il decalogo

Cellulari a scuola, perché i docenti stanno (solo) facendo il proprio dovere



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Il decalogo Dieci punti per l’uso dei dispositivi mobili a scuola, pubblicato ora dal Miur, esprime l’ambizione di portare la Scuola italiana nel XXI secolo. E’ questa la sfida e l’ambizione. Ma anche il dovere comune che nessuno può più ignorare

Pubblicato il 22 gen 2018

Daniela Di Donato

Docente di italiano (Liceo scientifico), PhD in Psicologia sociale, dello sviluppo e della Ricerca educativa presso Sapienza Università di Roma, esperta di metodologie didattiche, inclusione e uso delle tecnologie digitali a scuola.



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Il Miur, con due commissioni dedicate, ha lanciato i Dieci punti per l’uso dei dispositivi mobili a scuola, documento di sintesi in attesa di quello definitivo, in arrivo.

Eliminiamo subito qualche fraintendimento: i dispositivi si usavano anche prima dell’uscita del decalogo e quindi non si tratta di una imposizione che precipita dall’alto. Senza paura di essere smentiti, si può affermare con serenità che il compito della commissione era da una parte recuperare la distanza storica dalla circolare del 2007 del ministro Fioroni, centrata sul divieto dell’uso specifico dei cellulari a scuola, dall’altra a distanza di quasi undici anni aveva il dovere di riconoscere e dare dignità alle esperienze esistenti, nelle quali i dispositivi a scuola sono usati come strumenti di apprendimento e non per telefonare o chattare con gli amici fuori dall’aula.

Se dovessi scegliere una frase da cui partire sarebbe questa: “È la didattica che guida l’uso competente e responsabile dei dispositivi(punto 5 del decalogo).

La didattica la fa il docente e forse è il caso di ricordare che sono ormai anni che molti insegnanti utilizzano dispositivi tecnologici (e digitali) a scuola. Li hanno inseriti progressivamente e con la dovuta cautela nella loro didattica, concordando un uso regolato con le famiglie che quei dispositivi avevamo acquistato e scegliendo, in base ai percorsi di apprendimento, tempi e spazi nei quali servirsene.

Non hanno abdicato al loro ruolo di educatori, ma hanno intravisto con chiarezza la frontiera e si sono messi in marcia per raggiungerla. Come autentici pionieri, e talvolta sotto la guida di dirigenti scolastici altrettanto illuminati, hanno compreso che non potevano escludere dall’aula qualcosa che nell’aula c’era già: il mondo digitale, complesso, connesso in cui ormai tutti ci muoviamo e nel quale i nostri studenti sembrano nuotare come pesci, ma con itinerari spesso diversi da quelli battuti a scuola. Nonostante la mancanza della rete, nonostante le risorse non sempre adeguate, nonostante anche alcuni colleghi che continuano a stringersi intorno alla lezione frontale, colpita da infarto e agonizzante (nessuno se lo aspettava, è accaduto all’improvviso, ma è così) quei docenti, quelli che usano qualsiasi oggetto ritengano utile per motivare e stimolare l’apprendimento, agganciare gli studenti della terza fila, rendere ogni ambiente un luogo di benessere per tutti, ancorare la scuola a emozioni positive, sono andati dritti (punto 4).

La didattica la progettano i docenti (punto 7) e una buona didattica si serve da sempre di tecnologie: libri, lavagna, penna biro, banchi, quaderni. È tempo di aggiungere quello che mancava e forse può servire: tecnologie e digitale, disponibili in quasi tutte le tasche degli studenti o nei loro zaini, e se si fa lo si faccia con un progetto e una pianificazione (punto 8), integrando e armonizzando l’uso e il non uso.

I dieci punti e il documento che seguirà battezzano un bambino già nato da tempo, forse sarebbe già alla scuola primaria da qualche anno. Serviva un documento condiviso, che desse cittadinanza alle buone pratiche già attive nella scuola italiana e ora quel documento c’è.

La sfida è per una scuola del XXI secolo, che non voglia soccombere sotto gli algoritmi dei motori di ricerca o lasciare impronte digitali imbarazzanti. La scuola che vorremmo è ambiziosa e vuole diventare il punto di forza di una società che libera ed educa i suoi cittadini, invece di imprigionarli nel passato e lasciarli soli; che accoglie qualsiasi cambiamento possa essere utile e necessario per renderla un luogo di crescita, di scoperta, di responsabilità, di autonomia (punti 1, 2, 6), magari con una rete disponibile (punto 3).

Ci sarà bisogno anche di ricontrattare il patto di collaborazione con le famiglie e forse è l’occasione giusta per tornare a parlare con loro di educazione, cercando una via per camminare insieme verso obiettivi educativi sostenibili (punto 9). Insomma, vietare e basta non ha mai portato molto lontano: la società in cui i nostri ragazzi e le nostre ragazze crescono esige adulti responsabili, che sappiano aiutarli ad orientarsi, che non si tirino indietro di fronte alle novità, che esprimano il massimo della loro professionalità ed empatia, che si mettano in discussione.

Stiamo (solo) facendo il nostro dovere (punto 10) e ora nessuno può ignorarlo.

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