione geografica e geopolitica di Taiwan la rende un catalizzatore di quell’incertezza che abbiamo menzionato. Per questo motivo, vari governi hanno iniziato a considerare interventi per garantire la produzione strategica di semiconduttori. Allo stesso tempo, le imprese del settore stanno sviluppando strategie per trasformare la situazione di frizione geopolitica in un’opportunità. Per esempio, Intel ha recentemente annunciato un investimento di 20 miliardi di dollari per aprire due foundries in Arizona[2], mentre TSMC pianifica di espandere la propria capacità di fabrication con un investimento di 100 miliardi di dollari[3].

I Governi ora inseguono una “sovranità dei circuiti integrati”

Come accaduto in fasi precedenti del ciclo di vita dell’industria, le condizioni esterne stanno ancora una volta esercitando pressioni sulla struttura produttiva dei semiconduttori. In questo contesto, le catene del valore potrebbero parzialmente re-integrarsi lungo i confini nazionali per garantire una “sovranità dei circuiti integrati”. L’idea di riportare la produzione in ambito domestico risponde dunque a motivazioni politiche, ma ha implicazioni per il mercato e la concorrenza: gli Stati Uniti hanno interesse a promuovere i propri campioni nazionali nel braccio di ferro con le potenze emergenti, e al contempo i chipmaker hanno interesse a restare competitivi in un mercato in via di consolidamento – e in particolare Intel punta a tornare ad essere l’impresa leader globale del settore.

Nonostante gli incentivi allineati, la leadership nella produzione dei semiconduttori non discende immediatamente dalle iniziative di politica tecnologica e commerciale: servono capacità tecnologiche e produttive di frontiera. Al momento, TSMC produce chips al technology node dei 7 e 5 nm, mentre la tecnologia Intel è al livello dei 10 nm. Questo stato dell’arte non significa che i chip Intel non siano appetibili per il mercato – la maggior parte dei dispositivi non implementa l’ultima generazione di chip. Piuttosto, la situazione dà un segnale riguardo a quale impresa ha le capacità per innovare in modo continuo e, dunque, di tracciare la traiettoria per l’evoluzione del settore.

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Strategie complesse per questioni complesse

Vista la complessità del quadro, anche le strategie messe in pratica dai produttori sono complesse: per esempio, Intel, un produttore integrato, esternalizza la produzione dei chip più avanzati proprio a TSMC, il competitor nel segmento fabricator della filiera produttiva. Contemporaneamente, la stessa Intel ha annunciato di aprire le proprie foundries ad altri produttori fabless tramite una nuova entità stand-alone, Intel Foundry Services – seguendo esattamente il modello di business di TSMC. E come se non bastasse, anche la domanda di chip sta cambiando, orientandosi sempre più verso prodotti e applicazioni basati sull’intelligenza artificiale – come abbiamo illustrato in un altro articolo ed in un nostro studio (Prytkova e Vannuccini, 2020). Anche quest’ultima tensione aggiunge variabili che i produttori devono necessariamente considerare e bilanciare per evitare di perdere quote di mercato.

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Conclusioni

In conclusione, la dis-integrazione della catena del valore dell’industria dei semiconduttori ha garantito la produzione necessaria a soddisfare le necessità di una infrastruttura digitale in espansione. Allo stesso tempo, ha creato le condizioni per una concentrazione di mercato nella fase produttiva dalle fabrication. Con l’emergere di tensioni geopolitiche che hanno ricordato la sua importanza strategica – una dinamica accentuata da shock recenti come la pandemia – l’industria si sta riorganizzando. I chipmaker che puntano alla leadership economica e tecnologica globale sperimentano un mix di strategie diverse, creando turbolenze nel mercato che influenzeranno certamente il futuro prossimo dei semiconduttori.

Abbiamo l’imbarazzo della scelta su come chiamare l’era tecnologica in formazione: quarta rivoluzione industriale, quinta (o sesta) onda lunga, industria 4.0, universo cyber-fisico (Lombardi e Vannuccini, 2021). Qualsiasi sia la definizione preferita, resta il fatto che la dipendenza da semiconduttori delle nostre società è ancora destinata a crescere.

Continuare a osservare gli sviluppi dell’industria e delle politiche che la influenzano è dunque un esercizio essenziale per provare a predire le traiettorie tecno-economiche che ci aspettano.

Golden Power sui chip, perché il Governo ha bloccato la vendita di LPE

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Bibliografia

Goldfarb, A., & Tucker, C. (2019). Digital economics. Journal of Economic Literature, 57(1), 3-43.

Lombardi, Mauro and Vannuccini, Simone, A Paradigm Shift for Decision-Making in an Era of Deep and Extended Changes (March 19, 2021). Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=3807948 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3807948

Prytkova, Ekaterina and Vannuccini, Simone, On the Basis of Brain: Neural-Network-Inspired Change in General Purpose Chips (February 1, 2020). SWPS 2020-01, Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=3536389 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3536389

  1. https://foreignpolicy.com/2021/02/16/semiconductors-us-china-taiwan-technology-innovation-competition/
  2. https://www.wired.com/story/intel-wants-revive-us-chipmaking-catch-up-first/
  3. https://www.sdxcentral.com/articles/news/tsmc-pledges-100b-foundry-boost/2021/04/

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