salute mentale

Realtà virtuale e psichiatria: il caso della schizofrenia

La realtà virtuale si va affermando come un efficace strumento per la valutazione e il trattamento di diversi disturbi fisici e mentali perché in grado di garantire non solo l’efficacia terapeutica e di assessment, ma anche il coinvolgimento e la motivazione del paziente. Ecco gli studi effettuati e le prospettive future

Pubblicato il 17 Ott 2018

Anna Flavia Di Natale

Università Cattolica di Milano

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La realtà virtuale sta suscitando l’interesse e l’entusiasmo di clinici e ricercatori, affermandosi come un efficace strumento per la valutazione e il trattamento di diversi disturbi fisici e mentali. In particolar modo, questa tecnologia ha dato prova di poter essere utilizzata in modo efficace nel mondo della ricerca neuropsicologica e psichiatrica. Questo strumento infatti racchiude in sé tre caratteristiche di grande rilievo nello studio e nel trattamento dei disturbi mentali.

Realtà virtuale e disturbi mentali, i benefici

  • In primo luogo permette di convogliare la necessità del controllo sperimentale dato dal setting laboratoriale con la possibilità di creare ambienti più naturali ed ecologicamente validi. In questo modo è possibile progettare ambienti di testing e di training sicuri che da una parte riducano i rischi legati agli errori e mantengano il controllo durante tutta la fase sperimentale, ma che, al tempo stesso, rispecchino in modo situazioni reali.
  • In secondo luogo, gli ambienti virtuali promuovono l’insorgenza e il mantenimento del senso di presenza, dimostratosi una variabile fondamentale per il coinvolgimento e la motivazione del paziente nel trattamento.
  • Infine, attraverso la realtà virtuale è possibile modificare ad-hoc l’ambiente, dando l’opportunità di manipolare i diversi fattori ambientali responsabili del distress del paziente, permettendogli di imparare ad affrontare e gestire in modo più efficace le sue specifiche difficoltà che si affronta quotidianamente nella vita reale.

Questa forma di tecnologia è stata impiegata con successo in numerosi setting sperimentali per il trattamento di diversi deficit cognitivi, emotivi o motori riscontrabili in disturbi mentali quali ansia sociale, disturbo post-traumatico da stress, disturbo di panico e  agorafobia, fobie specifiche, disturbo d’ansia generalizzata, disturbo ossessivo-compulsivo, dipendenze e dolore cronico.

Realtà virtuale e studio della schizofrenia

Sebbene la maggior parte delle ricerche che hanno utilizzato la realtà virtuale in campo psichiatrico si siano concentrate sui disturbi legati all’ansia, il potenziale clinico di questo strumento è stato comprovato anche nello studio di una peculiare condizione psichiatrica: la schizofrenia. La schizofrenia è un disturbo mentale caratterizzato da sintomi positivi, che comprendono eccessi e distorsioni quali deliri e allucinazioni; e da sintomi negativi, che includono deficit comportamentali quali abulia, asocialità, anedonia, appiattimento dell’affettività e alogia. Si manifestano inoltre comportamento ed eloquio disorganizzati, disturbi cognitivi – tra cui deficit delle funzioni esecutive, di attenzione e di memoria – e disturbi psicomotori, come la catatonia. L’insieme di questi sintomi contribuisce al deterioramento del funzionamento personale e sociale del soggetto, inducendo la persona a perdere il contatto con la realtà. Le capacità dell’individuo sono compresse a tal punto da rendere situazioni di vita quotidiana molto più spaventose e difficili da affrontare, generando un forte distress nel paziente e spingendolo all’isolamento sociale.

Nonostante le ricerche relative all’applicazione della realtà virtuale nella valutazione e nel trattamento della schizofrenia siano ancora relativamente poche, hanno già apportato al mondo scientifico un enorme contributo con risultati promettenti.

Realtà virtuale e psicosi, sette potenziali utiilizzi

Daniel Freeman, professore di psicologia clinica alla Oxford University, ha delineato sette potenziali utilizzi della realtà virtuale nel contesto delle psicosi.

  • Valutazione ecologicamente valida dei sintomi radicati nella vita reale e quotidiana.
  • Identificazione dei correlati comportamentali e fisiologici dei sintomi grazie all’utilizzo combinato di strumenti atti a misurare, ad esempio, il battito cardiaco, la conduttanza cutanea, la pressione sanguigna e i movimenti oculari.
  • Identificazioni delle variabili predittive, come ansia, anomalie percettive e flessibilità cognitiva, attraverso una valutazione preliminare.
  • Identificazione delle variabili predittive differenziali per ciascun aspetto del disturbo.
  • Identificazione delle variabili predittive ambientali che possono influenzare l’aumento o la diminuzione dei sintomi, come ad esempio la dimensione di una stanza, la distribuzione spaziale delle persone e le loro espressioni facciali.
  • Identificazione dei fattori causali, grazie alla manipolazione del fattore di interesse per valutarne gli effetti sull’apparizione dei sintomi.
  • Sviluppo del trattamento per insegnare ai pazienti quali siano i fattori che possono migliorare o peggiorare i sintomi ed insegnarli strategie efficaci per affrontarli nelle situazioni quotidiane sociali e non.

Sintomi paranoici e esperienze allucinatorie

Tra il 2003 e il 2008 il gruppo di Freeman a Oxford, ha condotto una serie studi utilizzando ambienti sociali virtuali quali una biblioteca o un vagone della metropolitana, per la valutazione delle esperienze psicotiche in popolazioni non cliniche. Nello studio pubblicato nel 2008, era stato adoperato come ambiente virtuale un tragitto di due fermate della metropolitana di Londra. Nel vagone erano presenti e si muovevano diversi avatar creati per essere il più possibile neutrali, affinché non manifestassero alcun segno di ostilità verso la persona immersa nell’ambiente. Nella ricerca erano stati coinvolti 200 soggetti sani con l’obiettivo di determinare i fattori predittivi dell’occorrenza di eventuali sintomi paranoici in una situazione sociale neutra. Nonostante la maggior parte dei soggetti avesse confermato la neutralità degli avatar presenti nell’ambiente, una piccola parte del campione aveva invece manifestato preoccupazioni paranoiche. I risultati hanno poi indicato che l’insorgenza di tali manifestazioni era fortemente predetta da fattori quali ansia, preoccupazione, anomalie percettive e inflessibilità cognitiva.

Lo stesso setting è stato utilizzato successivamente nel 2007 dal gruppo di Valmaggia a Londra, nella valutazione di individui “ad alto rischio di psicosi”. Lo studio ha riportato tre risultati particolarmente rilevanti:

  • nessuno dei pazienti aveva avuto un incremento di ansia o di emozioni negative legate all’esperienza virtuale;
  • i soggetti avevano attribuito stati mentali agli avatar, tra cui intenzioni ostili;
  • le ideazioni persecutorie comparse nell’ambiente virtuale erano predette da alti livelli di tratti paranoidei, ansia, stress, percezione fragile di sé sensibilità interpersonale.

Questo studio, insieme a quelli di Freeman, ha confermato la potenzialità della realtà virtuale come tecnica sperimentale da utilizzare con individui ad alto rischio di disturbi mentali psicotici.

Nel contesto dell’analisi dei sintomi paranoici, la realtà virtuale è stata anche impiegata per studiare i fattori ambientali con un potenziale impatto sulla comparsa di ideazioni paranoiche. Gli studi di Veling e collaboratori, prima nel 2014 e successivamente nel 2016, hanno evidenziato l’importanza di fattori quali la densità della popolazione, l’ostilità degli avatar e l’etnicità nell’incremento dei livelli di paranoia.

In un recente studio 2016, il gruppo di Freeman ha invece implementato ambienti virtuali a scopo riabilitativo. Negli ambienti, come la metropolitana o un ascensore, i pazienti erano liberi di muoversi ed erano spinti a esplorare l’ambiente e a usare nuove strategie per affrontare l’eventuale insorgenza dei sintomi. Lo studio ha dimostrato l’efficacia della terapia cognitiva attraverso realtà virtuale nel trattamento delle deliri di persecuzione.

Mentre le ricerche che si sono occupate di analizzare le ideazioni paranoiche hanno predominato la scena, una piccola parte del mondo scientifico si è occupata di utilizzare la realtà virtuale per lo studio dei fenomeni allucinatori. In particolare un studio interessante è quello condotto in Australia nel 2004 da Banks e collaboratori, nel quale sono state create delle vere e proprie esperienze allucinatorie simulate in realtà virtuale per analizzare i correlati psico-neuro-fisiologici in soggetti sani. Quest’ultimi, nonostante fossero a conoscenza dell’artificiosità della situazione, hanno riportato un incremento dei livelli di emozioni negative quando venivano presentate loro delle voci accusatorie.

Valutazione e riabilitazione delle funzioni cognitive e sociali

Un’ulteriore ed interessante applicazione della realtà virtuale nel trattamento della schizofrenia è quella nel campo della valutazione e riabilitazione delle funzioni cognitive e sociali dei pazienti. Infatti, come precedentemente anticipato i soggetti schizofrenici possono presentare diversi deficit delle funzioni cognitive, di attenzione e memoria, e tendono a isolarsi socialmente evitando le situazioni che potrebbero risultare disagianti a causa dei loro sintomi. In questo senso la realtà virtuale offre l’opportunità di affrontare in un ambiente sicuro e controllato situazioni di vita quotidiana, dando la possibilità da un lato di verificare la presenza di eventuali deficit cognitivo-sociali e dall’altro di sviluppare training specifici per la riabilitazione. Anche in questo ambito, i risultati ottenuti dalle poche ricerche finora condotte hanno riportato risultati incoraggianti.

Un gruppo di ricercatori coreani ha sviluppato ed utilizzato numerosi protocolli di ricerca per la valutazione cognitiva, emotiva, comportamentale e sociale dei pazienti con schizofrenia. Inizialmente, nel 2003, hanno sviluppato un sistema virtuale in cui ai soggetti schizofrenici veniva chiesto di interpretare degli stimoli multimodali, visivi e uditivi, e di ricordarne alcuni dettagli. I risultati della ricerca hanno indicato che questo sistema era tanto efficace nella valutazione delle capacità di integrazione multimodale e della memoria di lavoro quanto i più classici test neuropsicologici con cui erano stati comparati.

La versione virtuale del Wisconsin Card Sorting Test

Uno studio simile è stato condotto nel 2006 da Sorkin e collaboratori che hanno implementato una versione virtuale del Wisconsin Card Sorting Test, confermandone la validità e l’efficacia per la valutazione delle funzioni esecutive. Nella versione originale del test ai soggetti viene richiesto di abbinare delle carte trovando un preciso criterio come colore, forma o numero, mentre nella versione virtuale il soggetto deve superare un labirinto, passando attraverso delle porte distinte per colore, forma e suono. Nello studio sono state confrontate le performance di pazienti schizofrenici e soggetti sani, ed è emerso che le prestazioni dei soggetti clinici fossero inferiori e che queste prestazioni fossero significativamente correlate con i sintomi positivi e negativi.

Altri studi, tra cui quello di Hanlon e colleghi nel 2006 e di Sorkin e colleghi nel 2008, hanno invece impiegato la realtà virtuale per confrontare le capacità di memoria spaziale in pazienti schizofrenici e soggetti sani. Entrambi gli studi hanno evidenziato una compromissione dell’utilizzo di strategie allocentriche dei soggetti schizofrenici, ovvero la loro incapacità di rappresentarsi l’ambiente come una mappa prendendo come punti di riferimenti stimoli esterni.

Realtà virtuale e valutazione delle abilità sociali

Parallelamente all’avvio delle ricerche in ambito cognitivo, negli stessi anni è cresciuto l’interesse scientifico anche per lo studio e l’analisi della abilità sociali legate alla schizofrenia.

Nel 2006 e successivamente nel 2009 il gruppo coreano sopracitato ha infatti voluto verificare l’efficacia della realtà virtuale per la valutazione delle abilità sociali. Hanno così implementato un ambiente virtuale in cui era prevista un’interazione comunicativa del paziente con un avatar e in cui sono stati valutati fattori quali la distanza interpersonale, il tempo di reazione verbale e la durata del contatto visivo ed è stata appurata la loro correlazione con le variabili sintomatologiche positive e negative della schizofrenia.

In due studi del 2007 e del 2011, lo stesso gruppo ha inoltre sviluppato e utilizzato con successo un programma virtuale come supporto ai tradizionali programmi di riabilitazione sociale, in cui al paziente erano proposte delle situazioni sociali simulate, familiari e non,  in cui erano applicate tecniche di role-playing atte a potenziare delle capacità sociali e di conversazione. Entrambi gli studi hanno dimostrato che questo tipo di trattamento era efficace sia in termini di motivazione, che di potenziamento delle capacità conversazionali e di incremento della sicurezza di sé nei pazienti schizofrenici.

Successivamente sono stati sviluppati altri programmi virtuali da utilizzare come affiancamento ai tradizionali metodi di potenziamento e riabilitazione delle abilità sociali.

Nel 2012 Tsang e Man hanno sviluppato il Virtual Reality Vocational Training (VRVT), un ambiente virtuale con l’obiettivo di migliorare la formazione professionale dei pazienti. In questo scenario il soggetto interpreta il ruolo di un commesso in negozio e deve svolgere una serie di compiti di relazioni con il cliente. Questo strumento si è dimostrato in grado di migliorare le performance lavorative.

Similmente, tra il 2014 e il 2015 Smith e collaboratori hanno verificato con successo l’efficacia del Virtual Reality Job Interview, un ambiente virtuale di loro invenzione atto a migliorare le capacità comunicative e ad aumentare la fiducia in sé dei partecipanti per aiutarli nell’affrontare potenziali futuri colloquio di lavoro.

Nel 2014, invece, Rus-Calafell e i suoi colleghi, hanno condotto uno studio in cui venivano analizzate le abilità sociali in modo più globale. Ai pazienti era chiesto di entrare in  “Soskitrain”, un ambiente di realtà virtuale in dovevano completare sette attività per pensate per migliorare la percezione sociale, l’elaborazione di informazioni sociali, abilità di risposta, abilità affettive, comunicazione assertiva, abilità interazionali e abilità conversazionali. I risultati hanno rivelato che dopo il trattamento, i pazienti esibivano una significativa decrescita della sintomatologia negativa, livelli minori di isolamento sociale  e un miglioramento generale nella padronanza delle abilità sociali .

Quelli finora citati sono alcuni tra i più importanti studi che negli ultimi 15 anni hanno visto protagonista la realtà virtuale nello studio e nel trattamento della schizofrenia.

National Institute of Health Research (NIHR) Award

Alla luce dell’enorme potenziale della realtà virtuale applicata alle psicosi il National Institute of Health Research (NIHR) ha riconosciuto, lo scorso primo Febbraio, un premio del valore di 4 milioni di dollari, come fondo per il progetto di sviluppo di un trattamento in realtà virtuale di pazienti schizofrenici, guidato da Daniel Freeman. Il progetto, che coinvolgerà l’università di Oxford, il National Health Service (NHS) e il Royal Collage of Art,  ha  l’obiettivo di valutare qualora le persone che soffrono di gravi disturbi psicotici, come gli schizofrenici, possano beneficiare di un trattamento in realtà virtuale  nella gestione delle difficoltà che incontrano nella vita di tutti i giorni. Nelle sessioni, della durata di 20-30 minuti, i pazienti useranno i visori di realtà virtuale per svolgere dei compiti ed affrontare situazioni simulate che potrebbero trovare difficoltose nei scenari di vita reale. Il loro coach virtuale li aiuterà a guidarli attraverso le simulazioni e a migliorare le tecniche per superare le difficoltà. Il progetto prevede una prima fase di sviluppo e di analisi ergonomica dell’attrezzatura: i ricercatori si impegneranno valutare se la strumentazione utilizzata risulta di facile utilizzo e piacevole per i pazienti. Dopodiché procederanno alla fase sperimentale.

Il futuro della realtà virtuale applicata alle psicosi

Risulta quindi evidente il ruolo fondamentale della realtà virtuale come risorsa in campo clinico. L’obiettivo sarà ora quello di adattare le terapie a questa forma di tecnologia, in grado di garantire non solo l’efficacia terapeutica e di assessment, ma anche il coinvolgimento e la motivazione del paziente. Inoltre sulla base dei risultati finora ottenuti, sarà possibile ideare e sviluppare programmi virtuali applicati ad altri disturbi psicotici e non.

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