L'analisi

Appalti pubblici, il mito della semplificazione delle procedure: cosa serve davvero

Il PNRR punta sulla semplificazione dei contratti pubblici come elemento fondamentale per il rilancio dell’Edilizia e delle infrastrutture: il rischio però è non sopperire davvero ai fronti critici del settore appalti

Pubblicato il 29 Giu 2021

Maria Luigia Barone

Direttore Amministrativo ASST Melegnano

Loredana Luzzi

Dirigente UO PAL - Direzione Generale Istruzione formazione e lavoro (IFL) Regione Lombardia - Componente comitato direttivo AisDET

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Il PNRR al paragrafo relativo alle Riforme rimette al centro il tema della semplificazione in materia di contratti pubblici, investendo sull’assunto che la “semplificazione delle norme in materia di appalti pubblici e concessioni è obiettivo essenziale per l’efficiente realizzazione delle infrastrutture e per il rilancio dell’attività edilizia: entrambi aspetti essenziali per la ripresa a seguito della diffusione del contagio da Covid-19. Tale semplificazione deve avere a oggetto non solo la fase di affidamento, ma anche quelle di pianificazione programmazione e progettazione”.

Si tratta di un tema ricorrente nella politica italiana che, al di là dei risultati realmente raggiunti, da sempre rincorre la semplificazione delle procedure quale strumento unico o quanto meno prioritario per l’efficientamento della spesa pubblica e la rapida iniezione di liquidità nel sistema produttivo, da realizzarsi attraverso la compressione dei tempi di aggiudicazione dei contratti e la rapida esecuzione delle commesse pubbliche.

Il PNRR in realtà accenna con soave leggerezza alla necessità di estendere la semplificazione non solo alla fase di affidamento ma anche a quelle di pianificazione, programmazione e progettazione. Ma si tratterà di capire come possa essere realizzato tale obiettivo, in particolare con riferimento alla programmazione ed alla progettazione.

Semplificazione appalti, la necessità di regole chiare

Senza una riforma strutturale e profonda dell’intero impianto della PA e delle relazioni tra i vari soggetti che la compongono, che finirebbe per mettere in crisi molti centri di interessi e di potere consolidati, riesce difficile immaginare contenuti e modi di una riforma rapida ed efficace sui cardini della pianificazione, della programmazione e della progettazione. Innanzitutto bisogna sgomberare il campo da equivoci: semplificare non deve significare deregolamentare nel senso di cancellare le regole e dare spazio all’ingresso di soggetti od organizzazioni malavitose nella gestione delle risorse a disposizione.

Decreto Semplificazioni bis, gli interventi su appalti, ambiente e digital: ecco cosa cambia

Semplificare deve invece significare ribadire la necessità di regole e controlli indicando chiaramente tempi e competenze degli attori in gioco. Pensiamo al tema della progettazione, ad un certo punto, nel nostro ordinamento, è stata inserita la validazione dei progetti, pregevole azione perché in questo modo si evita quanto visto, purtroppo spesso nel passato: progetti non adeguati che all’atto dell’esecuzione dell’opera mostravano tutti i loro limiti.

Chi di noi non ha mai visto, in un qualche trasmissione televisiva di denuncia il famoso viadotto che terminava, incompiuto, di fronte ad una parete di un edificio? Per non parlare delle costosissime e pericolosissime “varianti in corso d’opera”. Ebbene, però la validazione del progetto non deve significare il ripercorrere, anche in termini di tempo, l’elaborazione dei progetti. In molti casi poi è lo stesso corpus normativo che porta i funzionari pubblici a non essere certi del percorso da seguire: norme su norme, rimando a decreti attuativi mai adottati e pubblicati.

Il fronte critico dei ricorsi

Un altro aspetto è quello relativo ai ricorsi ed alla giustizia amministrativa: bisogna riconoscere che i più recenti interventi normativi sul Codice degli appalti hanno, in qualche modo, ridotto il contenzioso ma ancora non è sufficiente. Vi sono settori economici in cui non è possibile aspettarsi la gestione di un appalto senza contenzioso (un esempio su tutti il mercato delle pulizie).

Il progetto del Sant’Anna di Pisa

A tale proposito sembra molto interessante il progetto in fase di sviluppo al Sant’Anna di Pisa con la messa a punto di un data base e di un algoritmo di “giustizia predittiva”… esperimento in piccolo già in atto a Brescia, grazie alla collaborazione fra Corte di Appello Tribunale ed Università che mettono a disposizione su alcuni temi della giustizia civile, le singole fattispecie e l’esito del contenzioso.

La responsabilità delle commissioni

Un altro aspetto ancora è quello legato alla responsabilità dei componenti delle commissioni aggiudicatrici ed alla necessità di riconoscere economicamente, l’impegno richiesto. Quante volte abbiamo registrato ritardi nei tempi delle procedure “perché non si riesce a convocare la commissione”? La messa a fuoco delle questioni e delle possibili soluzioni appare certamente ancora troppo approssimativa e confusa.

Le cause dei blocchi

Resta fermo in ogni caso che sulla stampa e nei dibattiti televisivi imperversa più che mai la narrazione dominante in base alla quale il blocco dei cantieri e le ragioni della lentezza nell’attivazione di contratti pubblici dipenda da un quadro normativo eccessivamente oneroso per la PA sotto il profilo procedimentale e che la chiave risolutiva della questione dipenderebbe dalla possibilità di allentare le maglie della disciplina. Anche la denominazione delle fonti rivela la collettiva e forse troppo ingenua fiducia nel mito della corsa verso la “destrutturazione” dei processi amministrativi in materia di appalti pubblici quale strada certa di “ripresa” del Paese, quest’ultima da molti anni oramai annunciata come prossima e mai realmente realizzata. Decreto “Sblocca cantieri” e Decreti “Semplificazioni” li hanno chiamati, questi ultimi nella doppia versione anno 2020 e 2021.

Le domande che ci poniamo allora sono le seguenti: ma davvero i veri problemi del nostro Paese derivano dalla eccessiva onerosità e complessità delle procedure di gara? Davvero la lentezza nella realizzazione delle grandi opere, nella manutenzione delle strade, nello sviluppo della rete integrata dei trasporti, nella digitalizzazione avanzata di tutte le Pubbliche Amministrazioni e la difficoltà ad acquisire rapidamente e bene servizi e forniture di elevata qualità, per esempio in settori strategici come quello della salute pubblica, dipendono da disposizioni normative che rendono le procedure di selezione dei contraenti eccessivamente lunghe e soggette a contenziosi?

Ci si chiede se davvero sia indispensabile attenuare gli effetti di norme finalizzate a garantire trasparenza, massima concorrenza, parità di trattamento per incrementare la qualità dei risultati della contrattualistica pubblica nel rispondere ai bisogni dei cittadini (cioè di tutti noi) e contestualmente sostenere l’economia del Paese e lo sviluppo delle imprese che di essa ne sono lo scheletro. E se davvero l’antidoto alla paralisi e alle contraddizioni che colpiscono questo Paese sia rappresentato dalla possibilità di abbassare il livello delle regole, dietro lo sbrigativo pretesto che se gli appalti sono bloccati, per sbloccarli basti eliminare le gare o, peggio diminuire i livelli di trasparenza, per esempio fissando soglie di valore sempre più alte entro le quali i pubblici funzionari possano affidare contratti senza l’espletamento di procedure pubbliche per perseguire gli obiettivi di efficienza, efficacia, tempestività, qualità nelle commesse pubbliche.

Cosa dicono i dati

Innanzitutto bisogna chiarire se sia vero che ritardi e inefficienze derivino proprio dall’impossibilità o dall’incapacità della PA di contrattualizzare entro termini ragionevolmente contenuti per fatti addebitabili al quadro delle regole. Ci piace partire da una rilevazione oggettiva fondata su numeri tratti dalla Banca Dati Nazionale dei Contratti ripresi nelle Relazioni annuali al Parlamento dell’ANAC, ben illustrati da Michele Corradino nel suo recente libro “L’Italia immobile. Appalti, Burocrazia, Corruzione – I rimedi per ripartire” (ed. Chiarelettere, novembre 2020). Negli ultimi anni il volume complessivo degli appalti è sempre cresciuto, passando da 111 miliardi di euro del 2016, ai 139 miliardi del 2017, ai 139,5 miliardi del 2018 e ai quasi 170 miliardi del 2019. Il valore degli appalti pubblici ha registrato quindi una costante crescita ogni anno nell’ultimo triennio, ad eccezione del 2020, che per ovvie ragioni connesse alle conseguenze del lockdown imposto dalla pandemia da Covid-19 non prendiamo in considerazione. I numeri dicono, in controtendenza rispetto al mantra ricorrente, che nel 2019 non c’è stato alcun blocco delle gare e che anzi si registra una vera e propria accelerazione.

Per inquadrare correttamente l’enigma in tutte le sue parti ed evitare di cercare soluzioni a problemi che in realtà non si pongono o a problemi che rappresentano solo una parte del tutto, peraltro a scapito degli istituti posti a baluardo delle garanzie di legalità, vale la pena ricordare che la vita dell’appalto si articola in 4 fasi:

  • programmazione;
  • progettazione;
  • aggiudicazione;
  • esecuzione

e che gli interventi di “semplificazione” promossi e ampiamente dibattuti di recente concentrano invece tutti gli sforzi esclusivamente sulla fase 3 dell’intero ciclo; quindi solo su una parte del problema, quello delle gare. Concentrare gli sforzi di riforma su un unico aspetto, peraltro declinato in interventi spot di dubbia efficacia rispetto all’obiettivo finale, può rappresentare l’ulteriore occasione per perpetuare il colpevole equivoco che si possa curare con l’aspirina il tumore del sistema.

Le deroghe alle norme codicistiche introdotte dal primo Decreto “Semplificazioni” (D.L. 76/2020) sono state prorogate fino al 31 dicembre 2023 dall’ultimo recentissimo Decreto “Semplificazioni” bis e temporaneamente, fino alla sua completa liberalizzazione in coerenza con le direttive europee, la percentuale del subappalto è stata fissata al 50% rispetto al valore complessivo del contratto. Davvero dobbiamo allora far finta di credere che il rilancio dello sviluppo e dell’economia del paese per la parte connessa alle ingenti risorse dei finanziamenti derivanti dal PNRR dipenda dalla foglia di fico bucherellata rappresentata dalle deroghe alle norme codicistiche che tutti conosciamo?

I problemi del Decreto Sblocca cantieri

Il vulnus vero dell’attuale sistema normativo degli appalti ci sembra rappresentato, più che dalla rigidità e dai limiti dei singoli istituti codicistici, su cui il legislatore è intervenuto e intende ancora farlo, dalla estrema polverizzazione e stratificazione delle fonti, aggravata da una riforma di “semplificazione” avviata dal decreto Sblocca cantieri rimasta a metà del guado. Con il Decreto Sblocca cantieri si sarebbe dovuta attuare la sostituzione delle linee guida ANAC con il nuovo Regolamento governativo. L’obiettivo però è stato raggiunto solo a metà perché la tecnica normativa adottata, di indicare nominativamente gli atti normativi abrogati, ha generato un nuovo sistema in cui convivono Regolamento unico, decreti ministeriali e praticamente quasi tutte le linee guida preesistenti, in un intreccio normativo tutt’altro che lineare.

La tanto annunciata semplificazione del Decreto Sblocca cantieri ha provocato una ulteriore complicazione a carico dei funzionari pubblici e delle imprese che, alle condizioni attuali, dovranno fare i conti con un quadro normativo ulteriormente complicato rispetto al passato. La maggior parte delle linee guida, vincolanti e non vincolanti, rimarranno in vigore e ad esse si aggiungerà, senza sostituirle, il nuovo Regolamento governativo, elaborato da una commissione di esperti lo scorso anno e rimasto congelato in qualche cassetto sconosciuto insieme ai numerosi atti previsti dal Codice per metterlo a regime. L’investitore straniero che volesse farsi un’idea del nostro sistema degli appalti potrebbe essere facilmente tratto in inganno sui contenuti dei singoli istituti nel caso in cui si affidasse alla mera lettura del Codice dei contratti pubblici. E questa sarebbe l’unica speranza di attrarre ancora la sua volontà di investire in Italia.

I punti urgenti da attuare

Se appare ingenuo e anzi mistificatorio pensare di affidare la realizzazione dei progetti del PNRR solo rivedendo o cancellando il Codice dei contratti, occorre attendere la legge delega di settembre per vedere se il legislatore saprà puntare il dito e porre le basi per una più ampia e organica riforma che tocchi, tra gli altri, alcuni punti che riteniamo particolarmente sensibili:

  • riordino delle fonti normative e regolamentari in materia di appalti pubblici e riconduzione del corpus normativo ad unità, come già detto sopra;
  • attuazione dell’attesa riforma della qualificazione delle stazioni appaltanti (magari evitando, se possibile, di individuare criteri e indicatori di carattere meramente formali, già preannunciati nella bozza di decreto ministeriale in circolazione nel 2018);
  • inserimento nei ruoli delle pubbliche amministrazioni di competenze tecniche e giuridiche adeguate, anche per cogliere la sfida digitale. A questo proposito saranno determinanti le nuove modalità di svolgimento dei concorsi annunciate dal Ministro della Pubblica Amministrazione;
  • puntuale ridefinizione di un sistema di relazioni endoprocedimentali tra vari enti dell’articolato corpo della P.A. nelle fasi di progettazione e realizzazione delle grandi opere (riforma della conferenza dei servizi; riduzione del numero di enti coinvolti; contenimento dei tempi procedimentali a ciascuno di essi riconosciuti per l’espressione del loro potere; responsabilità chiare e certe per i ritardo nel rilascio di pareri e autorizzazioni);
  • riforma del sistema dei controlli (Corte dei Conti; Collegio Sindacale) che preveda lo spostamento della funzione di controllo verso una più spinta vocazione consultiva e di controllo collaborativo a supporto ai singoli enti della P.A..
  • reintroduzione della possibilità di avviare le procedure di gara, in particolare per il completamento delle opere o per il rinnovo tecnologico, nelle more del ricevimento dei finanziamenti (aggiudicazione condizionata); in questo modo le procedure vanno in parallelo e non in sequenza e, una volta approvati i piani di riparto (si veda edilizia sanitaria e/o universitaria) le stazioni appaltanti potrebbero avviare la realizzazione delle opere in brevissimo tempo;
  • sul fronte della progettazione si potrebbe scrivere un capitolo a parte: si pensi che, ad esempio, le Università , che dispongono di fior fior di ingegneri ed architetti, non possono coinvolgere il proprio personale nelle fasi della progettazione, è semplicemente assurdo che uno Stato si privi di competenze specifiche, peraltro disponibili. Almeno fino alla fase della progettazione preliminare dovrebbe essere un obbligo potersi avvalere del proprio personale, ovviamente introducendo meccanismi di incentivazione e di riconoscimento economico. E gli ordini professionali? Avranno modo di “rifarsi” nelle altre fasi progettuali. Ad oggi si assiste al paradosso che il privato può utilizzare liberamente professionisti ed anche progetti “donati” mentre la PA resta al palo e spesso, deve procedere con progettazioni che, al momento della realizzazione, risultano “vecchie”.

Conclusione

Infine, un tema molto interessante e da cui si dovrebbe partire per vedere la tematica della realizzazione delle opere pubbliche da un punto di vista globale ed inclusivo – che tenga conto delle relazioni fra gli edifici e le realizzazioni ed il ciclo di vita delle persone e dei luoghi – è quello che affronta Angelo Ciribini dell’Università di Brescia che, giustamente punta l’attenzione sulla datification dei procedimenti tecnico amministrative e non solo sulla digitalizzazione delle procedure.

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