i dati

Dispari opportunità: i fattori di esclusione dall’apprendimento durante la pandemia

La scuola in tempi normali deve essere in presenza, ma questo non giustifica le carenze dell’infrastruttura digitale a supporto del nostro sistema formativo. Il ritorno alla presenza non deve insomma coincidere con l’abbandono di una serie di buone pratiche apprese in pandemia. Tutte le lacune da colmare

Pubblicato il 05 Apr 2022

Paolo Ferri

Professore Ordinario di Tecnologie della formazione, Università degli Studi Milano-Bicocca

L’Oms riconosce ufficialmente la dipendenza da videogiochi: quali sono i rischi

Con buona pace dei “nostalgici” della scuola di un tempo, quella digitale è un’infrastruttura strategica per il sistema formativo italiano la cui implementazione è necessaria per ridare competitività a tutta la nostra società. Ancora oggi molti ritengono, infatti, che superata – e non è ancora così – la pandemia sia necessario un radicale ritorno alla presenza e ad una didattica che allontani il digitale, che ha dimostrato la sua “inefficacia” ed “inconcludenza” durante gli anni dei lockdown.

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La pandemia, i nostalgici e la digitalizzazione

I laudatores tempori acti, sono molti; di questa schiera fanno parte, oltre a Galli della Loggia, anche Asor Rosa, e il pedagogista Franco Lorenzoni. Ma quello che non capiscono i “passatisti” è proprio il fatto che non è possibile contrappore DIP (Didattica in presenza) e Dad (Didattica a distanza) ma è necessaria una integrazione delle pratiche didattiche in presenze con l’aumento “digitale” di queste. Come abbiamo recentemente notato su Agendadigitale, in Lombardia secondo i risultati della ricerca Bicocca-SicuPP, sei bambini su dieci tra i sei e i dieci anni hanno, dopo la pandemia, uno smartphone personale, e il digitale è la lingua che parlano tutti i bambini e ragazzi che abitano la nostra scuola: non si può chiudere gli occhi di fronte a questa realtà corroborata da molti dati di ricerca.

Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, giustamente, la “digitalizzazione” della società italiana e quella della scuola sono individuate come: “un abilitatore trasversale ad ampio spettro” (PNRR, p. 50). La società italiana non ha certo bisogno di tornare al passato ma ha una forte necessità di digitalizzazione e competenze digitali. Lo dimostra il Digital Economy and Society Index dell’Unione europea, il “capitale umano” in Italia è tra i meno formati d’Europa in termini di cittadinanza digitale attiva. Siamo al 25° posto con un tasso di popolazione che possiede competenze digitali di base del 42% e solo un 22% possiede competenze digitali avanzate, mentre i laureati nel settore ICT sono solo il 3.9%

Fig.1 L’indice DESI relativo alle competenze digitali del “capitale umano italiano

La digitalizzazione non basta: le causa multifattoriali del calo degli apprendimenti

Tuttavia, se si analizzano i recenti di due report – uno della Commissione Europea e uno dell’OCSE dedicati entrambi all’impatto del Covid-19 sui risultati scolastici in Europa (The impact of COVID-19 on student learning outcomes across Europe, – Sternadel, D. 2021, e How learning continues during the Covid-19 Pandemic, Vincent-Lancrin, S., 2022) ci rendiamo conto di come la digitalizzazione della scuola sia un’infrastruttura necessaria ma non sufficiente. I due report, infatti, fanno emergere in maniera molto evidente la forte diminuzione dei risultati scolastici durante la pandemia, misurati, nei vari paesi, attraverso i test OCSE-PISA.

Le evidenze di ricerca dimostrano come esista una correlazione diretta tra il tempo trascorso a scuola frequentando le lezioni e i risultati di apprendimento. È necessario notare, inoltre, come il deficit di risultati scolastici maggiore non dipenda esclusivamente dal forzato passaggio on-line delle relazioni di apprendimento. Infatti, oltre ai disagi diretti provocati dalla pandemia, questo calo generalizzato nelle performance scolastiche è un fenomeno di natura muti-fattoriale e causato secondo i dati degli studi europei da alcuni fenomeni correlati: a. la riduzione del tempo di insegnamento e di apprendimento; b. la diminuzione della frequenza del contatto sociale individuale tra gli allievi e con gli insegnanti; c. la capacità degli insegnanti di adattarsi all’insegnamento/apprendimento digitale. f. le condizioni socioeconomiche delle famiglie stesse. Analizziamoli separatamente.

Meno ore di scuola, meno risultati di apprendimento

In primo luogo, le politiche di “chiusura delle istituzioni scolastiche” durante i lockdown del 2020 e del 2021 sono state molto differenziate trai vari paesi europei. Come si può ricavare dalla tabella qua sotto.

Figura 2. Il tempo scuola perduto durante il lockdown una comparazione tra i paesi europei

La durata dei lockdown è stata molto differenziata nei diversi paesi europei e risulta in questo modo chiaro come l’Italia o la Romania che nel 2020 hanno dovuto chiudere le scuole per metà dell’anno scolastico hanno performance nei test di apprendimento peggiori rispetto a paesi che, come Francia e Germania, hanno ridotto la “perdita” del tempo scuola a circa ad un terzo o, ad esempio, la Danimarca dove le scuole sono state aperte per l’ottanta percento dell’anno scolastico anche nel 2020. Questo fattore ha inciso in particolare in Italia dove, come abbiamo recentemente notato su Agenda digitale, il calo degli apprendimenti è stato molto netto nelle superiori di primo e secondo grado, mentre ha risparmiato la scuola primaria. Secondo i report dell’Invalsi 2021 sulle prove condotte nel 2021 il decremento negli apprendimenti è consistente: “in italiano una perdita media di 4 punti, in matematica di 7 gli allievi avrebbero dunque perso circa 2 mesi in italiano e 4 in matematica rispetto al 2018-2019, mentre alle superiori questo calo negli apprendimenti corrisponde a 10 punto in Italiano e a 9 in matematica, equivalenti ad oltre cinque mesi di scuola in meno rispetto alle coorti precedenti” (Gavosto. Romano, 2021).

La perdita di “contatto sociale” e le carenze delle infrastrutture digitali nei sistemi scolastici

Il secondo fattore che viene messo in rilievo dalle ricerche che abbiamo analizzato è la diminuzione del “contatto sociale” tra pari e con i maestri e i docenti. Questa forzata assenza di relazioni dirette ha fatto venir meno alcune delle condizioni per un apprendimento efficacie oltre che parte della motivazione allo studio. Si tratta del deficit di quello che viene definito “apprendimento informale”, legato per lo più alla presenza a scuola e alle relazioni dirette tra coetanei e con i docenti. La tecnologia ha permesso di “mantenere il contatto” ed è stata molto efficacie in questo ma non ha potuto sostituire, ovviamente, la relazione in presenza e lo “spazio condiviso della scuola”. Anche in questo caso però, contro le istanze dei “nostalgici” della “presenza ad ogni costo” è necessario notare come secondo il report OCSE che abbiamo analizzato, dal significativo titolo, Come l’apprendimento è proseguito durante la pandemia, il periodo dei lockdown ha messo in rilievo la carenza dell’infrastruttura tecnologica delle scuole, ha messo cioè la lente di ingrandimento sul: “divario tra lo “stato dell’arte” delle tecnologia disponibile per l’apprendimento e lo stato di arretratezza in cui versa l’infrastruttura tecnologica nei sistemi educativi di tutto il mondo. Allo stesso tempo, ha evidenziato le opportunità mancate e la necessità di ripensare il ruolo che gli strumenti e le risorse digitali potrebbero svolgere per migliorare l’istruzione in tutto il mondo” (Vincent-Lancrin, et al. 2022, p. 34).

È chiaro come la scuola in tempi più normali deve essere, in presenza, ma questo non giustifica le carenze dell’infrastruttura digitale a supporto del nostro sistema formativo. In particolare, in Italia questo problema è acuto, perché molti degli edifici scolastici, come messo in rilievo da PNRR mancano ancora di una dotazione tecnologica minima, le connessioni a Intenet sono spesso del tutto inefficienti, il cablaggio interno delle scuole è poco funzionale, scarseggia i dispositivi e poche sedi sono dotate di ambienti virtuali per l’apprendimento che funzionino a regime e che supportino la progettazione formativa degli insegnanti.

Le difficoltà del corpo insegnante a adattarsi al contesto pandemico

Il problema delle competenze digitali non riguarda solo le infrastrutture ma anche la capacità degli insegnanti di utilizzare le tecnologie digitali dell’apprendimento. Prima della pandemia secondo il rapporto Talis (Teaching and Learning International Survey) della Commissione Europea: “nei paesi e nelle economie OCSE, solo il 53% degli insegnanti permetteva (“spesso” o “sempre”) agli studenti di usare le ICT per progetti o lavori di classe” (Sternadel, D. 202, p. 23-24,)”. In molti paesi dell’Unione poi la quota di insegnanti che utilizzavano di frequente le tecnologie digitali nelle pratiche professionali è decisamente inferiore al 50% (vedi Figura 3 qui sotto).

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Figura 3. Insegnanti fanno “frequentemente” o “spesso” utilizzare agli studenti le ICT nell’apprendiemento

A conferma di questi dati viene un sondaggio di School Education Gateway [1] condotto tra aprile e maggio 2020 che ha mostrato che il 67% dei docenti ha dovuto insegnare online per la prima volta durante la crisi del COVID-19, e che l’accesso alla tecnologia (computer, software, connessione a Internet, ecc.) è stata la sfida più frequentemente menzionata e cioè riportata dal 34% di loro.

Anche in Italia dove è stato molto alto l’impegno degli insegnanti nella Didattica a distanza e nelle Didattica digitale integrata, tuttavia – sono dati della Società Italiana di Ricerca Didattica (SIRD, 2020) – circa i due terzi degli insegnati, hanno “erogato” lezioni trasmissive in diretta streaming o registrate. Maestri e docenti, infatti, per carenza di formazione e strumentazione, non hanno potuto sfruttare a pieno le potenzialità di integrazione e collaborazione intrinseche nei media digitali che potevano mitigare gli effetti della mancata interazione in presenza.

Il digital divide digitale nelle società avanzate: un problema di democrazia

Un altro fattore determinante per comprendere il calo delle performance scolastiche degli studenti durante la pandemia, e forse quello più preoccupante, è l’ampliarsi del divario nei risultati scolastici tra le famiglie socio-economicamente svantaggiate, povere e/o migranti e quelle abbienti. I lockdown hanno, infatti, colpito di più chi non aveva a disposizione una dotazione digitale adeguata, chi non possedeva una casa dotata di spazi adatti a permettere ai figli di collegarsi on-line tranquillamente, con una banda internet veloce e senza disturbi esterni. Sempre secondo i dati del Report EU The impact of COVID-19 on student learning outcomes across Europe, in Francia, Spagna, Italia, ma anche in (Irlanda, Grecia, Slovacchia e Ungheria), più del 20% degli studenti che rientrano nel quarto quartile socio-demografico, cioè quello più svantaggiato “non hanno un computer da utilizzare per i compiti e le attività scolastiche” (OECD, 2020a) come evidenziato nella figura qui sotto. I bambini e gli allievi provenienti da gruppi socio-economicamente svantaggiati manifestano, poi, una grande difficoltà nell’utilizzare in maniera critica e consapevole la tecnologia digitale e nell’accedere al Web.

I più svantaggiati corrono cioè il rischio più che concreto di avere meno opportunità di apprendimento rispetto ai loro coetanei e quindi meno possibilità di realizzazione professionale e esistenziale (Carvalho e Hares, 2020).

Figura 4. Confronto tra la media degli studenti che hanno un computer da utilizzare per le attività scolastiche e studenti socie-economicamente “svantaggiati” (quarto quartile di reddito). Source: OECD, PISA 2018.

Conclusioni

Tutti i dati che abbiamo presentato ci confermano nella convinzione che il ritorno alla presenza, speriamo definitivo, non debba coincidere con l’abbandono di un serie di buone pratiche digitali apprese durante la pandemia, la scuola italiana ne ha un grande bisogno come testimoniano i dati che abbiamo analizzato. Oggi la didattica non può che essere “aumentata digitalmente” e questo, in primo luogo, per motivo di giustizia sociale e di democrazia. Non può essere che la scuola ad insegnare ai nostri figli ad affrontare le sfide della cittadinanza digitale, non c’è altra agenzia sociale che possa sostituirsi a lei, e proprio per questo ci auguriamo che diventino presto operativi gli stanziamenti del PNRR per colmare il digital divide della scuola italiana.

Bibliografia

Carvalho, S. & Hares, S. (2020). More from Our Database on School Closures: New Education Policies May Be Increasing Educational Inequality. Center for Global Development. Disponibile al sito https://www.cgdev.org/blog/more-our-database-schoolclosures-new-education-policies-may-besincreasing-educational

EU, 2019, 2nd Survey of Schools: ICT in Education, Luxembourg: Publications Office of the European Union, disponibile al sito 2nd Survey of Schools: ICT in Education – Data Europa EU

Gavosto, A. Romano, B., (2021), Dalla pandemia la scuola italiana esce a pezzi, Lavoce.info https://www.lavoce.info/archives/88665/dalla-pandemia-la-scuola-italiana-esce-a-pezzi/

Gustafsson, M. (2021). Pandemic-related disruptions to schooling and impacts on learning proficiency indicators: A focus on the early grades. UNESCO Institute for Statistics

Sternadel, D. (2021), The impact of COVID-19 on student learning outcomes across Europe: the challenges of distance education for all’, NESET Ad hoc report no. 2/2021.

OECD (2018). Bridging the digital gender divide. Include, upskill, innovate. Paris: OECD Publishing.

OECD (2020a). PISA 2018 Results (Volume V): Effective Policies, Successful Schools, PISA, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/ca768d40-en.

OECD (2020b). The impact of COVID-19 on student equity and inclusion: Supporting vulnerable students during school closures and school re-openings, disponibile al sito https://read.oecd-ilibrary.org/view/?ref=434_434914-59wd7ekj29&title=The-impact-ofCOVID-19-on-student-equity-and-inclusion.

Vincent-Lancrin, S., C. Cobo Romaní and F. Reimers (eds.) (2022), How Learning Continued during the COVID-19 Pandemic: Global Lessons from Initiatives to Support Learners and Teachers, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/bbeca162-en.

  1. Si tratta di un sondaggio basato su 4,859 risposte da più di 40 paesi del mondo. Si veda a questo proposito il sito Survey on online and distance learning disponibile al sito: https://www.schooleducationgateway.eu/en/pub/viewpoints/surveys/survey-on-online-teaching.htm

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