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Shein: le ragioni dietro le denunce di racket e furto di design



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Shein, brand di fast-fashion cinese, è al centro di polemiche per violazioni dei diritti di proprietà intellettuale e accuse di concorrenza sleale. Denunciato per racket e furto di design, affronta cause legali da designer e rivali. Nonostante critiche su pratiche lavorative e ambientali, tenta di migliorare l’immagine aziendale ampliando il suo mercato

Pubblicato il 2 apr 2024

Alessandra Lucchini

Avvocato cassazionista – DPO

Stefania Pellegrini

Avvocato e consulente privacy



ecommerce

Shein e Temu sono fast-fashion brand cinesi che hanno come mercato principale gli Stati Uniti: sono all’avanguardia nella moda ultraveloce, dove tecnologia e catene di fornitura altamente efficienti si incontrano per soddisfare la domanda dei consumatori di moda a prezzi bassissimi.

La velocità delle comunicazioni e la rapida evoluzione delle preferenze dei consumatori e della moda hanno creato una forte domanda da parte dei consumatori per questo modello commerciale che, tuttavia, non è esente da critiche e valutazioni negative soprattutto da quando negli ultimi mesi si è registrato un aumento del numero di denunce rivolte soprattutto nei confronti di Shein per violazione dei diritti di proprietà intellettuale e di copyright.

Proprietà industriale, proprietà intellettuale e concorrenza sleale

La proprietà industriale è ciò che tutela creazioni e invenzioni di un’azienda. In particolare, la proprietà industriale comprende, tra le altre cose:

  • Marchi ed altri segni distintivi, ovvero qualsiasi tipo di segno distintivo che identifica un’azienda o un prodotto.
  • Invenzioni e modelli di utilità che possono essere brevettati al fine di essere sfruttati e/o usati.
  • Segreti commerciali, ovvero qualsivoglia informazione riservata che conferisca un vantaggio competitivo.

Il Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) contiene la maggior parte delle norme che regolano i diritti industriali. Essa è parte della più ampia branchia definita proprietà intellettuale, che include anche il diritto d’autore e altri aspetti legati dell’innovazione.

In particolare, il diritto d’autore, regolato dalla legge 22 aprile 1941 n. 633, è l’insieme delle norme che proteggono le opere creative e intellettuali. Questa normativa riconosce gli autori di tali opere: i) diritti morali (ad esempio l’autore ha il diritto di rivendicare la paternità dell’opera, decidere sulla pubblicazione della stessa o il ritiro dal mercato) e ii) diritti patrimoniali (come lo sfruttamento economico dell’opera).

Le opere oggetto della tutela possono essere di diverso tipo: romanzi, saggi, poesie, composizioni musicali, opere teatrali, coreografie, disegni, fotografie, opere architettoniche, film e software.

Mentre i diritti di proprietà intellettuale tutelano gli interessi dei creatori, dando loro il diritto di proprietà sulle creazioni, i diritti di proprietà industriale tutelano gli interessi dell’azienda. Inoltre, la proprietà industriale riguarda l’innovazione tecnica e commerciale, mentre il diritto d’autore protegge l’espressione creativa e artistica.

La concorrenza sleale è invece una pratica che si verifica quando un’azienda adotta pratiche o strategie che danneggiano direttamente o indirettamente i concorrenti, causando distorsioni nel mercato, ad esempio con atti che cercano di far credere che il proprio prodotto provenga da un’impresa concorrente di maggiore prestigio, ad esempio imitando segni distintivi del concorrente; ed ancora con atti volti a diffondere discredito verso il concorrente o qualsivoglia atto contrario alla buona fede e correttezza (spionaggio, sviamento della clientela, storno dei dipendenti). Tra gli atti di concorrenza sleale, vi è certamente l’utilizzo di prezzi cosiddetti “predatori”, ovvero la pratica di applicare prezzi molto bassi, al fine di scoraggiare l’ingresso sul mercato o l’espansione di un concorrente, determinandone l’uscita affinché l’impresa predatrice ne assuma il monopolio.

La causa Perry, Martines, Barone c. Shein

In data 11 luglio 2023, tre designer americani indipendenti, Krista Perry, Larissa Martinez e Jay Baron, hanno citato in giudizio Shein per violazione dei diritti d’autore che detengono sui loro progetti e violazione del marchio.

I querelanti hanno anche denunciato Shein per violazione del Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act (RICO), sostenendo che la società ha un modello di coinvolgimento in “attività di racket e con lo scopo illegale di violare intenzionalmente e penalmente i diritti d’autore dei querelanti e di altri” con conseguente enorme guadagno finanziario.

Per comprendere la portata di questa causa è necessario analizzare quali siano i termini della controversia.

In sintesi, le posizioni dei querelanti possono essere così riassunte:

  • Krista Perry nel 2016 ha creato il design “Make it Fun”, opera che è stata registrata presso l’ufficio del copyright in data primo maggio 2023. Nel 2018, Perry ha scoperto che sui siti Shein.com e Romwe.com (un sito web correlato a Shein) stavano vendendo apparentemente prodotti con raffigurato “meccanicamente” uno dei suoi design [1]. Successivamente nel 2020 anche la creazione “Floral Bloom” sembrava essere stata “copiata” senza autorizzazione sul sito di Shein;
  • stessa situazione anche per Jay Baron: l’autore ha creato l’opera “Trying My Best” nel 2016. “Trying My Best” è un’opera originale per la quale Baron ha presentato domanda presso l’ufficio del copyright e ottenuto la registrazione il 3 maggio 2017;
  • infine, Larissa Martinez, nota come Larissa Blintz, amministratore delegato di una piccola impresa a conduzione familiare che progetta e crea abiti fatti a mano su ordinazione da un laboratorio, ha denunciato la violazione del suo design, “Orange Daises”.

Secondo tutti e tre i querelanti, gli atti compiuti da Shein ed evidenziati nella denuncia costituiscono violazione del diritto d’autore e comportano notevoli danni agli artisti stessi in relazione alla perdita di profitti e diminuzione del valore dei loro design e delle loro opere d’arte, dei diritti e della loro reputazione; a causa della condotta dei convenuti, la reputazione dei tre artisti come designer e la loro rispettive carriere sono state così irrimediabilmente compromesse, anche in ordine ai ricavi derivanti da quelle opere.

Non è la prima volta che il colosso del fast fashion si trova ad affrontare accuse di furto di proprietà intellettuale. Solo negli ultimi tre anni, secondo un’indagine del Wall Street Journal, l’azienda di abbigliamento è stata oggetto di almeno 50 cause legali federali relative alla violazione di marchi o diritti d’autore. Questi casi riguardano spesso un individuo o un piccolo gruppo di individui, ma Shein ha dovuto affrontare denunce simili anche da parte del rivale del fast fashion H&M di Hong Kong e di Temu per violazione dei suoi marchi e diritti d’autore.

In molte cause, Shein ha patteggiato con i querelanti, spesso per una cifra mai divulgata, in altri casi, ha risposto alle querele incolpando fornitori terzi. Shein, come risulta nelle citazioni contenute nella denuncia, si è, infatti, difesa sostenendo che le opere in contestazione non erano state prodotte dall’azienda, ma acquistate da un fornitore locale (per la posizione Perry in particolare, in un mercato di dipinti e accessori d’arte in Cina). La società affermava inoltre di aver chiesto ai fornitori di ricevere solo prodotti che non violassero i diritti di proprietà intellettuale e di aver adottato, prima di pubblicare il prodotto sul sito web, le misure necessarie per controllare la stampa e il testo senza trovare alcun riferimento alla proprietà intellettuale dedotta dai querelanti. Non è tuttavia dato di sapere quali siano tali misure.

Cos’è il Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act

Nella denuncia Shein viene infatti anche accusata di condurre attività di racketeering per il fine illecito e intenzionalmente criminale di violare i copyright dei querelanti e di ottenere sostanziosi guadagni in violazione del Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act (la legge sulle organizzazioni influenzate e corrotte RICO) [2].

Il Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act è, infatti, una legge federale statunitense, pensata per combattere il crimine organizzato – soprattutto di tipo mafioso – emanata nel 1970 durante la presidenza di Richard Nixon. In base a tale legge, inoltre, la semplice appartenenza ad un’associazione criminale, anche in assenza di una partecipazione attiva, determina la correità per i reati commessi anche da altri membri della stessa associazione. Il Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act rende illegale acquisire, gestire o ricevere entrate da un’impresa attraverso un modello di attività di racket: il principio alla base del RICO è, infatti, quello di provare e vietare una serie di crimini condotti attraverso una “impresa”, che il RICO definisce come “qualsiasi individuo, società di persone, società, associazione o altra entità giuridica, e qualsiasi unione o gruppo di persone associate di fatto pur non avendo personalità giuridica”. Secondo il RICO, pertanto, è un crimine per un soggetto appartenere a una “impresa” coinvolta in una modalità di racket, anche se il racket è stato commesso da altri.

Secondo i querelanti il modello di attività adottato da Shein rappresenta appunto un’associazione di fatto, “labirintica”, composta da numerose altre aziende che forniscono servizi di “design”, produzione, trasporto, amministrazione e esecuzione di importazione/esportazione, logistica, esecuzione e gestione dei resi e supporto, e copertura/difesa legale, come fosse una società madre globale, ma che è invece composta da una struttura decentralizzata di aziende autonome e distinte. La stessa individuazione del soggetto responsabile ai fini della denuncia è stata molto critica, portando i querelanti a denunciare la Shein Distribution Corporation, del Delaware; la Roadget Business Pte. Ltd. di Singapore, azienda di vendita al dettaglio elettronica di prodotti di bellezza e lifestyle, che opera come fornitore di Shein; la Zoetop Business Company, Limited di Hong Kong [3], che gestisce i diritti internazionali dei marchi di Shein e le attività di e-commerce e “Does 1-10 inclusive” terminologia con cui nei Paesi anglosassoni si intende definire fittiziamente persone o soggetti la cui vera identità è sconosciuta o non è ancora nota.

Nel nostro caso i tre stilisti hanno dunque affermato che “il furto di proprietà intellettuale e l’elusione della colpa da parte di Shein sono facilitati dal suo bizantino gioco di carte di una struttura aziendale”.

Il modello descritto della denuncia è quello di un’attività criminale di racket interrelata, connessa con altre attività, non isolata e perpetrata ad ogni livello aziendale, compresa la leadership. Secondo quanto riportato dai tre designer, le gravi violazioni del diritto d’autore costituiscono un racket, e poiché la condotta di Shein non sarebbe stata commessa da una singola entità, ma da un’associazione di fatto con la conseguente responsabilità, ai sensi del RICO, dei singoli componenti dell’impresa.

Mentre la causa per la violazione del diritto d’autore è ancora in corso, sul reato di racketeering il giudice ha recentemente deciso (14 febbraio 2024) che non ci siano gli estremi per l’accoglimento della domanda: secondo quanto si legge agli atti, la Corte non ha ritenuto di poter estendere la responsabilità RICO alle violazioni del copyright, ove gli atti non siano qualificati come contraffazione o pirateria [4].

La complessità della questione e le presunte ripetute violazioni effettuate da Shein hanno anche portato di recente all’azione di Uniqlo davanti alla Tokyo District Court contro Roadget Business Pte. Ltd., Fashion Choice Pte. Ltd., e Shein Japan Co., Ltd., “gestori” del marchio di vendita al dettaglio Shein, per aver messo in vendita prodotti che paiono copiare la forma della “Round Mini Shoulder Bag”, in violazione del Unfair Competition Prevention Act. In particolare, Uniqlo ritiene che la vendita di borse “di imitazione” da parte di Shein – oltre a costituire una violazione del copyright della stessa – mini in modo significativo l’alto livello di fiducia dei clienti nella qualità del marchio “Uniqlo” e dei suoi prodotti e alla denuncia (dicembre 2023) effettuata da Temu per comportamento anticoncorrenziale e “intimidazioni di tipo mafioso” [5]. Temu aveva già fatto causa a Shein per comportamento anticoncorrenziale a luglio, ma le parti avevano poi scelto di archiviare volontariamente il caso.

La politica strategica di Shein sui prezzi bassi: cause ed effetti

Shein negli ultimi anni ha guadagnato notorietà grazie alla massiccia presenza sui social e nei canali online, la cui mission è stata quella di rendere la moda accessibile a tutti.

La strategia aziendale si è da sempre distinta, infatti, per l’utilizzo di prezzi estremamente convenienti dei suoi prodotti.

Fondata nel 2008 da Chris Xu a Nanchino, Shein oggi vanta una struttura organizzativa globale di circa 10.000 dipendenti ed un fatturato che nel 2022 si è aggirato intorno ai 22,7 miliardi di dollari.

Ma quali sono i motivi che permettono di sostenere una tale scelta strategica?

In primo luogo, l’azienda è dotata di una produzione efficiente, che ha eliminato gli intermediari e i costi aggiuntivi. Questo permette loro di ridurre i costi di produzione. In secondo luogo, Shein produce in grandi quantità, il che ulteriormente abbassa i costi, utilizzando, peraltro, materiale non di alta qualità.

Inoltre, non possiede negozi fisici o centri di distribuzione, ma al massimo negozi temporanei.

È noto, inoltre, che la compagnia faccia utilizzo di tecnologie avanzate, ad esempio affidandosi a software di intelligenza artificiale, e più precisamente un algoritmo programmato per disegnare i capi di abbigliamento, spesso simili ad altri stilisti. Questo processo rapido è reso possibile dall’addestramento costante della macchina su nuove fonti social, come immagini e like, per prevedere gusti, abitudini e tendenze di consumo degli utenti. Questo software, infatti, monitora il comportamento dei clienti, analizza i dati ed è in grado di prevedere le tendenze di moda, trasferendo preferenze, aspettative ed idee al management di Shein.

Infine, un altro motivo che consente a Shein di applicare prezzi competitivi è la presenza costante nei social, che l’ha fatta diventare anche leader ne campo del social marketing. Inoltre, Shein offre un programma di punti che premia i clienti per la loro attività (per registrazione dell’utenza, per il numero di acquisti ma anche per i commenti sui prodotti).

Tuttavia, è importante notare che tutto ciò ha comportato molte critiche nel campo non solo del diritto, ma anche etico e non solo.

Come detto, Shein (e altre piattaforme di e-commerce cinesi) sono state criticate per la violazione della legge sulla proprietà intellettuale negli Stati Uniti. Shein, in particolare, come già detto, ha in sospeso oltre 50 casi federali.

L’impatto ambientale di Shein e lo sfruttamento dei lavoratori

Non solo. Dal punto di vista ambientale, ad esempio, Greenpeace, analizzando i capi di abbigliamento Shein, avrebbe scoperto l’utilizzo di sostanze chimiche pericolose in alcuni capi (si stima il 15% della produzione) che supererebbero i limiti consentiti dalle leggi europee, esponendo così a rischi sia i consumatori che i lavoratori di Shein. Il fatto di avere poi una produzione di massa comporterebbe da una parte una pressione sui lavoratori e dall’altra una altissima quantità di rifiuti tessili inquinanti e l’emissione nell’atmosfera di microfibre e sostanze chimiche, conseguenze dunque negative per il sistema ambientale.

L’azienda è stata criticata anche dal punto di vista umano per le cattive condizioni di lavoro riscontrate in alcune fabbriche nonché per la mancanza di trasparenza riguardo ai salari di alcuni dipendenti, che, a causa del sistema aziendale, impostato sulla quantità e velocità, sarebbero risultati altresì sfruttati e precari. Un documentario della rete televisiva britannica Channel 4 ha rivelato, ad esempio, che i lavoratori delle fabbriche di Guangzhou, terzisti di Shein, erano sottopagati e costretti a turni massacranti di 18 ore al giorno, 7 giorni su 7, con una sola giornata di riposo al mese.

Per queste critiche, Shein ha cercato di migliorare la sua reputazione e la propria modalità operativa: ad esempio, attraverso iniziative quali campagne di comunicazione più trasparenti riguardo alla produzione e ai materiali utilizzati (più ecologici), nonché politiche volte a migliorare le condizioni dei propri lavoratori e di quelli dei propri fornitori, anche attraverso audit interni volti a verificare il rispetto del Codice Etico. Non sono mancate da parte dell’azienda anche partecipazioni a iniziative di sostenibilità, ed anzi ogni anno Shein pubblica il Sustainability report, in costante miglioramento. Inoltre, l’azienda ha avviato collaborazioni con altre realtà al fine di ridurre le emissioni di gas serra e utilizzare soluzioni di imballaggio sostenibile.

I tentativi di Shein di pulire la sua immagine

Nonostante le pesanti accuse sopra descritte mosse da più fronti, il colosso non ha alcuna intenzione di intimidirsi ed ha, di contro, grandi prospettive di crescita. Si vociferano infatti diverse iniziative di espansione, prima fra tutte la richiesta di quotazione a Londra. Originariamente l’operazione sarebbe stata indirizzata sul mercato statunitense, ma sembrerebbe che la SEC – Securities and Exchange Commission non approvi la sua offerta pubblica iniziale. Shein, inoltre, sta lavorando molto anche per validare a livello internazionale la sua immagine anche dal punto di vista etico, ambientale e umano.

Da qui una considerazione è d’obbligo: investitori e consumatori dovrebbero valutare sempre più le aziende non solo in base ai profitti (i primi) e al basso prezzo (i secondi), ma anche alla loro responsabilità sociali e ambientali. Anche le agenzie di regolamentazione dovrebbero esaminare attentamente le pratiche aziendali prima di quotare le aziende: se su queste, infatti, aleggiassero accuse di simili violazioni quanto meno dovrebbero essere poste in essere indagini e, nel caso ciò sia accertato, sanzioni adeguate.

Conclusioni

Quello di cui forse avremmo bisogno è una maggiore compattezza sia tra i mercati che da parte dei consumatori: ciò comporterebbe maggiore rigidità di fronte a procedure aziendali contrarie ai diritti umani, ambientali o di leale concorrenza da una parte e dall’altra la sempre più valorizzazione, nel mercato, di pratiche trasparenti e coerenti ai principi a cui tutte le principali normative di mercato sono peraltro ispirate.

Note


[1] Cfr. Krista Perry, Larissa Martinez e Jay Baron v. Shein Distribution Corporation, A Delaware Corporation; Roadget Business Pte. Ltd; Zoetop Business Company, Limited – United States District Court – Central District of California, Western Division, Case 2:23-cv-05551, in https://dockets.justia.com/docket/california/cacdce/2:2023cv05551/891125.

[2] La particolarità del RICO risiede nella sua disposizione sulla cospirazione, basata su una logica aziendale, che consente di collegare insieme crimini apparentemente non correlati con un obiettivo comune in un modello perseguibile di racket. Mentre le disposizioni originali erano rivolte principalmente alla mafia, la cui struttura “sconnessa” rendeva difficile la condanna dei membri di alto rango a causa dell’incapacità di collegarli direttamente ai crimini, il Rico è successivamente utilizzato per smantellare molte importanti imprese criminali (cfr. https://www.ojp.gov/ncjrs/virtual-library/abstracts/rico-racketeer-influenced-and-corrupt-organizations-act-statute, https://www.justice.gov/jm/jm-9-110000-organized-crime-and-racketeering).

[3] Si ricordano a tal proposito il caso di Levi Strauss che, nel 2018, ha accusato Shein di essersi illegalmente appropriato di un’impuntura su jeans registrata da Levi’s, la denuncia di AirWar International, l’impresa che gestisce la produzione dei celebri anfibi Dr Martens, e Ralph Lauren, per violazione del copyright esposti che hanno visto come protagonista la Zoetop Business Co, società madre del gruppo e risolti con procedure extragiudiziali fuori dalle aule di tribunale.

[4] Cfr. Krista Perry, Larissa Martinez e Jay Baron v. Shein Distribution Corporation cit., https://www.courtlistener.com/docket/67598942/perry-v-shein-distribution-corporation/

[5] Temu accusa Shein di violazione del copyright e intimidazioni «mafiose» dei fornitori. Temu, lo store online low cost cinese, ha avviato una causa contro il suo rivale Shein per violazione del copyright e intimidazione dei fornitori, 14 dicembre 2023, https://www.ilsole24ore.com/art/temu-accusa-schein-intimidazioni-mafiose-nostri-fornitori-AFk3c02B; United States District Court – District of Massachusetts, Whaleco Inc. V. Shein Us Services, Llc, Shein Distribution Corporation, And Roadget Business Pte. Ltd., Case 1:23-cv-11596.

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