il fenomeno

Streaming illegale, il nuovo boom: come combattere il fenomeno

Insieme alla crescita dello streaming di contenuti digitali, non poteva non crescere anche la sua versione “abusiva”. Un fenomeno preoccupante e in forte ascesa da anni oggetto di azioni legali, nel settore della giustizia amministrativa, civile e penale. Il punto della situazione

Pubblicato il 04 Nov 2021

Luciano Daffarra

C-Lex Studio Legale

pirateria online

Lo streaming pirata conosce una nuova giovinezza, in parallelo con la nuova espansione dei servizi streaming in altri campi, in particolare quelli live e del calcio con DAZN.

Il fenomeno può giustificare interventi ad hoc per accelerare i tempi di applicazione delle misure di oscuramento dei siti pirata che utilizzano questa tecnologia, soprattutto nel caso di trasmissioni “live”.

Facciamo il punto.

IPTV illegale e streaming, cos’è e le multe per organizzatori e utenti

I numeri dello streaming

Oggi, le più importanti piattaforme del settore audiovisivo utilizzano lo streaming per offrire i loro contenuti ai consumatori, i quali – in numero sempre maggiore – ne usufruiscono.

Secondo gli studi condotti da EY[1] (la nuova denominazione della “Ernst & Young), la crescita della disponibilità di connessioni veloci sulla rete delle abitazioni e la forza espressa dai brand locali ha portato a un sempre maggiore utilizzo dello streaming, tanto che il 30% degli utenti in Olanda utilizza attualmente questo mezzo per la visione dei programmi televisivi in casa, percentuale che sale al 57% per i più giovani (18 – 24 anni)[2]. Nel nostro Paese, nell’anno 2020, gli utenti dello streaming sarebbero giunti, secondo la stessa fonte sopra citata, a sottoscrivere un totale di undici milioni di abbonamenti[3], mentre gli utenti globali OTT (over the top television) in Italia sarebbero da stimare intorno ai sedici milioni, cifra che risulterebbe addizionando al numero degli abbonati quello delle persone che utilizzano la visione in streaming attraverso la condivisione degli abbonamenti stessi.

Se lo streaming è “abusivo”

Non è difficile intuire peraltro che a fianco dell’utilizzazione delle piattaforme legittime per la fruizione dei contenuti messi a disposizione del pubblico, si siano collocati numerosi gestori di siti web abusivi che consentono la visualizzazione in streaming, a fronte di corrispettivi illeciti, dei contenuti di maggiore successo offerti dai titolari dei diritti di distribuzione delle serie e dei film disponibili sul mercato, anche cinematografico.

Per quanto riguarda questa fetta rilevante dell’offerta abusiva di prodotti creativi, va rimarcato che nel caso dello streaming “live” i contenuti protetti vengono in gran parte veicolati per il tramite di servizi IPTV (Internet Protocol Television) i quali altro non sono che sistemi di trasmissione dei segnali televisivi sulle reti informatiche basati sui protocolli TCP/IP[4]. In tale modo i programmi vengono immessi sulla rete Internet e ricevuti dagli utenti che versano un corrispettivo per tali fruizioni con l’acquisto o il noleggio di apparati abusivi di decodificazione speciale che sono tecnicamente dette set-top-box e, volgarmente, definiti “pezzotti”[5].

Come noto, le azioni illecite commesse dai soggetti che sottraggono le opere ai detentori dei diritti di distribuzione non si limitano alle trasmissioni “live” delle stesse: una volta che i relativi file siano stati acquisiti, il loro contenuto viene messo a disposizione del pubblico attraverso la rete internet sui siti di streaming illegale, sulle piattaforme P2P o sui “bot IRC”[6] per il file sharing, questi ultimi spesso per il tramite delle applicazioni di messaggistica istantanea. La condivisione dei file illeciti di norma avviene a fronte di un pagamento per l’acquisto di ogni singolo file (incluso il click pubblicitario), mentre per disporre di un accesso alle aree e ai servizi riservati dei portali web che dispongono delle library maggiormente appetibili per la loro ricchezza e varietà, gli utenti devono provvedere al versamento di un contributo (talvolta definito surrettiziamente “donazione”) che va a beneficio dei contraffattori: questi ultimi ricavano ulteriori somme ingenti tramite la remunerazione derivante loro dall’uso di pop-up e di messaggi pubblicitari raccolti per l’inserzione dalle numerose concessionarie di pubblicità che sostengono questi siti pirata[7].

Le azioni di contrasto alle violazioni online

Le violazioni on-line sopra descritte sono da anni oggetto di azioni legali, nel settore della giustizia amministrativa, civile e penale, sia per ottenere l’inibitoria al prosieguo degli illeciti, sia – in tempi più recenti – per imporre l’oscuramento dei siti web (prevalentemente attraverso il blocco dei DNS, senza escludere nei casi più gravi e rilevanti quello degli indirizzi IP coinvolti).

In particolare, le azioni penali nei confronti delle grandi piattaforme illegali si sono dimostrate particolarmente efficaci in Italia sin dall’anno 2008 con il sequestro preventivo della piattaforma The Pirate Bay e con la successiva incriminazione e condanna dei suoi amministratori[8].

Sul piano del diritto amministrativo assumono crescente importanza gli ordini di blocco imposti agli intermediari dei servizi di connettività dal Regolamento Aggom. sul D.D.A. online, giunto a un testo rafforzato nell’anno 2018[9] dopo i contenziosi e le polemiche durate numerosi anni che hanno riguardato i poteri interdittivi delle violazioni commesse dagli ISP spettanti all’Authority[10]. In questa stessa direzione, l’art. 2 della L. 167/2017 ha conferito all’Agcom. il potere di adottare misure interinali preventive contro le violazioni on-line[11]. I suddetti rimedi[12] sono stati inseriti nel Regolamento sul D.D.A. con Delibere Consiliari agli artt. 8-bis e 9-bis, essendo rivolti, il primo, a impedire la reiterazione di violazioni già in precedenza accertate dall’Autorità e, il secondo, a prevenire il pericolo di un danno imminente e irreparabile causato da violazioni che richiedano un intervento immediato, da attuarsi nei due giorni successivi all’istanza del titolare dei diritti, ricorrendone le condizioni.

È agevole notare che questo assetto normativo, accompagnato dalle disposizioni delle norme della Legge sul diritto d’autore che consentono l’adozione di provvedimenti d’urgenza per la descrizione e il blocco dei servizi online illegali (artt. 156 – 161 Legge Autore in combinato disposto con le norme del codice di procedura civile di cui agli artt. 669-bis e seguenti)[13], rappresenta uno strumento in grado di fronteggiare rapidamente i casi più gravi di pirateria online, seppure molti dei provvedimenti resi dai giudici competenti incontrino talvolta gravi limitazioni costituite dalla collocazione all’estero di molti dei servizi illeciti disponibili sul nostro territorio. Tale circostanza, infatti, impedisce un’efficace rimozione dei contenuti abusivi i quali, di frequente, dopo l’oscuramento dei siti web che li ospitano nel territorio italiano, vengono trasferiti dalle organizzazioni criminali che li finanziano su altre piattaforme anch’esse situate in stati esteri poco orientati alla tutela del diritto d’autore.

Streaming illegale: cosa succede negli Usa

Le preoccupazioni derivanti dallo streaming illegale, al pari del fenomeno della pirateria nel suo complesso, non sono peraltro una peculiarità solo del nostro paese. Negli Stati Uniti, ad esempio, la legge 27 dicembre 2020, proposta dal Sen. Thom Tillis (Repubblicano) e denominata “Protecting Lawful Streaming Act”[14] ha incrementato le sanzioni penali nei confronti di chi, per scopo di lucro o per fine di profitto, mette a disposizione del pubblico contenuti protetti attraverso la tecnologia streaming.[15]

Le pene previste per quello che da “misdemeanor” (reato lieve) è divenuto con questa legge “felony” (reato grave, c.d. “Federale”), sono quelle detentive e prevedono la sanzione dell’imprisonment (carcere) per cinque anni (dieci anni in caso di recidiva) a carico di coloro i quali gestiscano servizi di trasmissione digitale illeciti, escludendosi invece l’applicazione di sanzioni per gli utenti[16].

Conclusioni

In conclusione di questa rapida panoramica sul tema, si osserva che può rappresentare un problema di sempre maggiore rilevanza quello legato alla condivisione da parte degli utenti – al di fuori della cerchia ordinaria della famiglia (Art. 15 Legge Autore) – delle credenziali di accesso alle piattaforme digitali che offrono i servizi in streaming, tema che impone peraltro precise determinazioni in merito da parte dei loro gestori.

Invero, l’esercizio da parte di imprese non autorizzate di attività di accesso / scambio delle credenziali di accesso alle piattaforme legittime, oltre a porre questioni di concorrenza sleale nei confronti dei titolari dei diritti e dei legittimi distributori a mezzo dello streaming delle opere tutelate, ove sussistano in tal senso precise indicazioni contrattuali, dà vita alla messa a disposizione del pubblico di un servizio digitale riservato agli abbonati che viola i diritti esclusivi di cui alla norma della Legge Autore sopra citata.

Note

  1. Una delle principali imprese multinazionali nel settore della consulenza globale per le aziende
  2. EY Rapporto: “Zooming in on household viewing habits”
  3. I dati 2021 sviluppati da EY sono sintetizzati dal sito web “Calcio e finanza” nel seguente articolo
  4. Questa è una definizione del termine tecnico
  5. Gli aspetti relativi alla normativa penale applicabile alle ipotesi di IPTV abusive, che sottraggono il segnale delle emittenti e delle piattaforme legittime, per il tramite di codici di accesso clonati e di set-top-box modificate per rendere accessibili migliaia di programmi di qualsiasi emittente digitale agli utenti di un determinato Paese, sono disciplinate – secondo le più recenti indicazioni della giurisprudenza – dagli Artt. 171-ter lett. f-bis) e dall’Art. 171-octies della Legge 633/1941 e sotto il profilo delle sanzioni amministrative dal D. Lgsl. 373/2000.
  6. Questa la definizione data al termine da Wikipedia
  7. Sul tema, si rimanda a questo link
  8. L’oscuramento dei siti web illegali, in applicazione dell’art. 321 c.p.p. sul sequestro preventivo penale, è stato sancito per la prima volta dalla Corte di Cassazione Penale nel noto caso The Pirate Bay (Sent. Cass. Pen. 49437/09, Sezione III). Le azioni volte alla rimozione e alla disabilitazione dell’accesso ai contenuti abusivi sono state confermate a livello comunitario, sulla scorta delle norme dell’Unione Europea (Direttiva 2000/31/CE, Direttiva 2001/29/CE, Direttiva 2004/48/CE), dalla Corte di Giustizia con successive decisioni. Si ricordano nel merito in questa sede i casi Oreal, Sent. C-324/09 del 12 luglio 2011, le Sent. Telekabel (C-314/2012) e Tommy Hilfiger Licensing C-494/15). La linea giurisprudenziale attuale della CGUE è quella di garantire misure deterrenti efficaci nei confronti degli intermediari che non pongano fine alle violazioni o che non impediscano il ripetersi delle stesse.
  9. Per un esame generale dell’argomento 
  10. Tali poteri traggono origine dall’art. 8 della Direttiva Infosoc (2001/29/CE), nonché dagli artt. 3 e 9 della Direttiva Enforcement (2004/48/CE)
  11. Delibera del Consiglio Agcom. n. 490/18/CONS del 16 ottobre 2018 rinvenibile qui 
  12. Numerosi sono i provvedimenti che, seguendo la linea interpretativa delle norme in materia di D.A. hanno imposto agli intermediari della società dell’informazione l’obbligo di adottare misure tecniche efficaci, capaci di impedire ulteriori violazioni dei diritti oggetto delle decisioni di blocco del DNS (cfr. Tribunale di Milano, Sent. 8 maggio 2017 (N. 11837/2017).
  13. La normativa fa parte del “Consolidated Appropriations Act” del 2021 ed è disponibile 
  14. La sopra ricordata normativa statunitense non fa alcuna distinzione fra pubblica rappresentazione/esecuzione, riproduzione o messa a disposizione del pubblico dei contenuti protetti in streaming.
  15. Il nostro ordinamento ha previsto lievi sanzioni per gli utenti di servizi abusivi online (Art. 174-ter della L. 633/1941)

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