Procurement

Codice appalti, ecco i due “bug” che rallentano la riforma

Non c’è ancora l’elenco Anac delle stazioni qualificate. E le aziende sono costrette a studiare procedure diverse per ogni piattaforma digitale, mancando un linguaggio comune tra le stazioni appaltanti

Pubblicato il 16 Ott 2017

Giampaolo Austa

avvocato presso lo studio legale Di Martino, specializzato in appalti pubblici in sanità

procurement

Non avevamo ancora fatto in tempo ad abituarci alle novità del Nuovo Codice degli Appalti (Decreto Legislativo n. 50/2016), che il Legislatore è nuovamente intervenuto con la pubblicazione del Decreto Legislativo n. 56/2017 contenente disposizioni correttive ed integrative al suddetto Codice.

I più attenti ricorderanno che già a luglio 2016, quindi a soli tre mesi dall’approvazione del Codice, era stato pubblicato un avviso di rettifica che, a dispetto del nome, ha modificato sin da subito circa 100 articoli su 220, ossia, il 44% dell’intero articolato.

Anche il Correttivo, efficace per le gare indette a partire dal 20 maggio 2017, è intervenuto con oltre 300 modifiche, compreso il cambio di denominazione del Decreto legislativo n. 50/2016 che, ora, è denominato Codice dei Contratti Pubblici.

Dette modifiche hanno riguardato tutti gli istituti più rilevanti del Codice, a partire dagli affidamenti di valore inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, passando per le norme in tema di commissioni giudicatrici e di qualificazione delle stazioni appaltanti. Conseguentemente, anche i – pochi – provvedimenti attuativi perfezionati finora e, in particolare, le linee guida dell’ANAC nn. 3, 4, 5 e 6, hanno dovuto essere sottoposti ad una revisione e ad una nuova consultazione pubblica al fine di recepire le modifiche apportate alla normativa primaria.

In presenza di tante e tali modifiche non ci si può certo aspettare che il processo di attuazione del Codice dei Contratti Pubblici possa dirsi concluso.

Detto ciò, com’è noto, il Legislatore, in sede recepimento delle Direttive comunitarie, ha puntato alla realizzazione di due ambiziosi obiettivi: la centralizzazione delle committenze e la digitalizzazione delle procedure di appalto. Detti strumenti avrebbero dovuto garantire, da un lato, maggiore specializzazione, competenza e uniformità delle procedure e, dall’altro, più efficienza e trasparenza nelle gare indette dai soggetti, pubblici o privati, tenuti all’applicazione del Codice dei Contratti Pubblici.

LEGGI QUADRO SFIDE 2018 CODICE APPALTI

Primo problema

Sotto il primo profilo, la norma è tuttora inattuata stante il fatto che, ad oggi, l’ANAC non ha ancora costituito l’apposito elenco all’interno del quale dovrebbero essere incluse le stazioni appaltanti qualificate con specificazione delle relative abilitazioni. Fino al momento in cui sarà pubblicato il suddetto elenco, giova ricordarlo, i requisiti di qualificazione sono soddisfatti mediante la mera iscrizione del soggetto appaltatore all’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti (AUSA). In altre parole, oggi tutte le stazioni appaltanti sono abilitate ad indire qualsiasi procedura di gara a prescindere dal valore e dalla complessità. Quindi, nonostante i proclami, oggi, le stazioni appaltanti sono rimaste circa 32.000 e non vi è stata alcuna riduzione del loro numero e/o delle loro competenze, fatto salvo l’obbligo di ricorrere, in taluni limitati casi, alle centrali di committenza regionali.

Secondo problema

Sotto il profilo della digitalizzazione delle procedure, l’art. 58 del Codice stabilisce che le stazioni appaltanti devono gestire le procedure di gara esclusivamente tramite strumenti telematici.

La norma porta con sé un’effettiva portata innovativa essendo abituati, come eravamo, a combattere ancora con plichi e ceralacca, ma, nella pratica, ogni centrale di committenza ha sviluppato metodi propri di gestione delle procedure, seppur telematiche. Più precisamente, quasi tutte le stazioni appaltanti, compresa CONSIP e le centrali di committenza regionali, hanno esternalizzato il servizio di sviluppo e gestione delle piattaforme telematiche nell’ambito delle quali gli operatori economici sono invitati a formulare le proprie offerte e a caricare e consultare tutti gli atti e i documenti di gara. Peccato che ogni gestore abbia autonomamente sviluppato le piattaforme che, nella prospettiva dell’offerente, sono diverse l’una dall’altra con buona pace della promessa semplificazione.

Per questi motivi, pur dovendo constatare che effettivamente grossi passi in avanti sono stati fatti sotto il profilo della digitalizzazione delle procedure, con indubbi vantaggi dal punto di vista della trasparenza e del buon andamento della macchina amministrativa. Non pare potersi dire altrettanto dal punto di vista degli operatori economici costretti, ogni volta che si trovano a dialogare con una stazione appaltante diversa, a studiare una nuova procedura su una nuova piattaforma digitale con inevitabili dubbi interpretativi legati alle singole specificità dei software e dei regolamenti utilizzati.

Pertanto, auspicando una veloce attuazione dei provvedimenti in tema di centralizzazione delle committenze, sarebbe opportuno che non ci si accontentasse della mera digitalizzazione delle procedure di gara, ma che si chiedesse alle stazioni appaltanti di sviluppare piattaforme che utilizzano un linguaggio comune così da facilitare all’operatore economico la predisposizione e la trasmissione delle offerte. D’altronde l’interoperabilità dei sistemi di gestione e comunicazione basato sugli standard è anch’esso un obiettivo non solo del Codice dei Contratti Pubblici, ma anche del Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione in fase di realizzazione.

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