La relazione tra medici e pazienti rimane, anche nell’era del digitale, prettamente verbale. Informare puntualmente e correttamente il paziente non serve soltanto a soddisfare il legittimo desiderio di costui di comprendere e conoscere gli aspetti più importanti della propria salute ma anche a rendere più efficaci gli interventi a tutela della salute e la terapia.
Anche negli ospedali dove la digitalizzazione è molto diffusa la comunicazione con il paziente avviene attraverso la conversazione che presenta diverse criticità, tra cui l’asimmetria culturale tra medico e paziente e il poco tempo a disposizione. Quanti medici sono buoni comunicatori? Chi di loro è dotato di empatia?
L’informazione è parte della cura
Le indicazioni sulle modalità di preparazione per un ricovero o per un esame complesso, l’illustrazione della diagnosi e delle relative implicazioni, le spiegazioni sulla terapia e sugli eventuali effetti collaterali, le istruzioni sui comportamenti da osservare, sono solo alcuni degli esempi in cui la comunicazione con il paziente avviene prevalentemente a voce. In pochi minuti il medico espone questi argomenti mentre il paziente cerca di assimilare e ricordare quanto gli viene detto, tra emozioni e timori.
Non c’è quindi da stupirsi se il paziente o un suo familiare cerchino poi in internet le risposte alle domande che non sono riusciti a fare al medico, per mancanza di tempo o perché gli sono venute in mente dopo. Ricerche il cui risultato può essere più o meno corretto e indicato per il caso in questione.
Il paradosso è che i contenuti qualificati e validi dal punto di vista scientifici non mancano e, molti di essi, sono anche accessibili gratuitamente sul web, purché si sappia dove cercarli. L’Istituto Superiore di Sanità, ad esempio, gestisce un portale, ISSalute, che contiene una vera e propria enciclopedia medica (La salute dalla A alla Z) in cui ci sono tanti contenuti di qualità.
Se però provate a fare una ricerca digitando “Diabete Mellito Tipo 2”, il contenuto dell’ISS è presente nella seconda pagina, preceduto da altri siti sia istituzionali, sia commerciali, mentre per la BPCO occorre andare alla terza pagina.
Abilitare i sistemi informativi per fornire contenuti ai pazienti
Come, dunque, fornire contenuti qualificati e pertinenti ai pazienti? La risposta è semplice e facile da realizzare. Basterebbe catalogare i contenuti, associandovi ad esempio i codici ICD9CM o i codici dei nomenclatori regionali e sviluppare una funzione per far sì che un CUP, un sistema di prescrizione o una cartella clinica elettronica possano suggerire, via email o tramite un’app, i link ai contenuti per il paziente, così da realizzare una sorta di enciclopedia medica personale.
Comunicare oltre il ricovero o la visita
Come si può assicurare la continuità della relazione di cura con i pazienti? Lo strumento che i pazienti utilizzano oggi è il telefono, l’email o WhatsApp se vengono loro forniti questi riferimenti. Il primo è quello che presenta maggiori criticità per la sua natura “sincrona” e per la difficoltà di trovare il medico disponibile. Posta elettronica e messaggistica sono più flessibili, in quanto “asincroni” e hanno il vantaggio di fornire una risposta scritta che però può essere troppo sintetica o poco chiara. Tutti questi canali sono poi fuori dai sistemi informativi clinici, ragione per cui il medico che li adopera vede tutte queste informazioni frazionate e sparpagliate su più strumenti.
Patient Support Programs
Esistono da tempo i Patient Support Programs (PSP), degli insiemi di servizi rivolti ai pazienti finalizzati a supportarli nella gestione della patologia e della relativa terapia, incrementando l’aderenza ai percorsi assistenziali, migliorando la qualità di vita del paziente e alleggerendo il carico di lavoro delle strutture sanitarie.
I PSP possono declinarsi in vari modi, da programmi di supporto a carattere motivazionale e educazionale, infermieristico e fisioterapico domiciliare, di assistenza giornaliera nel percorso di cura, o ancora di addestramento infermieristico per i pazienti o i loro caregiver.
I PSP sono promossi dalle aziende farmaceutiche ma non hanno trovato, sinora, grande applicazione da parte delle aziende sanitarie territoriali.
Misurare le cure e l’esperienza del paziente
Per conoscere il punto di vista dei pazienti sul proprio stato di salute e la loro esperienza durante le cure è possibile utilizzare i Patient-Reported Outcome Measures (PROM) e i Patient-Reported Experience Measures (PREM), due tipologie di strumenti informatici.
- I PROM permettono di indagare la percezione che il paziente ha sul suo stato di salute, il livello percepito di menomazione, la disabilità e la qualità della vita correlata alla salute. Permettono di valutare i sintomi e il dolore, l’ansia, il livello di depressione e il grado di affaticamento.
Mentre a livello internazionale vi sono diverse esperienze strutturate, nel panorama italiano non vi sono esperienze sistematiche di raccolta e utilizzo dei PROM a livello aggregato per valutare l’assistenza sanitaria, fatta eccezione il laboratorio del Sant’Anna di Pisa.
- I PREM misurano invece la percezione dei pazienti rispetto alla loro esperienza durante le cure. Possono considerare aspetti come la qualità della comunicazione, il supporto ottenuto per la gestione delle condizioni a lungo termine o ancora il tempo trascorso in attesa di ricever l’assistenza e la facilità di accesso a quest’ultima.
Anche in questo caso, come per i PROM, non ci sono al momento esperienze significative nelle aziende sanitarie.
Follow-up e transizione delle cure
Ma cosa succede quando un paziente viene dimesso e torna a casa? Oppure dopo la visita ambulatoriale? Nel primo caso viene rilasciata la lettera di dimissione ospedaliera (LDO), un documento cartaceo che contiene tutte le informazioni salienti del ricovero, in forma sintetica, e le indicazioni per il follow-up, al fine di garantire la continuità di cura del paziente dopo il ricovero. La LDO è dunque un documento fondamentale per facilitare la comunicazione tra gli operatori sanitari dopo la dimissione del paziente.
Nel secondo caso il paziente riceve di solito un referto che descrive la patologia riscontrata, la terapia da seguire e gli eventuali accertamenti diagnostici da svolgere o le visite specialistiche da effettuare.
In entrambi i casi siamo in presenza di documenti cartacei, pensati in via prioritaria per gli operatori sanitari, redatti con linguaggio medico.
Il paziente è visto e considerato come un soggetto passivo che deve seguire le istruzioni ricevute. Non è necessario che comprenda esattamente cosa abbia, né che sia consapevole del decorso della patologia, delle eventuali complicanze o degli effetti indesiderati delle terapie. Il paziente deve fidarsi e deve affidarsi ai medici.
Questa impostazione paternalistica della medicina, tuttora presente, poteva forse andare bene prima che ci fosse internet; oggi non è più sostenibile.
I pazienti vogliono sapere, comprendere cosa devono aspettarsi, essere parte attiva nel processo di cura, concetti che a parole trovano tutti concordi. L’empowerment del paziente e il suo engagement sono, a parole, l’obiettivo di ogni azienda sanitaria e sistema sanitario regionale.
Ma come si possono trasformare questi due concetti in azioni concrete? Ripensando le modalità e le finalità della comunicazione e della relazione con il paziente.
La lettera di dimissione digitale
La LDO deve trasformarsi da un mero documento in un’app interattiva che possa guidare il paziente nel decorso post-ospedaliero. Uno strumento bidirezionale con cui la struttura sanitaria possa comunicare con il paziente e misurare gli esiti, verificare l’aderenza terapeutica, informare ed educare il paziente e i suoi caregiver.
Dal referto al tutor
Analogamente, per i pazienti ambulatoriali e per i cronici, bisogna affiancare al tradizionale referto un’app che svolga le stesse funzioni descritte prima.
Bisogna sottolineare che queste app non devono essere fini a sé stesse, ma parte integrante di un modello di presa in carico e di cura che si estende oltre il tradizionale ruolo e ingaggio delle strutture sanitarie, in una logica di continuità assistenziale multiprofessionale.
Conclusioni
Mettere il paziente al centro significa, in concreto, progettare e realizzare una nuova serie di strumenti informativi pensati per educare, comunicare, ingaggiare e supportare i pazienti. Così come esistono oggi strumenti e servizi per i professionisti, è ora di sviluppare una nuova generazione di soluzioni che vedono il paziente protagonista e utente attivo.
Bisogna dedicare tempo e risorse per questo scopo perché la sostenibilità del sistema sanitario non può prescindere dal coinvolgimento attivo dei pazienti e, soprattutto, dal miglioramento dell’efficacia delle cure che si ottiene soltanto con una maggiore aderenza terapeutica.