Il piano

Spesa pubblica ict, la roadmap per risparmiare 800 milioni

L’obiettivo di risparmio che è stato fissato da AgID per la fine del triennio 2016-2018 è quantificato in 800 milioni, corrispondente al 50% della spesa corrente aggredibile, ma come intende riuscirci e con quali sfide?

Pubblicato il 31 Lug 2017

Enrico Martini

ministero dello Sviluppo Economico

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Uno degli obiettivi del Piano triennale Agid è quello di guidare la razionalizzazione della spesa ICT della Pubblica amministrazione e il suo riorientamento a livello nazionale. 

La spesa annuale media ICT delle PA nel triennio 2013-2015 è stata di 5,6 miliardi, ma la spesa corrente che AgID ritiene “aggredibile” ai fini della spending review è pari a circa 1,7 miliardi. L’obiettivo di risparmio che è stato fissato per la fine del triennio 2016-2018 è quantificato in 800 milioni, corrispondente al 50% della spesa corrente aggredibile.

Su quali direttrici chiave il Piano triennale si muove per centrare tale obiettivo?

Il percorso indicato prevede la riqualificazione della spesa favorendo la connettività laddove carente e gli investimenti in innovazione, la liberazione di risorse oggi impegnate per il finanziamento della spesa corrente, l’ottimizzazione e il controllo della spesa tramite il transito dalle centrali di committenza di tutti i possibili fabbisogni.

Già nel 2016 tutte le amministrazioni hanno ricevuto indicazioni coerenti con queste disposizioni, ma ora il Piano rafforza il percorso concentrando gli sforzi su alcune azioni specifiche.

Per quanto riguarda le modalità di acquisto tramite Consip e altri soggetti aggregatori, AgID stima, in via cautelativa, un risparmio a fine 2018 generato dall’adesione alle Piattaforme abilitanti e dall’ottimizzazione delle licenze, pari a circa 480 milioni.

Lungo tale direttrice AgID prescrive interventi di IT asset management per l’ottimizzazione dei processi di acquisto e di gestione delle licenze software, quali ad esempio l’acquisto di software in modalità Software as a Service, la razionalizzazione e standardizzazione delle applicazioni, l’uso di software open source, l’utilizzo estensivo degli strumenti esistenti di Consip e altri soggetti aggregatori.

Per conseguire l’obiettivo complessivo di spesa hanno un ruolo altrettanto importante le azioni di taglio della spesa corrente che seguono tutte il principio di abbandonare le soluzioni locali a favore della soluzione nazionale.

Tale principio va applicato in primis con il blocco delle nuove spese sui data center delle PA, per una transizione verso il cloud e la costruzione di Poli nazionali. Ma vale ancora di più per la piena adesione alle Piattaforme abilitanti e per il progressivo dispiegamento dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente che prenderà il posto delle anagrafi dei 7.987 Comuni italiani. E vale per la dismissione dei sistemi di autenticazione locali a favore di SPID, e per la completa adozione da parte delle amministrazioni degli strumenti nazionali PagoPA e NoiPA.

La sfida più grande sarà tagliare la spesa digitale delle PA a livello locale, partendo dal fatto che, secondo le rilevazioni Istat, ci sono sostanziali differenze nell’organizzazione delle funzioni dedicate all’ICT tra Pubbliche Amministrazioni locali più piccole e realtà grandi e complesse. Hanno uno specifico ufficio dedicato all’ICT: tutte le Regioni e Province Autonome e l’85,5% dei Comuni sopra i 60mila abitanti, contro il 5,5% dei Comuni fino a 5mila abitanti.
Ma è proprio nelle piccole realtà che ci si attende un considerevole risparmio, perché con ogni probabilità le ridotte capacità negoziali hanno reso possibile ad esempio fino ad oggi ad alcuni produttori di software fornire gli applicativi a pacchetto a un prezzo molto basso in cambio di canoni per l’assistenza con costi elevati. Ora con il progressivo, e speriamo veloce, transito dalle centrali di committenza di tutti i possibili fabbisogni dei piccoli comuni queste sacche di spesa improduttiva potranno essere naturalmente eliminate.

Resta comunque l’elevata frammentazione delle funzioni ICT (suddivise su più unità organizzative) che rischia di determinare eterogeneità di processi, dispersione di competenze, attribuzione di responsabilità non adeguate e mancanza di meccanismi di coordinamento.

Per quanto riguarda le Regioni e le Province Autonome, Agid ha optato per un approccio di costante confronto, per il tramite della Commissione Speciale Agenda Digitale in seno alla Conferenza delle Regioni e Province Autonome, necessario per consentire da un lato alle Regioni di poter orientare la propria azione in modo coordinato con l’evoluzione del Piano nazionale e del suo avanzamento e, dall’altro lato, per garantire che il Piano tenga sempre conto degli interventi messi in campo sul territorio, grazie alla programmazione e all’utilizzo delle risorse regionali e comunitarie.

In conclusione, la questione è quando la nostra PA potrà cambiare e limitare al massimo la spesa ICT improduttiva: il Governo non propone l’errata ricetta dei tagli lineari, mantenendo gli attuali modelli organizzativi, ma un progressivo processo di consolidamento organizzativo delle funzioni ICT esistenti (a livello nazionale, regionale e locale) e la standardizzazione dei processi di gestione della domanda. Il riferimento sono i percorsi di razionalizzazione virtuosi di alcuni importanti Paesi Europei, che in pochi anni hanno generato importanti economie da destinare al finanziamento di iniziative ICT innovative legate all’Agenda Digitale.

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