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Master online ai tempi del lock down: sfide e opportunità per gli atenei

Il lock down ha causato un vero e proprio shock che ha portato molte università a condensare in poche settimane lo sforzo e l’apprendimento che avrebbero probabilmente intrapreso in diversi dei prossimi anni. Questa sfida è particolarmente insidiosa per i master post-lauream. Vediamo perché

Pubblicato il 07 Mag 2020

Paolo Neirotti

Politecnico di Torino

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In queste settimane molta attenzione è stata posta su come tutte le università italiane abbiano in pochi giorni spostato su piattaforme digitali l’erogazione degli insegnamenti dei corsi di laurea triennale e magistrale.

Si è trattato di un vero e proprio shock che ha portato molte università a condensare in poche settimane lo sforzo e l’apprendimento che avrebbero probabilmente intrapreso in diversi dei prossimi anni.

Questa sfida è particolarmente insidiosa per i master post-lauream. Se da un lato questi percorsi presentano condizioni più favorevoli alla sperimentazione per la presenza di un assetto regolatorio più leggero e di classi di studenti più piccole, dall’altro lato si misurano con la difficoltà di veicolare attraverso i media digitali una ricchezza di conoscenza e informazioni molto più densa ed articolata di quella che solitamente si accompagna alla didattica universitaria istituzionale.

Riportiamo quindi di seguito alcune semplici conclusioni che sono emerse in questi due mesi di lockdown da una ricerca di carattere qualitativo su docenti e studenti dei Master offerti dalla Scuola Master e Formazione Permanente del Politecnico di Torino.

Non cercare una soluzione “one size fits all”

Rispetto ai corsi di laurea triennale e magistrale, la didattica dei Master è basata su una classe tipicamente ristretta e che fonda le sue dinamiche di apprendimento sulla forte interazione con i docenti, sul carattere esperienziale delle attività in laboratori, project work e visite in azienda o sul campo. In ciascun Master la formula con cui questi ingredienti vengono combinati è soggetta ad una specifica alchimia che i coordinatori delle iniziative sono chiamati a dover riprodurre nelle condizioni di una erogazione in remoto. Di fronte a questa necessità di preservare le specificità dei piani di studio di ciascun Master, lasciare libertà di sperimentazione ai docenti rappresenta la condizione per arrivare a sviluppare nuove “buone pratiche” da replicare e adattare velocemente in tutti i Master.

Integrare i digital twin all’aula virtuale

Un esempio della libertà di sperimentazione arriva da un Master al Politecnico sul cultural heritage, dove un docente ha incentrato la sua lezione sulla trasformazione digitale trasformando una visita fisica al Museo Egizio di Torino in una visita virtuale di quattro ore guidata da un curatore e con studenti collegati per via dei diversi lockdown nazionali da diversi Paesi del mondo. Attraverso questa esperienza agli studenti non sono state solo mostrate le gallerie del museo, ma anche gli archivi digitalizzati del museo, che spesso permettono al pubblico di accedere a contenuti non fruibili nel museo fisico (ad esempio la tomografia di una mummia permette di sbendare virtualmente la mummia e di sviluppare uno story telling attorno alla sua storia). Questa esperienza si è rivelata una ricca testimonianza del percorso di trasformazione digitale intrapreso dal museo negli ultimi anni confermando come il digitale non rappresenti un canale surrogato di quelli fisici e permetta forme di insegnamento e disseminazione ad alto coinvolgimento degli studenti. Questa esperienza traccia una via su come i digital twin di archivi progettuali, processi industriali e impianti sviluppati da università ed imprese possano permettere esperienze didattiche in grado di sviluppare logiche di apprendimento basate sul trial and error e su analisi più approfondite.

Lavorare in modo digitale con tutto l’ecosistema

L’esempio della visita virtuale al Museo Egizio di Torino e ai suoi archivi digitalizzati indica come sia importante il posizionamento delle università in un ecosistema con una elevata maturità digitale. Le sfide da questo punto di vista sono molteplici. E’ ad esempio necessario guidare enti finanziatori, sia pubblici (es. le regioni per quanto riguarda iniziative legate all’utilizzo di finanziamenti su misure del Fondo Sociale Europeo destinate all’Alto Apprendistato di neolaureati) che privati (i fondi interprofessionali) a riconoscere e fare proprie nuove procedure abilitate dalla piattaforme di remote learning per certificare la presenza degli studenti nell’aula virtuale. Può risultare difficoltoso accompagnare alcune aziende e studenti a svolgere in modalità da remoto project work introdotti nei Master per bilanciare teoria con pratica professionale. Da questo punto di vista occorre scardinare le logiche di molte imprese che vedono nel tirocinio solamente un modo per avvicinare lo studente alla realtà operativa dell’azienda, senza che venga sviluppato un vero e proprio progetto formativo.

Tuttavia, avendo come obiettivo lo sviluppo e la validazione di un proof of concept, la formula della didattica challenge-based permette agli studenti di interagire da remoto con diversi interlocutori aziendali per arrivare a comprendere in modo approfondito la natura di problemi specifici portati dalle aziende e a sviluppare soluzioni tecnologiche per affrontare questi problemi. Le università sono quindi spesso chiamate a guidare le imprese a comprendere le logiche della formazione challenge e problem-based.

Guidare gli studenti verso una nuova pedagogia

Rispetto ai corsi di laurea, i Master e la formazione continua si rivolgono a classi di studenti già maturi e che in molti casi, soprattutto per professionisti quali ingegneri e architetti iscritti ad albi, ha già sviluppato esperienze di corsi online. Tuttavia è un pubblico che deve essere guidato ad una forma di pedagogia diversa (spesso i corsi online che hanno seguito questi studenti in passato erano brevi e pre-registrati), in un contesto che è gravato dal dover bilanciare in questo periodo tra le mura di casa, studio, lavoro e la vita di una famiglia con figli piccoli (gli studenti hanno un’età media compresa tra i 30 e i 35 anni).

Di fronte ai problemi dettati da queste contingenze, i docenti sono chiamati a ricercare altre dimensioni di ricchezza informativa rispetto a quelle disponibili in un’aula fisica. La prima, e più ovvia e facile, è quella di mettere gli studenti nelle condizioni di personalizzare il più possibile i tempi e ritmo di apprendimento alle esigenze del singolo studente, registrando le lezioni.

Tuttavia la principale sfida è un’altra ed quella di riprodurre fornendo nuovi strumenti e appositi momenti l’informalità tra gli studenti, e tra studenti e docenti. Questa informalità spesso gioca un ruolo importare nell’arrivare a interiorizzare la conoscenza appresa in aula e a reinterpretarla alla luce del proprio percorso professionale. La voce che ci è levata da molte classi di Master al Politecnico di Torino è che “anche se online i rapporti rimangono sullo stesso livello, parlare con gli amici a fine lezione, discutere con loro di ciò che si è appena appreso, includere anche i docenti in discussioni meno formali per addentrarci ancora di più negli argomenti del corso e scherzare per poter spezzare leggermente la monotonia, ha un altro sapore se si può fare l’uno accanto all’altro”.

Le chat con i docenti e le sessioni live sui canali social, Youtube, o su Whatsapp e Telegram, sono una possibile risposta alla mancanza dei momenti informali prodotta dalle lezioni in remoto. Tuttavia, occorre stimolare molto di più gli studenti a cercare il docente in sessioni live con webcam accese, cercando di separare il momento unidirezionale della lezione (preregistrandola) da una sessione live. Le dirette sui canali social possono avere inoltre la possibilità di emulare con strumenti quali like alcuni dei feedback visivi che vengono a mancare al docente con l’abbandono della prossimità fisica in un’aula tra docente e classe. Tuttavia, è importante guidare gli studenti ad un uso efficace della chat in quanto li obbliga a sforzi di articolazione della conoscenza che stanno apprendendo che verrebbero trascurati nelle condizioni di prossimità fisica di un’aula universitaria. In altre parole, molti studenti indicano che le virtual classroom spingono ad essere più diretti nella comunicazione e a formulare domande più specifiche possibile per essere compresi.

Occorre infine ingaggiare gli studenti, che in molti casi si aspettavano di frequentare un master dal vivo, su un nuovo “contratto psicologico” tra università e studente. Probabilmente la risposta più scontata a questa sfida consiste nel comunicare alla classe che il canale online permetterà di sviluppare alcuni soft skills in modo superiore a quanto lo studente avrebbe potuto fare in una didattica tradizionale. Non è solo una questione di essere flessibili e sviluppare una maggiore capacità di adattabilità. Molti studenti indicano come la presenza in un’aula fisica crei uno spazio in cui ci si possa “immergere” totalmente, astraendosi e fuggendo dalla quotidianità del lavoro e della vita privata. Inoltre, in un’aula fisica si può sviluppare empatia e un senso di intimità con compagni e docenti. Alternare lavoro, studio, e vita privata e famigliare stando a casa è molto difficile e richiede grande autodisciplina e flessibilità. Gli studenti indicano come sia importante “isolarsi e quando ci si distrae occorre pensare a quanto è importante l’investimento che stiamo facendo per noi.”

Per i docenti invece la risposta è quella di trovare nuovi modi di coinvolgimento e di evasione dal business as usual tramite gamification, simulazioni, visite virtuali a imprese e altre realtà. La realtà virtuale viene in aiuto di questa sfida ma coglie più preparate le imprese che già utilizzano queste tecnologie per i cicli di addestramento e che hanno provveduto a formalizzare i propri processi operativi e a digitalizzare fortemente la propria base di conoscenza.

Il bisogno di una profonda innovazione nell’architettura didattica

Queste semplici considerazioni portano alla conclusione generale che il remote learning rappresenti, non solo per i Master e per la formazione permanente, una innovazione nell’architettura didattica che richiede dei cambiamenti radicali nelle modalità con cui diversi elementi fondanti dell’apprendimento devono essere combinati tra loro. La storia dell’innovazione in altri contesti settoriali ci insegna come sia difficile riconoscere questa dimensione di cambiamento e sviluppare nuove modalità di integrazione tra i componenti di una innovazione nell’architettura di un prodotto o di un servizio complesso.

Troppo spesso il digitale è stato interpretato dalle imprese come un nuovo canale dove replicare la vecchia architettura di prodotto. Questo è il pericolo che oggi anche molte università rischiano di non vedere nella sua problematicità, visti i tempi accelerati con cui hanno dovuto ripristinare la propria continuità didattica senza nessuna reale esperienza pregressa sul remote learning.

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