#DTxITA

Terapie digitali, l’Italia prova a recuperare il ritardo: cosa sono e i vantaggi

Il trattamento delle terapie digitali è un vero e proprio intervento curativo basato su modifiche del comportamento o degli stili di vita e sulla applicazione (digitale) di interventi di cognitivo-comportamentali attraverso l’implementazione di linee guida e programmi. L’Italia è indietro ma qualcosa comincia a muoversi

Pubblicato il 17 Nov 2020

Eugenio Santoro

Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS

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Dalla Germania agli Stati Uniti, sono ormai diverse le Autorità nazionali che hanno autorizzato le terapie digitali (Digital Therapeutics o la sua abbreviazione Dtx) cioè di quel sottoinsieme della digital health che riguarda opzioni terapeutiche che utilizzano tecnologie digitali per curare una patologia, una malattia mentale o una condizione psicologica.

In Italia siamo ancora indietro, per tutta una serie di ragioni che andremo a esaminare, ma per recuperare il gap da un anno è stato costituito il gruppo “Terapie Digitali per Italia #DTxITA” composto da circa 40 ricercatori ed esperti (proventi dal mondo della ricerca, da quello universitario e da quello imprenditoriale) di varie materie (tra cui la ricerca clinica, l’economia sanitaria, l’ingegneria, l’informatica, la regolamentazione dei dispositivi medici, la rimborsabilità dei farmaci, gli aspetti regolatori).

Facciamo il punto.

Cos’è (e cosa non è) il trattamento delle terapie digitali

“Food and Drug Administration ha autorizzato al commercio la prima terapia digitale basata su un videogioco che aumenta l’attenzione nei bambini che soffrono di ADHD”. “La Germania per la prima volta autorizza i medici a prescrivere una terapia digitale per aiutare i pazienti che soffrono di acufene e un’altra per i pazienti che soffrono di ansia”.

Dovremo presto abituarci a messaggi di questo genere provenienti dalle principali Autorità Regolatorie internazionali o dai media.

Il trattamento delle terapie digitali (perché si tratta di un vero e proprio intervento curativo) si basa su modifiche del comportamento o degli stili di vita e sulla applicazione (digitale) di interventi di cognitivo-comportamentali attraverso l’implementazione di linee guida e programmi.

Per intenderci, non si tratta di una semplice app salute come ce ne sono molte. Non si tratta nemmeno di interventi di telemonitoraggio o sistemi che forniscono forme di diagnosi (in questi casi si parla di dispositivi medici, quando opportunamente verificati e registrati). Non si tratta nemmeno dei Patient Support Program (i sistemi che aiutano i pazienti nella gestione delle loro patologie) o di app informative.

Si tratta di un vero e proprio trattamento curativo, studiato con le stesse regole (le sperimentazioni cliniche randomizzate) usate per studiare i farmaci al fine di verificarne la safety (la sicurezza), l’efficacy (l’efficacia rispetto a un braccio di controllo) e gli eventuali eventi avversi, regolamentate dagli Enti Regolatori come Food and Drug Administration (FDA) o l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA), prescrivibili dai medici e rimborsabili dal sistema sanitario nazionale o dalle assicurazioni.

E che si tratti di un trattamento curativo lo dimostra il “bugiardino” che accompagna Endeavor (il videogioco per la cura dei disturbi da ADHD appena approvato da FDA), nel quale si specifica che la “dose” è di 25 minuti al giorno 5 giorni alla settimana per 4 settimane, cioè il protocollo terapeutico validato dalle tre sperimentazioni cliniche randomizzate che ne supportano l’efficacia.

Sempre in analogia con i farmaci tradizionali, le terapie digitali sono dotate di un principio attivo (l’algoritmo che esse implementano) in grado di migliorare gli esiti clinici modificando il comportamento dei pazienti.

Una delle caratteristiche fondamentali delle terapie digitali è la capacità di coinvolgere il paziente, spesso usando quelle componenti ludiche (la definizione degli obiettivi, il percorso per raggiungerli, la condivisione con i propri “pari”, magari sui social media, del loro raggiungimento) che i farmaci tradizionali non hanno. Non è un caso quindi che anche i videogiochi come Endeavor, caratterizzati da un’alta capacità coinvolgente, possano essere considerati terapie digitali se gli studi clinici che ne supportano l’impiego ne dimostrano l’efficacia clinica.

Esempi di terapie digitali

La lista delle aree mediche in cui all’estero sono disponibili terapie digitali è lunga e comprende le malattie croniche (come il diabete e l’ipertensione), le malattie mentali (come l’ansia e la depressione), la riabilitazione, la qualità del sonno e le dipendenze (da fumo da fumo o da altre sostanze).

La prima terapia digitale risale al 2009 ed è stata sperimentata nel campo del trattamento della depressione. Deprexis (questo il suo nome) è una piattaforma digitale che offre un intervento cognitivo-comportamentale che si è dimostrato efficace nel trattamento di questa condizione. Oggi è usato negli ospedali in Germania, paese nel quale è stato sviluppato, e in Svizzera, dove è rimborsato dalle assicurazioni.

La FDA ha poi approvato ReSET (un’app che offre una terapia cognitivo-comportamentale per curare chi soffre di problemi di dipendenza e abuso di oppiacei), l’app BlueStar Diabetes per la gestione dei pazienti diabetici (agendo su esercizio fisico e alimentazione i pazienti “trattati” vedono ridursi l’emoglobina glicata in maniera significativa rispetto ai corrispondenti controlli non “trattati”), e programmi online come quelli di Omada Health per aiutare a perdere peso diminuendo il rischio cardiaco.

È lungo l’elenco fino ad arrivare alle due app recentemente approvate dall’Ente Regolatorio tedesco riguardanti la gestione dell’acufene e la cura dei disturbi d’ansia. La prima, Kalmeda tratta l’acufene attraverso una terapia cognitivo-comportamentale personalizzata (e il relativo piano di sette sessioni di esercizi) costruita sulla base dei disturbi segnalati dal paziente. La terapia è prescritta dal medico e dura tre mesi. La seconda, Velibra, indicata per pazienti maggiorenni con sintomi di disturbo d’ansia generalizzato, disturbo di panico o disturbo d’ansia sociale, genera un dialogo con il paziente sulla base delle risposte che egli fornisce a una serie di domande che sceglie in funzione del suo stato d’animo e sulla base della terapia cognitivo-comportamentale implementata dal sistema.

Diverse sono poi le terapie digitali per smettere di fumare, le quali, implementando programmi nazionali e internazionali per la cessazione da fumo e fornendo stimoli motivazionali e supporto alla pianificazione, si sono dimostrate efficaci e di conseguenza autorizzate al commercio (insieme al programma terapeutico sperimentato) dai principali Enti Regolatori.

Effetti collaterali

Anche le terapie digitali possono provocare effetti collaterali. Sono meno gravi rispetto a quelli causati dai farmaci tradizionali, più gestibili, ma possono presentarsi in misura maggiore rispetto ai rispettivi bracci di controllo. È anche per questo che sono indispensabili gli studi clinici randomizzati.

Per esempio, negli studi clinici che hanno fornito le basi scientifiche usate dalla FDA per approvare Endeavor, il 9,3% dei pazienti trattati ha presentato eventi avversi non gravi (associati al trattamento digitale), tra cui senso di frustrazione, mal di testa, vertigini, reazioni emotive, nausea o aggressività.

In alcuni casi tali effetti possono suggerire delle controindicazioni. Per esempio, Velibra non può essere utilizzata in caso di malattie psicotiche (es. Schizofrenia), disturbi bipolari o se ci sono pensieri di suicidio.

Le iniziative in Italia

Nel corso dell’ultimo anno un forte impulso alle terapie digitali è stato dato dalla decisione del Parlamento tedesco di autorizzare all’uso le terapie digitali (e in generali gli strumenti digitali con evidenza scientifiche importanti) e di consentirne il loro rimborso da parte delle assicurazioni. Ma già la FDA (che negli Stati Uniti regola il mercato dei farmaci e dei dispositivi medici) da diversi anni considera le terapie digitali come veri e propri interventi curativi.

In Italia siamo ancora indietro e nessuna terapia digitale è ancora approvata (né studiata). Un po’ per una scarsa cultura (anche da parte dei medici) verso le nuove tecnologie. Un po’ per la carenza di una regolamentazione del fenomeno delle terapie digitali. Per dire, la questione è regolamentata dal Regolamento dei Dispositivi Medici del 2017 (MDR 2017/745) che entrerà in vigore a maggio 2021 (dopo il rinvio a causa dei problemi legati alla pandemia da Covid-19), ma in questo documento non c’è alcuna traccia di terapie digitali. E poi in Italia non è ancora chiaro se a farsi carico delle terapie digitali sarà il Ministero della Salute (in quanto dispositivi medici) o l’AIFA (in quanto terapia). E poi mancano le regole per la conduzione delle sperimentazioni cliniche. Sarà applicata la stessa metodologia usata per i farmaci? Bisogna pensare a qualcosa di diverso? Nel Regno Unito il NICE lo scorso anno ha pubblicato linee guida volte ad aiutare i produttori a comprendere i tipi di prove che essi dovrebbero fornire per poter accreditare i propri prodotti e renderli prescrivibili. Questo documento è adattabile alla situazione italiana? Mancano poi i modelli di rimborsabilità, le modalità di prescrizione, la gestione delle “versioni” della terapia digitale (la modica/aggiornamento del software sottostante potrebbero in certi casi rendere necessaria una nuova valutazione da parte dell’ente regolatorio). E mancano certezze sui tempi di approvazione. Forse l’adozione di una corsia preferenziale (Fast Track), come ha deciso di fare la FDA e l’Istituto Federale tedesco per i farmaci e per i dispositivi medici potrebbe essere una soluzione per ridurli.

Il gruppo “Terapie Digitali per Italia #DTxITA” ha elaborato un documento (che sarà rilasciato tra poche settimane) che affronta tutti gli aspetti illustrati precedentemente e che fungeranno da base di discussione con tutti gli attori (istituzioni sanitarie ed enti regolatori tra cui AIFA, Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, e società scientifiche) coinvolti in questo processo.

Solo infatti creando una cultura sulle terapie digitali che si estenda su più livelli (clinici, scientifici, accademici, tecnologici, regolatori, politici, istituzionali) l’Italia potrà affrontare la sfida delle terapie digitali senza correre il rischio di subirle, magari adottando soluzioni sviluppate e studiate all’estero.

Per concludere, le terapie digitali dimostrano ancora una volta che non è sufficiente sviluppare la tecnologia ma è fondamentale misurare il suo impatto su esiti clinici per valutarne sicurezza ed efficacia mediante la metodologia di ricerca più solida come le sperimentazioni cliniche randomizzate, la Evidence Based Medicine, e l’Health Technology Assessment.

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