L’indagine

Didattica a distanza: un primo bilancio, per ripensare la scuola del futuro

Nel dibattito sulla scuola esploso nella Fase 2 dell’emergenza covid-19, si leva con forza il grido di chi vuole restaurare i processi educativi pre-pandemia. Un rischio da scongiurare per molti motivi. Esaminiamoli, anche alla luce dei dati che cominciano a emergere da uno studio che coinvolge docenti, studenti e genitori

Pubblicato il 25 Mag 2020

Carlo Giovannella

Università di Roma, Tor Vergata

andrew-neel-fkalryO4dUI-unsplash

La completa restaurazione dei processi educativi nella forma pre-covid comporterebbe un dramma nel dramma, perché ci farebbe perdere la più grande occasione di crescita che ci è stata offerta negli ultimi decenni, seppure al prezzo di una tragedia.

Una occasione sulla quale forse è giunto il momento di avviare, in forma laica – senza posizioni preconcette, senza lanciare strali, senza ascriversi meriti – una sistematizzazione della riflessione.

È forse giunto il momento di provare a fare un primo, per quanto inevitabilmente acerbo, bilancio. Se non altro per fissare alcune delle “lezioni” che si stanno apprendendo (o forse si stanno ri-apprendendo), per far emergere approcci metodologici utili allo sviluppo di future politiche e ricerche nell’ambito della pedagogia e della didattica digitali.

Proviamo a fare il punto, quindi, sulla base degli esiti di una indagine avviata ai primi di aprile con studenti universitari di Scienza dell’Educazione e poi sviluppatasi all’interno di alcune scuole secondarie di secondo grado per poi trasferirsi al territorio nazionale, e di un paio di preprint che hanno iniziato a circolare in questi ultimi giorni.

L’indagine, a cura dell’ASLERD, è ancora in corso e chi – docente universitario o di scuola superiore, studente universitario o di scuola superiore, genitore di studente di scuola – voglia contribuire e donare una piccola porzione del proprio tempo per esprimere le proprie opinioni, raccontare il proprio vissuto e far emergere un quadro di riferimento più completo ed esteso, a carattere nazionale, può riempire il questionario di interesse, tra quelli proposti in fondo all’articolo.

Perché fare un bilancio ora

L’esigenza di dare il polso della situazione in tema di scuola a distanza nasce anche dalla presa d’atto che con l’avvio della fase due, il dibattito politico ha riesumato lo stile tipico di questi ultimi anni, con l’opposizione che si oppone per principio e sbatte i pugni e il governo che tira dritto senza una reale interlocuzione. E anche nel dibattito educativo ci si è conformati allo stile culturale dominante: con veemenza è tornato a farsi sentire il partito di coloro che si oppongono, per principio, all’idea che dopo il “lock down” gli ecosistemi di apprendimento e i processi educativi possano non tornare ad essere quelli di una volta.

Un “partito” composto da tutti coloro che non vedono l’ora di rientrare nella propria comfort zone, una zona protetta che hanno cercato di non abbandonare neppure all’interno della dimensione virtuale imposta dalla distanza in cui si sono trovati ad operare; composto da tutti coloro che non vedono l’ora di calcare di nuovo da protagonisti il palcoscenico di un’aula, anche a costo di perdere una parte importante del proprio “pubblico” o di cambiarlo a giorni alterni, come se fosse possibile adottare lo stesso approccio didattico sia per chi si troverà in aula che per chi dovrà seguire da casa (per fortuna sembra che questa ipotesi sia ormai tramontata).

I rischi di un ritorno alla scuola del passato

Sono fermamente convinto che se davvero dovessero prevalere coloro che invocano la completa restaurazione dei processi si perderebbe un’occasione unica per rendersi conto di come si sia modificato il “brainframe” degli individui che da tempo guardano alla rete come ad una quarta agenzia educativa, e di quanto la forzatura indotta dall’epidemia abbia in realtà, in media, “riavvicinato” gli studenti alla scuola, facendo loro intravvedere nuovi scorci prospettici.

Si vanificherebbero, inoltre, le riflessioni e le sperimentazioni che in tanti, non tutti, hanno avviato dopo un primo periodo di panico e un secondo periodo di sforzo riproduttivo delle dinamiche tradizionali. L’apprendimento a distanza, per molte ed evidenti ragioni non può essere mappato e schiacciarsi sulle dinamiche d’aula, ma non è il “male assoluto”, anzi. In molti, non tutti, hanno compreso come possa offrire un ventaglio di nuove possibilità, che vanno ben al di là, ad esempio, delle “tradizionali” università telematiche.

Un primo bilancio organizzativo e tecnologico della scuola a distanza

Partiamo da un dato di fatto: prima del Covid-19 non sono stati condotti molti studi sull’impatto delle epidemie sugli ecosistemi di apprendimento. Se ne possono rintracciare una manciata che sono stati effettuati in occasione dell’apparire della SARS (2003 Hong Kong) e dell’influenza suina (H1N1 – 2009). In gran parte si sono occupati della chiusura delle scuole in quanto misura “non-farmacologica” per il contenimento della diffusione dell’epidemia. Solo in un paio di essi si possono rintracciare riflessioni critiche su aspetti gestionali relativi alla transizione emergenziale verso la didattica a distanza o su aspetti di carattere prettamente didattico.

A tutt’oggi, come è lecito aspettarsi, anche per il caso del Covid-19 non sono disponibili molti studi sistematici (se si escludono la ricerca da noi avviata ai primi di aprile con studenti universitari di Scienza dell’Educazione e poi sviluppatasi all’interno di alcune scuole secondarie di secondo grado per poi trasferirsi al territorio nazionale, e un paio di preprint che hanno iniziato a circolare in questi ultimi giorni). Al momento siamo ancora in una fase in cui il dibattito fa riferimento, essenzialmente, a studi condotti in condizioni completamente diverse dall’attuale, ad esperienze personali o alla cosiddetta “letteratura grigia”.

Proviamo, comunque, a fare il punto su cosa è emerso.

Dal punto di vista organizzativo ci si è resi conto che in un certo numero di paesi esistevano già da tempo strategie e piani per la chiusura dei luoghi di insegnamento (quasi esclusivamente riferiti alle scuole) ma che la loro applicazione non è mai da considerarsi automatica e rimanda sempre ad una decisione politica. Ci si è resi conto, quindi, dell’importanza del fattore tempo e della necessità di avere a disposizione a tutti i livelli (dal governo alla singola scuola) task force informate e competenti che nel rispetto della gerarchia siano in grado di definire piani d’azione e relative linee guida, assegnare i compiti, comunicare in maniera chiara, non contraddittoria e tempestiva con tutti i portatori di interesse del processo educativo, studiare accuratamente il contesto in cui si opera, monitorare costantemente l’evoluzione della situazione per aggiustare, quando necessario, il tiro. Pochi principi, che per altro dovrebbero essere alla base del buon funzionamento di tutte le organizzazioni e di tutti i processi.
La risposta del sistema educativo (seppure con qualche leggero ritardo riscontrato in alcune realtà scolastiche) sembra essere stata sufficientemente rapida. Un po’ più farraginosa, allo stato attuale, sembra essere la pianificazione del futuro e/o la sua comunicazione.

Dal punto di vista tecnologico ci si è resi conto che le applicazioni sviluppate per il lavoro collaborativo, che includono anche l’utilizzo della comunicazione audio-video, sono particolarmente funzionali al trasferimento dei processi educativi dalla presenza alla rete, almeno nella loro forma basilare. L’integrazione con veri e propri ambienti progettati per la didattica on-line è avvenuta solo in alcuni contesti particolarmente evoluti, mentre in altri casi si è assistito, in forma più contenuta e per iniziativa personale, all’integrazione nei processi di applicazioni in grado di offrire specifiche funzionalità didattiche.
La semplicità d’uso dei succitati ambienti di lavoro collaborativo e la disponibilità della comunicazione multimodale, nonché un po’ di competenze informatiche diffuse per accedere al cloud, hanno consentito una transizione abbastanza rapida e, soprattutto, tempi di adattamento piuttosto contenuti.

Senza entrare troppo nei dettagli degli esiti dell’indagine da noi condotta, le rilevazioni mostrano che ben oltre il 90% degli studenti universitari e di secondaria di secondo grado, nonché più dell’90% dei docenti universitari e dell’80% di scuola superiore hanno considerato le abilità digitali di cui erano in possesso sufficienti per effettuare in maniera indolore la transizione alla didattica in rete. È altresì emerso un giudizio piuttosto positivo sia per quel che riguarda la prontezza di atenei e scuole nel reagire che per quel che riguarda l’adeguatezza degli ambienti tecnologici messi a disposizione dalle rispettive istituzioni educative.

Aspettata o meno la barriera principale si è rilevata essere costituita, invece, dalla qualità della connessione di rete. Quasi il 40% degli studenti e dei docenti di scuole, nonché circa il 25% dei docenti universitari lamenta l’inadeguatezza della propria connessione. La mancanza o l’inadeguatezza dei dispositivi a propria disposizione è stata lamentata da una percentuale minore degli intervistati, meno del 10% degli studenti e, in media, meno del 5% dei docenti.
Su tale criticità si deve riconoscere al Governo e al Ministero una grande tempestività di intervento con la messa a disposizione immediata di risorse economiche volte a ridurre e annullare il divario. Ciò non di meno, superata l’emergenza, sarà necessario avviare una riflessione più profonda sia sulla pratica del BYOD (utilizzo dei dispositivi personali nei processi didattici) che sull’accesso alla rete come diritto di tutti i cittadini e in particolare degli studenti (forse si potrebbe pensare a una carta studente, tipo 18app, finalizzata al soddisfacimento di tale diritto).

L’evoluzione della “didattica emergenziale”

Per quel che concerne la pratica didattica ci si è resi conto che, ad esclusione di un piccolo zoccolo duro di docenti resistenti alla transizione, tutti gli altri sono riusciti a mettere in campo almeno quella che da alcuni viene definita “didattica emergenziale”, ovvero una didattica in cui si è cercato di replicare le dinamiche note (scuola superiore: lezioni in diretta video e assegnazione compiti, intorno all’85%, indicazioni di materiali a leggere o filmati da vedere, oltre il 60%; valutazione basata su elaborati individuali 65%; università: lezioni in diretta video, circa il 60%; assegnazioni compiti 65%; condivisione contenuti, oltre 90%; interrogazioni/colloqui on-line 75%; correzione elaborati individuali con o senza presentazione on-line, oltre il 60%). Con il passar dei giorni, soprattutto coloro che hanno a che fare con materie o approcci progettuali e collaborativi, hanno iniziato a diversificare le strategie e a potenziare le iniziali disponibilità tecnologiche con strumenti ad hoc. Il set di dati raccolti non ci consente, al momento, di produrre un focus sulle singole materie ma le impressioni raccolte sono improntate ad una certa soddisfazione. D’altra parte, di esperienze significative si trova ampia documentazione anche in tanti articoli pubblicati di recente su Agendadigitale.eu.
È interessante notare che sulla prontezza didattica dei docenti della scuola abbiamo riscontrato un giudizio mediamente più positivo da parte di studenti e genitori rispetto a quello che tendono a darsi i diretti interessati. Apparentemente ancora più severo è il giudizio che danno su loro stessi i docenti universitari.
Al di là dell’opinione che ciascuno ha sulla necessità di ripristinare o meno lo status quo pre-Covid, vale la pena sottolineare come vi sia ampia convergenza verso l’idea che per il futuro la “pedagogia digitale” (non solo la conoscenza delle tecnologie didattiche) possa e debba entrare a far parte del bagaglio culturale dei futuri docenti universitari e scolastici.
Ci si dovrà attrezzare con percorsi adeguati, evitando i tanti errori commessi nel passato.

Il futuro della didattica a distanza

E veniamo al futuro.
Il superamento della “didattica emergenziale” non potrà che essere il frutto di un progetto e non potrà non tener conto dei cambiamenti indotti dall’esperienza della didattica online, come avviene per qualsiasi altra esperienza della vita.
Ormai, seppur grazie a una forzatura determinata da un accidente storico, tutti hanno avuto la possibilità di esplorare modalità diverse di fare didattica e ciò, inevitabilmente, ha determinato la modifica della percezione e del giudizio diffuso su tali modalità, come pure il peso attribuito a pro e contro non più indotto da impressioni indirette derivate da studi accademici ma da sperimentazioni sul campo.
Quasi tutti hanno nostalgia della fisicità dell’aula, o meglio delle relazioni umane di prossimità e del loro portato di socialità, ma nonostante ciò, tra gli studenti, coloro che vorrebbero riprendere le attività didattiche nella modalità pre-Covid non sono una larghissima maggiorana: in media circa il 45% tra gli studenti della scuola superiore e, in media, il 30% tra gli studenti dell’università. Anche i genitori della scuola superiore che vorrebbero il ripristino della didattica in presenza sono di media intorno al 50%. Sono i docenti ad essere maggiormente affezionati alle modalità tradizionali: circa il 65% nella scuola e il 48% nell’università. Anche i genitori della scuola superiore che vorrebbero il ripristino della didattica in presenza sono meno del 40%. Sono i docenti ad essere maggiormente affezionati alle modalità tradizionali: circa il 54% nella scuola e il 47% nell’università. Ciò non vuol dire che si sia creato un movimento “talebano” a sostegno dell’on-line. La maggioranza, infatti, è pragmaticamente e fortemente attratta dalla modalità mista.

Su come raggiungere il miglior e più efficace bilanciamento tra presenza e on-line, il dibattito è aperto e necessita di un’accurata riflessione. Di certo in questi due mesi sono emersi tanti vantaggi di carattere organizzativo e didattico nonché economico e ambientale che sarà ben difficile giustificare un ripristino completo delle modalità didattiche pre-Covid. Una posizione che sta emergendo dai questionari tende a rovesciare il punto di vista tradizionale: considerare la presenza solo quando questa è in grado di potenziare e offrire un valore aggiunto rispetto all’on-line.
Un ulteriore segno del cambiamento in atto è il fatto che, a seguito di questa esperienza, la maggioranza degli studenti – sia dell’università che della scuola – abbia iniziato a considerare seriamente per il proprio futuro un possibile impegno lavorativo a distanza. E non è un caso che nelle scuole si siano potute svolgere senza alcun problema anche le attività di alternanza scuola-lavoro, ovviamente quelle di qualità che mirano effettivamente allo sviluppo di competenze trasversali e a simulare, ad esempio, processi di innovazione.
Anche nei docenti è cresciuta la disponibilità a considerare il proprio impiego nella didattica a distanza: in modo consistente tra i docenti universitari in maniera molto più contenuta, ma comunque significativa, tra quelli della scuola. Le ragioni? Hanno scoperto che grazie alla rete le esigenze di studio o di lavoro possono conciliarsi meglio con quelle della vita, al punto che quest’ultima inizia ad essere percepita come qualitativamente più appetibile.

Il ripensamento degli spazi e dei rapporti con il territorio

Per chiudere non possiamo non soffermarci per un momento sulla ripensamento degli spazi e dei rapporti con il territorio.
Un primo spazio su cui effettuare una riflessione è sicuramente quello domestico in cui, nonostante l’appetibilità di una migliore organizzazione temporale tra esigenze di studio/lavoro e di vita, ci si deve confrontare spesso con l’impossibilità di separare spazialmente tali esigenze. Certamente i collegamenti video si arricchiscono di elementi intimi e rendono più persone i “personaggi” ma il problema resta, cosicché l’inadeguatezza degli spazi domestici viene indicata come una potenziale barriera da una media del 10% dei gruppi di intervistati.
E’ sicuramente un interessante esercizio quello di ripensare la progettazione di nuove case e condomini ma il problema più attuale e concreto è quello di come ripensare e ristrutturare gli spazi domestici di cui si sta usufruendo ora.
E di possibile ripensamento e ristrutturazione si dovrebbe discettare anche per quel che riguarda gli spazi scolastici. Se davvero si dovesse assumere il punto di vista che considera la presenza come il valore aggiunto dell’on-line – ma anche se ci si volesse limitare ad approcci meno propensi al cambiamento e più progressivi – gli spazi scolastici andrebbero ripensati e resi funzionali a quelle attività, soprattutto di socializzazione e laboratoriali, che non è possibile svolgere a distanza (a meno che non si adottino approcci da Industria 4.0). Ripensare gli spazi scolastici, ora, è di fondamentale importanza perché è in questo momento che si discute di edilizia scolastica e di messa in sicurezza degli ambienti. Vale la pena intervenire per mettere delle toppe, o ripensare gli spazi per adeguarli a processi didattici da tenersi in configurazione mista e che puntino, magari, ad implementare una didattica per competenze? Un atto di coraggio da parte del governo potrebbe essere quello di lanciare un bando per la sperimentazione di percorsi di didattica blended che non siano una mera trasposizione della didattica in presenza, ma che intendano porsi all’avanguardia della sperimentazione metodologica, tecnologica, di processo e “ambientale” (nel senso più ampio del termine). Forse su questo aspetto si potrebbe chiedere che anche l’Europa batta un colpo per dimostrare e rendere tangibile un impegno nei confronti della chiave di volta del nostro futuro: le dinamiche di apprendimento.
E per finire il rapporto con il territorio. Certo la rete induce dematerializzazione e tende ad annullare le distanze ma il rapporto tra istituzioni educative e territorio esce potenziato da questa esperienza? Apparentemente no. La nostra indagine mostra che tra l’80% e il 90% degli intervistati (a seconda del gruppo di riferimento) ritiene che i rapporti con i portatori di interesse del territorio si siano ulteriormente allentati. In parte è comprensibile per le chiusure imposte alle attività produttive, meno per quel che concerne le relazioni tra individui e il trasferimento delle competenze. Potrebbe trattarsi di un segnale di conferma dell’esistenza di relazioni deboli tra ambienti di apprendimento e l’ecosistema di riferimento (si pensi alla problematica del “mismatch” delle competenze). È forse giunto il momento per sviluppare anche una riflessione sui luoghi din cui si apprende e sull’utilizzo della rete quale strumento per rendere le relazioni con il territorio più dense e contribuire, così, all’incremento del livello di “smartness” degli ecosistemi di apprendimento.

I questionari

Chi fosse interessato ai dettagli degli studi di caso da noi condotti, e a cui si è accennato in questo intervento, può scaricare un primo articolo: “Effect induced by the Covid-19 pandemic on students’ perception about technologies and distance learning.” da the @ResearchGate #COVID19 community page.
o scrivere a: aslerd.org@gmail.com

Chi, invece – docente o studente universitario, o studente di scuola superiore o genitore di studente di scuola – voglia contribuire alle indagini in corso a cura dell’ASLERD, e donare una piccola porzione del proprio tempo per esprimere le proprie opinioni, raccontare il proprio vissuto e far emergere un quadro di riferimento, a carattere nazionale, ancora più completo ed esteso di quello raccolto nei giorni scorsi, è pregato di riempire il questionario di proprio interesse, tra i seguenti:

Questionario docenti università

Questionario studenti università

Questionario studenti scuola secondaria di secondo grado (scuola superiore)

Questionario genitori di studente scuola

N.B. il questionario per i docenti della scuola è stato già chiuso e, quanto prima, restituiremo pubblicamente gli esiti dell’indagine.

(Tempo di riempimento del questionario previsto: circa 10-15 min se si risponde alle sole domande che prevedono la scelta di un valore su scala numerica, oppure scelte multiple/singole; circa 20-30 min se si risponde anche alle domande aperte)

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Pnrr, il Dipartimento per la Trasformazione digitale si riorganizza
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Competenze digitali e servizi automatizzati pilastri del piano Inps
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Water management in Italia: verso una transizione “smart” e “circular” 
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Smart City: quale contributo alla transizione ecologica
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