scuola digitale

Didattica innovativa, tre modelli possibili: differenze, pro e contro

Un’analisi di benefici e criticità delle diverse tipologie di didattica. Quali sono le differenze sostanziali da tenere presenti sia da un punto di vista di pianificazione generale sia da un punto di vista di creazione di una specifica attività

Pubblicato il 05 Ott 2018

Paolo Paolini

Hoc-LAB, Politecnico di Milano

scuola

Recentemente, all’interno di un Master per Dirigenti Scolastici (MIDIS, MIP, Politecnico di Milano) abbiamo discusso delle diverse interpretazioni che si danno alla locuzione “didattica innovativa, supportata da tecnologie”.

Il problema non è un semplice chiarimento terminologico. Al di là dei nomi che si usano (spesso arbitrari) ci sono delle differenze sostanziali tra diverse tipologie di didattica, che è meglio aver presenti, sia da un punto di vista di pianificazione generale (il punto di vista di un dirigente) sia da un punto di vista di creazione di una specifica attività (il punto di vista degli insegnanti).

Le categorie che indico qui sono universali, ma i nomi che uso sono arbitrari (ed è inutile discutere se sono i migliori possibili).

Didattica di progetto

Si fa didattica con attività corrispondenti ad un progetto specifico. Esempi: realizzare un sito web, costruire narrazioni multimediali, fare un giornale online, costruire un ambiente social, ….. Queste attività sono spesso “glamorous” (possono attirare l’attenzione dei media) e comunemente vengono identificate come “innovazione” (anche perché spesso sono costruite attorno e mediante l’uso di tecnologie. Sono spesso oggetto di bandi (per avere fondi) o di donazioni. Sono importanti, ma non risolvono in modo definitivo e pervasivo il problema della didattica (vedi sotto).

Didattica di base

Si tratta della didattica quotidiana, quella che tutti i giorni, tutti gli insegnanti e tutti gli allievi fanno. Innovare questa didattica è molto difficile: sono necessari progettualità, tempo, risorse. La innovazione può riguardare vari aspetti: (a) introduzioni di “format” didattici nuovi (es. “authentic learning”, “flipped classroom”, …); (b) Uso esteso di tecnologie, anche all’interno di format tradizionali (es. utilizzare documenti condivisi per discussione in classe o usare lavagna interattiva e learning objects per la lezione); (c) una combinazione di entrambi.

Il problema (oramai ovvio) è che non esiste il “killer format” o la “killer technology”. Bisogna usare una varietà di formati (per fortuna non sono poi tanti) e una varietà di tecnologie (che purtroppo cambiano e/o evolvono continuamente).

Didattica delle competenze

Questo è il futuro. Quello che tutti dicono si dovrebbe fare, e quasi nessuno sa come fare (non solo in Italia ma anche nel mondo). Si tratta di sviluppare competenze (curriculari e extra-curriculari) in modo sistematico e pervasivo: tutte le competenze (a qualche livello) per tutti gli allievi. La terminologia varia (io preferisco “20th century skills”). E anche le definizioni di quali siano queste competenze. Ma la idea di fondo è chiara: preparare gli allievi ad un mondo estremamente digitalizzato e connesso (e fluido).

Gli obbiettivi sono molto diversi da quelli della didattica di progetto, dove alcuni allievi acquisiscono alcune competenze. Qui tutti devono acquisire un ricco bagaglio di competenze. Obbiettivo non trasmette contenuti o abilità strettamente curriculari (come nella didattica di base). Investendo sul futuro (degli allievi), si potrebbero addirittura peggiorare i test tradizionali. Esempio: se si lavora 2 mesi per veicolare i concetti profondi di storia, si coprono meno argomenti specifici.

Se si esaminano i siti web di quasi tutte le scuole e le Università Italiane (Politecnico di Milano incluso), gli obbiettivi della formazione sono enunciati in termini di competenze. Poi se si va a guardare in concreto nei curricula, le competenze scompaiono, oppure hanno una presenza marginale: qualche credito che sembra una “foglia di fico” su di una nudità imbarazzante.

Riprendendo la discussione del Master (cui partecipavano circa 20 tra attuali o futuri dirigenti scolastici), vediamo ora i problemi da affrontare per innovare la didattica e quali benefici ci si può attendere, da questa innovazione.

Benefici e criticità delle diverse tipologie di didattica

Didattica di progetto

Sicuramente può essere una didattica molto motivante per tutti (allievi, insegnanti, dirigenti, famiglie, …). I risultati sono “visibili” e danno soddisfazioni. È una didattica tipicamente innovativa, perché consente di usare una varietà di tecnologie e di “format” didattici nuovi. Come impatto sugli allievi (oltre alle motivazioni) si sviluppano competenze, partecipazione e (solo a volte) comprensione di contenuti in profondità,

Ci sono però varie criticità: tipicamente un “progetto” coinvolge pochi allievi (una, due, tre classi..). La cosa più preoccupante è che lo sviluppo di competenze (solo per i partecipanti) è asistematico e a macchia di leopardo (es. qualcuno scrive i testi, qualcuno cerca le immagini, …). Difficile continuare nel tempo a fare progetti (non si può fare il medesimo sito web ogni anno) e ancora più difficile estendere la esperienza all’intero istituto (es. quanti siti web si possono fare?).

Quindi la didattica di progetto si può usare per “gettare il sasso nello stagno” e creare consenso sotto molti punti di vista: innovazione, modernità, motivazioni e visibilità (soprattutto). Difficilmente (quasi mai) incide in senso pervasivo (su tutti gli allievi) e nel tempo (modificando in modo sostanziale sia il modo di far didattica che le competenze degli allievi).

In altre parole, a meno che sia sostenuta da specifiche azioni di continuità (mai viste in Italia, peraltro), resta episodica e poco incidente sulla didattica nel suo complesso (e poco incidente sull’intero corpo insegnante).

Didattica di base

Il tema è affrontare (la maggior parte se non tutto) il curriculum, innovando sia i format didattici che l’uso delle tecnologie. Oltre a migliorare le performance tradizionali, gli allievi dovrebbero “vivere” come si opera in una società digitalizzata (“digital citizenship). È necessario coinvolgere tutti gli allievi, in modo pervasivo e continuato nel tempo. Si può iniziare a “macchia di leopardo” (un po’ qui un po’ lì), ma poi bisogna estendere la attività di innovazione a tutti gli allievi: questa è una delle maggiori differenze rispetto alla didattica di progetto (che può restare episodica, ed in genere lo è).

Criticità sono tante. Naturalmente bisogna disporre di tecnologia, ma questo problema si può risolvere (anche se bisogna tener conto della continua evoluzione delle tecnologie stesse). Poi, e soprattutto, bisogna lavorare sul corpo insegante: formarli (tecnologie e format didattici), motivarli, supportarli, accompagnarli, …. Gli insegnanti sono i protagonisti della didattica di base: sono la chiave di volta della innovazione. Si può lavorare anche qui a macchia di leopardo e non è detto che tutti gli insegnanti alla fine siano partecipi. Ma la maggioranza deve partecipare e tutti gli allievi vanno coinvolti.

Più che idee brillanti qui si chiede (a dirigenti, consigli di classe e insegnanti) capacità di pianificare e di gestire nel tempo la innovazione. Anche le famiglie vanno coinvolte (perché capiscano cosa succede) e il territorio (perché dia una mano).

Questo è il tema chiave per la scuola Italiana. Richiede elevata professionalità e continuità di azione. Confonderla con la didattica di progetto (più visibile e più “glamorous”) è un grave errore, fonte di molte incomprensioni: si va sui giornali, ma poi non si incide sulla realtà,

Didattica delle competenze

I benefici sono chiari a tutti: si preparano i cittadini del terzo millennio. Come fare poi, in realtà, non si sa. Nel mondo tutti si pongono il quesito, ma mancano risposte inequivocabili e ricette “ready made”. Ci sono “episodi” spesso legati a situazioni specifiche. A livello internazionale ci sono più domande che risposte.

In altri paesi, tuttavia il tema è in agenda. Diverse nazioni asiatiche, ad esempio, si sono federate per studiare il problema, condividendo indagini ed esperienze. In Italia, invece, al di là di qualche affermazione vaga e di principio, il tema non sembra essere in agenda.

Mancanza di spazio ci impedisce di approfondire questa sfida: cosa fare e come farlo. Magari se ne può parlare in un prossimo intervento. Ma questo è il tema della scuola del terzo millennio: è possibile siano necessarie rivoluzioni organizzative e logistiche. Bisogna avere coraggio di affrontare profonde discontinuità. Bisogna discuterne ora per sapere (o ipotizzare) cosa fare domani.

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