l'approfondimento

Piano scuola 4.0: così la scuola diventa ecosistema di apprendimento grazie al digitale

Il digitale dà l’opportunità di sviluppare una visione ecologica dell’apprendimento: è questa la vera trasformazione che scuola e società devono compiere con consapevolezza, spirito critico e scelte condivise. Fondamentale quindi che il Piano Scuola 4.0 sia strumento propulsore di nuovi modi di pensare e forme di relazione

Pubblicato il 09 Dic 2022

Franco Torcellan

Associazione RED - Laboratorio di Ricerca Educativa e Didattica “Formare Trasformare Innovare”

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Il piano che attua il PNRR nella scuola suddivide gli interventi tra aule e laboratori, ma in realtà individua, nella loro digitalizzazione, un profondo cambiamento della scuola da sistema scolastico a sistema di comunità che organizzano e sviluppano le Learning City, riconoscendo nell’apprendimento il motore della società.

È necessario però evolvere verso una cultura digitale, rompendo i vincoli e i limiti di un’organizzazione ancora legata agli schemi semplici e rigidi e alle standardizzazioni della società industriale: rendere complessa e aperta l’organizzazione consentirà di sviluppare un vero e proprio ecosistema dell’apprendimento.

Il Piano Scuola 4.0 e l’eredità della pandemia sull’ecosistema didattico: luci e ombre sul futuro

Continuità tra ambienti fisici e ambienti digitali

Scuola 4.0” è la linea di investimento del Ministero dell’Istruzione predisposta in attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Esso si concentra su due framework: Next Generation Classroom, centrato sulla trasformazione delle aule di insegnamento in ambienti fisici e digitali di apprendimento e Next Generation Lab per le scuole secondarie di secondo grado, che prevede la realizzazione di laboratori per le professioni digitali del futuro.

La sola lettura dell’indice del Piano può ingannare, facendolo sembrare un intervento mirato alla ristrutturazione degli spazi scolastici e alla loro dotazione di dispositivi digitali, soprattutto considerate le più volte rimarcate carenze dell’edilizia degli istituti, che i finanziamenti del PNRR dovrebbero provvedere a sanare. Si vedano in proposito le linee guida orientative per gli ambienti di apprendimento e per la didattica (Progettare, costruire e abitare la scuola), che saranno alla base del concorso di progettazione delle nuove scuole previste dal PNRR; del gruppo di elaborazione hanno fatto parte anche i noti architetti Stefano Boeri, Luisa Ingaramo, Cino Zucchi e Andrea Gavosto Direttore della Fondazione Giovanni Agnelli.

In realtà, un’analisi attenta, a partire dall’ampia e articolata descrizione del contesto di intervento, evidenzia una visione sistemica della digitalizzazione che sviluppa un’idea complessa dell’apprendimento e del suo essere centrale nello sviluppo dell’individuo e della società.

Si tratta dell’apice di un lungo percorso di interventi ministeriali e (non solo) che hanno fatto evolvere l’approccio alle tecnologie didattiche da una visione meccanicista e comportamentista ad un quadro sistemico di cultura digitale di una società complessa dove gli ambienti fisici e quelli digitali si integrano, definendo nuovi contesti di vita e nuove forme di relazione.

L’evoluzione dei piani per le tecnologie didattiche

La storia dei piani di sviluppo delle tecnologie per la didattica è lunga.

Piano Nazionale per l’Informatica (PNI)

Possiamo datarne l’inizio al 1985 con il Piano Nazionale per l’Informatica (PNI) rivolto agli insegnanti di Matematica e Fisica del biennio superiore, poi esteso a quelli di lingue e di lettere sempre nella scuola superiore.

L’intervento portò alla formazione di formatori, alla formazione dei docenti che aderirono, alla realizzazione di sperimentazioni supportate dal finanziamento di dotazioni per i laboratori. L’impatto fu significativo in quanto si arrivò alla modifica dei curricoli, all’emersione di docenti di talento che costituirono importanti risorse per la scuola negli anni successivi, ma soprattutto si manifestò, con molto tempo di anticipo e con mezzi molto limitati rispetto ad oggi, una spinta alla condivisione delle esperienze didattiche, attraverso la loro documentazione.

MultiLab

È del 1995 il Progetto MultiLab “Programma di sviluppo delle tecnologie didattiche nel sistema scolastico”, che prevedeva la creazione di poli scolastici in ogni regione composti da due scuole secondarie superiori, due scuole medie, due elementari e una materna. L’attenzione si spostò dal computer alla multimedialità, all’interazione tra parola, testi scritti, suoni e immagini, coerentemente con lo sviluppo della tecnologia e con la finalità di rendere l’ambiente scolastico omogeneo con quello extra-scolastico e di vita degli studenti. Le scuole selezionate diventarono protagoniste di un modello di formazione a cascata.

Piano Nazionale delle Tecnologie Didattiche 1997-2000 (PNTD)

Un salto in avanti si ebbe nel 1997 con il Piano Nazionale delle Tecnologie Didattiche 1997-2000 (PNTD) che coinvolse quasi l’interezza delle scuole italiane. Oltre al finanziamento per la costruzione di aule informatiche, venne previsto un massiccio intervento formativo rivolto a tutti i docenti e non più indirizzato alla sola creazione di figure esperte. L’approccio alle nuove tecnologie venne centrato sulla strategia della ricerca azione, attraverso la progettazione di itinerari curricolari che tenevano conto del rafforzamento nell’alunno del pensiero divergente, delle abilità linguistiche e della comunicazione, delle competenze grafiche e sonoro musicali. Caratterizzò questo piano in senso innovativo il rifarsi alle teorizzazioni delle “intelligenze multiple” di Howard Gardner, l’emergere dell’ipertestualità/ipermedialità, il tentativo di formare comunità di apprendimento/comunità di pratiche. Questa dimensione sociale dei processi di apprendimento trovò contestualizzazione nel farsi strada dell’aggregazione delle scuole in reti scolastiche, coerentemente con quanto indicato nel Regolamento dell’Autonomia Scolastica (DPR 8/03/1999 n° 275), con la stipula di accordi per lo sviluppo della didattica e delle sue metodologie, l’avvio di sperimentazioni, la realizzazione di interventi formativi, fino alla gestione amministrativa e contabile.

Da notare che per tutti gli anni ’90 nella scuola media fu presente, in forma abbastanza diffusa, la figura dell’Operatore Tecnologico, in pratica un antenato dell’odierno Animatore Digitale: si trattava di docente distaccato completamente dall’insegnamento e preposto al coordinamento e al supporto dell’utilizzo delle tecnologie nella didattica. Un’idea molto avanzata, ma che si spense con il venir meno nel tempo della condizione che la rese praticabile e cioè un forte esubero nella scuola media di docenti di Educazione Tecnica da riassorbire in questa funzione.

PuntoEdu e ForTIC

La disponibilità di piattaforme internet per l’eLearning caratterizza l’azione ministeriale a partire dal 2000. Prende forma la piattaforma PuntoEdu di INDIRE che consentirà attività di formazione a distanza che coinvolgeranno numeri altissimi di personale scolastico.

Il piano di maggior rilievo per la gestione delle tecnologie nella scuola è stato ForTIC che si è articolato in tre percorsi formativi:

  • Percorso A: un percorso di base per utenti delle tecnologie per la didattica rivolto ai docenti con scarse capacità nel loro ambito didattico; previsto per il 20% dei docenti di ruolo presso ciascuna istituzione scolastica (160.000 corsisti), voleva fornire a tutti almeno uno standard minimo di abilità e competenze.
  • Percorso B: destinato ai referenti per l’uso delle risorse tecnologiche e multimediali nella didattica rivolto a docenti già esperti, indicati in numero di uno (di ruolo) per scuola dal dirigente scolastico. In totale si tratta di (13.500 corsisti).
  • Percorso C: percorso predisposto per formare i responsabili delle infrastrutture tecnologiche della scuola o di reti di scuole; previsto per 4.500 persone su tutto il territorio nazionale, ipotizzava, nei fatti, il loro impiego su più scuole.

In questo insieme di azioni è evidente l’ampliarsi del target degli interventi anche se non si raggiunge ancora l’insieme di tutte le scuole e del personale scolastico; il numero di scuole e di docenti coinvolti, di attrezzature e di aule predisposte per l’impiego di tecnologie didattiche diventa un parametro di valutazione di successo dei piani che però, spesso, non viene approfondito da una analisi qualitativa dei risultati, delle trasformazioni e dei miglioramenti dei processi di insegnamento-apprendimento.

Da rilevare che viene teorizzato ed attivato un modello blend di formazione che mescola momenti a distanza e momenti in presenza gestiti entrambi da tutor stimolatori e facilitatori dei processi di crescita professionale. Ai tradizionali spazi fisici dei laboratori di informatica e delle aule computer si aggiunge la piattaforma PuntoEdu che consente la prosecuzione dei laboratori da ambienti domestici e scolastici.

Peraltro, è evidente che l’azione ministeriale segue da un lato lo sviluppo delle tecnologie con lo spostarsi del focus dal computer a internet, dall’automazione dei processi alla disponibilità del sapere, alla generazione di contenuti e alla gestione della dimensione relazionale. Da un computer addestratore e tutor si transita verso la disponibilità di luoghi virtuali per la condivisione e la cooperazione supportati dall’emergere di teorie cognitiviste e costruttiviste e dal Cooperative Learning. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione impattano, dunque, sulle ricerche pedagogiche, sul pensiero: le relazioni tra formatori e corsisti si ampliano e si modificano, rendendo applicabili pienamente metodologie didattiche innovative.

Cl@ssi 2.0

Nel 2009 il progetto Cl@ssi 2.0 sposta l’approccio al digitale dai laboratori e dalle aule speciali alla classe nel tentativo di portare l’impiego delle tecnologie da un uso saltuario o limitato ad un numero circoscritto di studenti o di breve periodo, alla didattica quotidiana attraverso la disponibilità continua delle attrezzature.

Si pone quindi l’attenzione sul setting d’aula che viene costruito in base agli obiettivi da raggiungere per favorire le metodologie più opportune.

L’azione si avvia in un numero molto limitato di classi ed inizialmente solo nella scuola secondaria di primo grado. Si tratta di un’azione di sperimentazione, ma che assume notevole risonanza perché vengono acquisiti soprattutto i nuovi dispositivi mobile, smartphone e tablet che stanno riscuotendo un fortissimo successo sociale e di vendite.

Il progetto frequentemente arriva ad essere associato riduttivamente alla messa a disposizione di tali dispositivi, anche se, in realtà, si tratta di un lavoro di ricerca e di creazione di modelli di riferimento, supportato dagli istituti regionali di ricerca (ANSAS ex-IRRE) e dall’università. Esso fa emergere prepotentemente il concetto di ambiente di apprendimento che rompe la chiusura della classe nel perimetro dei muri dell’aula e della relazione unidirezionale docente-studenti per organizzare tutti i fattori che interagiscono nel processo di apprendimento: gli insegnanti, gli strumenti, gli archivi dei contenuti, le metodologie didattiche e le tecniche attive, l’organizzazione della classe con la personalizzazione degli interventi e con la partecipazione attiva degli studenti alla progettazione e alla gestione del proprio apprendimento da sviluppare in condizioni di cooperazione e di connessione globale attraverso la rete internet.

Dalle Lavagne Interattive Multimediali (LIM) ai PON (Programmi Operativi Nazionali)

Il passaggio da una didattica supportata occasionalmente da tecnologie nei laboratori alla gestione quotidiana di strumenti e ambienti digitali di apprendimento in classe viene consolidata da una fornitura massiccia di LIM (lavagne Interattive Multimediali). Tale dotazione verrà estesa nel tempo attraverso le risorse e gli investimenti diretti delle scuole.

Da questo momento gli interventi istituzionali si fanno più complessi e variegati per l’azione delle Regioni ad integrazione e sviluppo dei finanziamenti ministeriali. Le sinergie sia sul piano delle forniture che della formazione si estendono anche a progetti di promozione, marketing e sperimentazione di grandi aziende (ad esempio, Smart Future di Samsung).

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A ciò si aggiungeranno massicci finanziamenti europei attraverso i PON (Programmi Operativi Nazionali) che vengono finalizzati all’infrastrutturazione degli edifici attraverso i cablaggi e le reti wi-fi, alla realizzazione di ambienti di apprendimento, alla formazione per l’acquisizione di competenze digitali (con riferimento al quadro europeo per i docenti DigCompEdu).

Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD)

Il Piano Nazionale Scuola Digitale, viene varato nel 2015 con la legge 107, “La Buona Scuola” e si pone, all’apice di questo percorso, come quadro complessivo e sistemico di 35 Azioni per la digitalizzazione della scuola. Esse vengono così categorizzate:

Strumenti:

  • Accesso
  • Spazi e ambienti dell’apprendimento
  • Identità digitale
  • Amministrazione digitale

Competenze:

  • Competenze degli studenti
  • Digitale, imprenditorialità e lavoro
  • Contenuti digitali

Formazione e accompagnamento:

  • Formazione del personale
  • Accompagnamento

Future Labs e Equipe Formative

Nel 2020 vengono attivati, in 28 scuole italiane, i Future Labs. Si tratta di poli territoriali per l’innovazione, che utilizzano docenti distaccati dall’insegnamento (che curano la formazione per:

  • la messa a sistema delle competenze digitali dei docenti, con percorsi mirati e nell’ambito del quadro di riferimento europeo DigCompEdu;
  • Il potenziamento delle competenze digitali di dirigenti scolastici e figure di staff;
  • Il sostegno alla digitalizzazione delle amministrazioni scolastiche, con corsi per il personale Amministrativo, Tecnico e Ausiliario (ATA) e per i Direttori dei Servizi Generali e Amministrativi (DSGA).

Vengono anche costituite le Equipe Formative Territoriali che hanno il compito di garantire la diffusione delle azioni legate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza nonché di promuovere azioni di formazione del personale docente e di potenziamento delle competenze degli studenti sulle metodologie didattiche innovative.

Esse sono complessivamente composte da:

  • 200 docenti in posizione di semiesonero dall’esercizio delle attività didattiche, per il cinquanta per cento dell’orario di servizio;
  • 20 docenti in posizione di comando (esonero totale) presso gli Uffici scolastici regionali e presso l’Amministrazione centrale.

Importante sarà il ruolo di queste strutture nella formazione emergenziale di docenti e personale amministrativo all’esplodere della pandemia di Covid-19 per rispondere alla necessità di realizzare la DAD (Didattica A Distanza).

Piano Scuola 4.0

Il Piano Scuola 4.0 (2022) va a collocarsi di fatto nell’ambito del PNSD (Piano Nazionale Scuola Digitale) e crea un volano alla realizzazione di una digitalizzazione strutturale e sistemica della scuola.

La pandemia di Covid-19 ha confinato, in maniera innaturale, la relazione educativa solo nelle piattaforme e nondimeno la Didattica a Distanza (DaD) l’ha mantenuta viva . Proprio questa situazione ha permesso di sperimentare in maniera altamente diffusa le potenzialità degli strumenti digitali e della rete. Attraverso la DAD si è attivata una formazione “esperienziale” alle tecnologie per la didattica, rafforzata da formazione e supporti erogati sempre attraverso la rete.

Nel riportare la didattica digitale in classe sarà fondamentale che la scuola abbia consapevolezza del suo fondamentale ruolo nella costruzione di una cultura digitale e dell’innovazione che dovrà praticare, non più solo utilizzando le tecnologie in spazio e tempi confinati, ma in ambienti di apprendimento ibridi che si imporranno nella società come ambienti normali di vita e di gestione della quotidianità: una società digitale è infatti una società caratterizzata da una molteplicità di relazioni e dal bisogno di innovare per affrontare la complessità; essa non può, infatti, che fondarsi sulla capacità di apprendere ad apprendere per tutto l’arco della vita.

Il Piano Scuola 4.0 porta dunque l’integrazione di ambienti fisici e digitali di apprendimento al massimo sviluppo sistemico nel definire il concetto di Ecosistema dell’Apprendimento come insieme di luoghi, tempi, persone, attività didattiche, strumenti e risorse. Le relazioni tra questi elementi si concretizzano in organizzazione del tempo, gestione delle risorse, personalizzazione dei percorsi, attivazione e consapevolezza dei processi, scelta di metodologie adeguate ai discenti e al loro raggiungimento degli obiettivi.

Questo approccio sistemico cerca quindi di ricollegare e coordinare in qualche modo le molte progettualità pregresse, in corso di attuazione e gli investimenti del PNRR in un quadro complessivo ed ottimizzante.

Tale quadro prevede l’integrazione nelle azioni dell’Unione Europea per la transizione digitale ed in particolare per la trasformazione digitale delle scuole. Vengono richiamate le iniziative già attivate quali la mobilità Erasmus+ per studenti e docenti e il Progetto eTwinning, community europea che promuove l’innovazione, l’utilizzo delle tecnologie nella didattica e la creazione condivisa di progetti didattici multiculturali tra istituti scolastici di Paesi diversi, sostenendo la collaborazione a distanza fra docenti e il coinvolgimento diretto degli studenti. Viene quindi individuato nel dettaglio il raccordo tra le misure nazionali e il Piano Europeo di Azione per l’Istruzione Digitale 2021-2027 (Ripensare l’istruzione e la formazione per l’era digitale) che si articola su due priorità:

  • lo sviluppo di un ecosistema altamente efficiente di istruzione digitale;
  • Il miglioramento delle competenze e delle abilità digitali per la trasformazione digitale.

Le due gambe di tali azioni sono il miglioramento della connettività delle scuole attraverso i fondi del REACT-EU (iniziativa che prevede misure per favorire la ripresa dopo la crisi della pandemia) e il riferimento del quadro europeo delle competenze digitali (DigCompEdu e DigComp 2.1 e DigComp 2.2).

L’integrazione tra piani europei e piani nazionali è centrata dunque sul comune obiettivo di sviluppare un ecosistema di istruzione/apprendimento. Si tratta di una visione sistemica ed ecologica che prende atto della complessità delle relazioni che intercorrono tra gli elementi del fenomeno digitale, che, come è evidente dalla storia dei piani nazionali prima tracciata, si è progressivamente allargato nel tempo, da questione tecnologica (disciplinare), a questione pedagogica, a questione sociale e culturale.

Una scuola digitale per la società dell’apprendimento

Lo scopo, dunque, non è solo quello di digitalizzare la scuola, fornendo una grande quantità di dispositivi e dotazioni. E’ anche quello di farla diventare centrale nell’evoluzione della società verso contesti e stili di vita profondamente diversi, gestendo i luoghi dell’abitare in modo da integrare gli ambienti fisici con quelli digitali in un nuovo territorio, creando nuovi abitanti.

Il motore di questa nuova realtà è l’apprendimento; pertanto, è fondamentale partire dalla scuola; da una scuola che non fornisca istruzioni e procedure, ma padronanza di processi per costruire soluzioni e rappresentazioni utili, ma flessibili, di un mondo complesso fatto di azioni e reazioni spesso non prevedibili.

Il richiamo al concetto di onlife che presiede alla realizzazione di 100.000 aule nel Framework 1 (Next Generation Classroom) del Piano va dunque oltre alla semplice integrazione di ambienti fisici e digitali di apprendimento. Una scuola onlife è una scuola che si pone in continuità con una società fondata sull’apprendimento. I nuovi ambienti di apprendimento non dovranno essere pensati come uno specifico scolastico, ma dovranno essere rinvenibili anche nei luoghi di lavoro e di vita sociale ed essere legati da un approccio formativo continuo lungo tutto l’arco della vita degli abitanti.

Luciano Floridi - Onlife: essere umani nell'era digitale

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Puntuale in tutta la prefigurazione delle nuove classi è la loro apertura all’interno della scuola, verso il territorio e verso la rete. Correttamente si sollecita quindi anche la necessità di perseguire obiettivi di cittadinanza digitale, che andrebbe forse ridefinita come “nuova abitanza” per portarla da un terreno filosofico alla concretezza della quotidianità.

L’organizzazione scolastica

Lo sforzo da compiere non è solamente quello di acquisire dotazioni digitali innovative (strumenti di realtà virtuale e aumentata, ambienti basati sull’intelligenza artificiale, metaverso/eduverso, … ), arredi e piattaforme, ma anche quello ineludibile di predisporre condizioni di flessibilità nella gestione degli spazi (interni ed esterni), ma anche in quella del tempo e nella diversificazione dei percorsi educativi degli studenti. Si tratta di 3 variabili che vanno combinate insieme, sapendo che toccando l’una si modificano di conseguenza anche le altre.

Il riferimento alla classe è preciso, ma la classe che il Piano ipotizza non è quella chiusa e statica della ripetitività quotidiana. Essa va intesa quasi come un organismo in grado di evolversi e ricomporsi con gli altri spazi dell’edificio, con il suo intorno e con il territorio per soluzioni adeguate allo sviluppo della didattica in una rete complessa di relazioni educative. Si potranno così creare gruppi di studenti per specifici bisogni di apprendimento, per interessi, per sincronia di apprendimento e non solo per età; essi potranno spostarsi all’interno dei “luoghi” e seguendo tempistiche atte a realizzare il loro personale percorso educativo e curricolo. L’insegnante potrebbe, al contrario, non spostarsi tra le classi, ma divenire il gestore specializzato di uno o più specifici ambienti digitali di apprendimento.

Tutto ciò richiede di rivedere i ruoli dei soggetti scolastici in termini di partecipazione attiva. Il dirigente scolastico e il suo staff devono realizzare un raccordo tra le opportunità e le necessità del territorio e i bisogni formativi degli studenti in un’offerta formativa coerente. I docenti dovranno sviluppare ricerca ed innovazione per una efficace costruzione di ambienti di apprendimento in cui si attivino tecniche, metodologie e relazioni. La loro progettazione dovrà poi vedere la partecipazione attiva di studenti e famiglie, quale attivazione dell’ecosistema di apprendimento e dell’integrazione nel territorio.

Il territorio dell’apprendimento

L’ecosistema sarà così in grado di rispondere ad esigenze complesse della comunità in termini di apprendimento continuo. La creazione di reti con soggetti locali, ma anche con partner nazionali ed europei, su campi specifici di ricerca e progetti comuni, diviene allora ineludibile e si pone la necessità di creare strutture codificate ed istituzionali di progettazione, sviluppo e ricerca, monitoraggio e valutazione.

Utile rifarsi in proposito agli studi di Norman Longworth sulle “città che imparano” e alle esperienze da essi ispirate. Al proposito si propone qui uno schema che descrive le relazioni tra gli stakeholder nelle learning city e nelle learning region: nel rettangolo più interno sono elencate le azioni dell’amministrazione locale, nella parte esterna quelle degli stakeholder.

Lo schema sembra adattarsi perfettamente al funzionamento dell’ecosistema di apprendimento qui delineato; gli stakeholder elencati nella descrizione di Longworth sono:

  • aziende industriali e commerciali;
  • Università e centri di formazione superiore;
  • Centri di formazione professionale per adulti;
  • Enti di formazione non professionale e organizzazioni di volontariato;
  • Centri culturali quali biblioteche, musei, gallerie d’arte.

Una così ampia rete di rapporti richiede figure istituzionali ed istanze funzionali ben configurate.

Servono coordinatori, team di gestione, commissioni, gruppi di progetto, tecnici ed esperti, ricercatori, documentalisti, valutatori.

Bisogna dunque elaborare una cultura della cooperazione che crei una vera integrazione di risorse e il perseguimento di obiettivi comuni. Se è vero che esistono ottimi esempi di sinergie tra scuole e con i vari soggetti territoriali, non può certo dirsi che attualmente queste condizioni si verifichino ovunque. Spesso le amministrazioni territoriali forniscono servizi, ma non li progettano insieme alle scuole; gli insegnanti non vengono coinvolti nella progettazione degli interventi nell’edilizia scolastica; centri culturali, centri di formazione, università agiscono autonomamente secondo proprie politiche e le aziende si pongono in genere solo come fornitrici di materiali e prestazioni.

Limiti e criticità

Purtroppo, l’organizzazione scolastica manifesta diverse criticità e dovrebbe essere riformata per essere funzionale alla transizione agli ambienti digitali di apprendimento e alle forme innovative di didattica che essi possono supportare. La creazione di ruoli funzionali per la gestione del regime di autonomia si rivela tuttora carente e definisce condizioni di precarietà, di scarso peso istituzionale e di limitate responsabilità (con deleghe spesso solo apparenti: abbiamo staff della dirigenza che non sono staff di dirigenti).

Il Piano afferma correttamente e con chiarezza “La progettazione della trasformazione delle aule esistenti in ambienti innovativi necessita della collaborazione di tutta la comunità scolastica per l’effettivo esercizio dell’autonomia didattica e organizzativa della scuola. Il dirigente scolastico, in collaborazione con l’animatore digitale, il team per l’innovazione e le altre figure strumentali, costituisce un gruppo di progettazione, coinvolgendo i docenti e gli studenti.”

La scuola, però, attualmente è un’organizzazione fluida in cui spesso è anche difficile far riferimento al Piano dell’Offerta Formativa a causa della instabilità del personale. Si assiste ad una mobilità a volte esasperata, determinata da fattori estranei all’erogazione del servizio: assegnazioni provvisorie, trasferimenti, non titolarità determinano a volte forti ricambi di personale.

Per formare una comunità scolastica dialogante con il territorio e presente in rete sarebbe invece importante disporre di un personale più stabile nel tempo, coerente con gli indirizzi del Piano dell’Offerta Formativa e con una progressiva condivisione di valori, competenze, metodologie e tecniche che definiscano nel corso del tempo la comunità di apprendimento nella realizzazione di esperienze significative e non estemporanee. La scuola spesso sembra perdere memoria del suo passato anche recente e sembra a volte ricominciare da zero ad ogni inizio anno scolastico.

Fondamentale, ovviamente, è la figura e la funzione del Dirigente Scolastico nel coordinamento amministrativo e nel garantire la coerenza degli interventi con il Piano dell’Offerta Formativa. Egli dovrebbe anche garantire un flusso di finanziamento atto a sviluppare dotazioni, ambienti di apprendimento e la loro manutenzione: da un lato dovrebbe gestire la partecipazione ai bandi europei e nazionali, dall’altro, in collaborazione con altre scuole e soggetti territoriali, dovrebbe promuovere fundraising e crowdfunding in una logica di condivisione di valori e obiettivi all’interno della comunità di apprendimento. Anche in questo caso, la continuità della sua azione è a volte incerta in quanto sottoposta all’incertezza del dispositivo di attribuzione triennale degli incarichi.

Entrando nello specifico delle figure professionali deputate allo sviluppo del digitale nella didattica, si permane ancora in condizioni di ambiguità, ancor più di altre figure di sistema. Animatori Digitali e membri dei Team per l’Innovazione Digitale sono figure aggiuntive dall’inquadramento molto precario: la loro azione è sottoposta a disponibilità personale, a selezione disomogenea nelle varie istituzioni scolastiche, che potrebbero anche mancare di personale competente e dover comunque attribuire gli incarichi, che, tra l’altro, non prevedono chiare attribuzioni economiche (in ogni caso, estremamente limitate).

Si evidenziano, quindi, i limiti di una istituzione che a fronte della complessità dell’azione educativa non riesce a differenziare la funzione docente in vere figure deputate alla gestione di settori di attività rilevante e che richiedono precise competenze, specifica formalizzazione del rapporto di lavoro e un orario dedicato e non aggiuntivo rispetto all’attività in classe.

Infine, una normativa recente ha introdotto la figura dell’Assistente Tecnico, presente negli istituti secondari di secondo grado, anche negli istituti comprensivi (scuole dell’infanzia, scuole primarie, scuole secondarie di primo grado). Si tratta di una dotazione organica fondamentale per la gestione ordinaria e quotidiana delle dotazioni digitali della scuola, che ora, con lo sviluppo delle dotazioni digitali previste dal Piano, acquisisce particolare rilevanza anche negli ordini e gradi inferiori. Però, il numero stabilito di mille Assistenti permette solo una collocazione in scuole polo che distribuiscano il servizio su altre: questo costituisce una complicazione organizzativa, una condizione di lavoro disagiata, una mancanza di tempestività degli interventi che potrebbero essere svolti anche in sedi molto lontane tra loro e in territori di difficile mobilità (si pensi alle aree montane, alpine ed appenniniche). Estendere il numero di Assistenti Tecnici appare dunque di grande importanza per la sostenibilità della gestione degli ambienti digitali di apprendimento e perché non si corra il rischio di creare cattedrali nel deserto. La mancanza di un simile supporto potrebbe, infatti, creare notevoli problemi per l’utilizzo degli ambienti digitali e delle dotazioni nella didattica quotidiana ed inficiare attività svolte in collaborazione con soggetti territoriali nella costruzione di un sistema di apprendimento di comunità.

Formazione, comunità locale e mondo del lavoro

Dal punto di vista dell’acquisizione di competenze, va evidenziata, in coerenza con l’obiettivo di creare comunità di apprendimento, la necessità di realizzare attività di formazione (in presenza e/o on line) mirate alle realtà delle singole scuole o delle specifiche reti di scuole, che prevedano anche l’assistenza diretta alle sperimentazioni condotte nei nuovi ambienti digitali.

Si tratta di creare una sinergia tra formatori, docenti ed anche stakeholder che permetta di valutare l’impatto dell’innovazione sulle competenze dei docenti, sui risultati degli allievi ed anche sulla crescita delle relazioni della scuola con il territorio.

L’impatto della formazione dovrebbe portare le scuole a concretizzare azioni, non solo per i propri studenti, ma anche per la comunità locale e non solo. Gli ambienti digitali realizzati con il finanziamento del Piano Scuola 4.0 e una rinnovata cultura digitale possono essere quindi i vettori per sviluppare il sistema scolastico da servizio destinato esclusivamente a specifiche fasce di età (bambini e ragazzi) a soggetto centrale nella costruzione di Learning City.

Esempi di un simile ruolo della scuola nella comunità sono, ad esempio, i progetti di formazione intergenerazionale che vedono gli studenti impegnati a sviluppare competenze digitali negli anziani, i Laboratori Territoriali per l’Occupabilità volti a favorire la conoscenza, l’inserimento e il reinserimento dei giovani nel mondo del lavoro mediante la valorizzazione delle specificità e delle vocazioni di ciascun territorio, il Service Learning che porta gli studenti ad apprendere in contesti reali di vita, che diventano ambienti sociali di apprendimento attraverso la predisposizione e la gestione di servizi per la comunità.

I Next Generation Labs previsti nelle scuole secondarie di secondo grado per la formazione alle professioni digitali del futuro possono svolgere analoga funzione di luogo di interazione con la comunità sul versante delle imprese e del mondo del lavoro. La loro disponibilità potrà essere estesa dalla scuola alle aziende e alle associazioni datoriali per intessere un dialogo sugli sviluppi del digitale nelle industrie e nei servizi e sull’apprendimento stesso, soprattutto per concretizzare la quinta competenza del quadro europeo, la competenza personale, sociale e la capacità di imparare ad imparare: una competenza fondamentale per il Lifelong Learning ed in particolare per seguire le trasformazioni delle aziende e delle professioni.

I “Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento” (PCTO) potranno dunque svilupparsi nei nuovi Laboratori in una continuità di ambienti fisici e digitali tra scuola e imprese. Saranno orientativi in quanto non saranno centrati sullo svolgimento del lavoro messo a disposizione, ma all’acquisizione di consapevolezza di quali processi agentivi, cognitivi e relazionali sia necessario porre in essere nella sua esecuzione e di quale azione di miglioramento dei medesimi sia necessario attivare. Le attività cooperative svolte nella scuola saranno anche parte di una palestra del lavoro in team che lo studente ritroverà nel contesto lavorativo.

Il rapporto tra scuole imprese concretizzerà allora un laboratorio di ricerca azione centrato sulle competenze, sui processi e sull’apprendimento, utile per la didattica e, al contempo, utile alle imprese per rispondere prontamente alla continua innovazione nella produzione e nell’organizzazione del lavoro.

Documentazione e valutazione

Un’azione così complessa richiede che le scuole attuino una documentazione puntuale delle attività. Essa non può essere orientata solamente alla promozione dei progetti e della scuola stessa. È sicuramente positivo il fatto che le scuole cerchino di valorizzarsi attraverso l’esposizione delle proprie esperienze di successo (o che ritiene tali), quasi con una forma di marketing. Ed è ancor più positivo lo scambio di pratiche di attività didattiche, un tempo letteralmente impensabile: l’abitudine alla condivisione promossa dal web si è affermata e trova nel web stesso canali, repository e strumenti di ogni tipo.

Quello che va assolutamente recuperato è però una documentazione finalizzata al monitoraggio e alla valutazione delle esperienze didattiche in ambienti digitali che parta dalle relazioni tra docenti e studenti e raccolga le riflessioni e la consapevolezza di entrambi sul conseguimento dei risultati, sulle modalità del loro conseguimento, su quanto sarà possibile ottenere e migliorare in futuro alla luce di ciò che si è conseguito.

Si tratta di porre in essere la valutazione delle attività e dei progetti e una valutazione formativa degli studenti, orientata a quanto potrà accadere domani e che non si fermi all’osservazione di quanto successo in sé e per sé.

Episodio 7 – La valutazione formativa

Episodio 7 – La valutazione formativa

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Docenti e studenti devono prevedere quanto potrà accadere nel futuro in virtù del percorso educativo svolto: gli insegnanti non devono fare i giudici del passato (magari con un malinteso e non ben definito senso del merito), devono prevedere il futuro degli studenti e quali azioni di miglioramento delle competenze potrebbero renderlo migliore.

La valutazione per competenze deve dunque essere centrata sulla restituzione dei profili degli studenti rispetto ai processi che essi riescono a sviluppare in situazione, nello svolgimento di compiti e nella soluzione di problemi. Gli ambienti digitali di apprendimento e i nuovi laboratori possono sicuramente concentrare l’attenzione degli insegnanti sui processi operativi, cognitivi e relazionali sviluppati dagli studenti nell’ambito di simulazioni e di svolgimento di compiti di realtà.

La ricerca e la formazione dei docenti dovranno quindi servire anche a predisporre tecniche, strumenti adeguati e una forte cultura della valutazione formativa, spesso poco praticata a favore di analisi delle sole prestazioni fornite.

Dopo la pandemia: condizioni per una serena fruizione di dispositivi e piattaforme digitali

Se forti sono le attribuzioni alle scuole di risorse, strumenti, azione progettuale, gestione, responsabilità, un elemento deve essere obbligatoriamente gestito livello di Amministrazione Centrale: è la definizione di condizioni convenienti e sicure per la fruizione dei servizi e delle piattaforme on line. Attualmente, tale fruizione è limitata dai costi e dalla problematicità delle policy per la privacy e la tutela dei minori.

Sicuramente positiva è la creazione dello SPID per i minori, sotto rigorosa tutela genitoriale.

Il Ministero deve, però, realizzare anche accordi con le piattaforme per definire prezzi che siano sostenibili dalle scuole italiane e per risolvere i problemi di non conformità delle norme di sicurezza vigenti in stati extra-europei con la normativa della UE (GDPR).

Creare un quadro di condizioni di effettiva fruibilità dei servizi digitali orientati alla scuola o, comunque, utilizzabili per la didattica e di sicuro rispetto delle norme di sicurezza, sarà, dunque, un elemento determinante nell’adesione al Piano Scuola 4.0.

Anche perché, dopo il periodo più acuto di pandemia da Covid-19 stanno emergendo alcune tendenze implosive di rifiuto delle tecnologie.

La DAD (Didattica A Distanza) tende, abbastanza spesso, ad essere vista come origine dei mali della scuola, invece che come ancora di salvezza durante la fase di lockdown. Finita, in buona parte, la necessità di isolamento, molti non vedono le opportunità che le tecnologie offrono all’apertura del servizio scolastico al territorio e agli stakeholder. Gli ambienti digitali di apprendimento e la DDI (Didattica Digitale Integrata) aprono la scuola a connessioni per l’educazione degli abitanti e non solo degli studenti. Senza contare l’immediato supporto che essi forniscono alle situazioni di homebound (confinamento in casa), temporaneo o permanente, in cui si trovano a vivere alcuni studenti, che altrimenti, non solo avrebbero grosse difficoltà nel seguire il percorso formativo, ma sarebbero anche interamente privati della socializzazione e della cooperazione con i compagni.

Sono poi estremamente pericolose le recenti posizioni di esclusione a priori dell’uso degli smartphone nelle sedi scolastiche, espresse persino con orgoglio e piglio moralizzante: da un lato, si concentra l’attenzione sui dispositivi, invece che sugli ambienti della didattica e sulle metodologie che essi permettono di mettere in campo per raggiungere gli obiettivi; dall’altro, i dirigenti e i docenti in questione (col consenso anche di parte dei genitori e di alcuni studenti) rifiutano di educare all’utilizzo utile e consapevole degli stessi, preferendo rimuovere fittiziamente il problema. Più ci sono distorsioni nell’uso del digitale e più la scuola deve intervenire ed educare.

Sarà dunque fondamentale far comprendere la stimolante e serena quotidianità, nonché l’efficacia dell’azione educativa che si potranno conseguire negli ambienti digitali di apprendimento e nei nuovi laboratori, mostrando l’uso consapevole e il valore aggiunto del digitale. Alcune resistenze saranno inevitabili perché il cambiamento ha una portata epocale: non si tratta banalmente di imparare ad usare alcuni strumenti, ma di costruire un pensiero nuovo e di creare una nuova cultura.

La scuola della società industriale è finita e l’approccio sequenziale e rassicurante del Taylorismo e del Fordismo non permette di affrontare la complessità che caratterizza il mondo attuale. Il digitale offre enormi opportunità di sviluppare una visione ecologica dell’apprendimento ed è questa la vera trasformazione che la scuola deve compiere, ma del resto è il cambiamento che tutta la società deve compiere con consapevolezza, spirito critico e scelte condivise. Sarà dunque fondamentale che il Piano Scuola 4.0 sia interpretato ed acquisito dalle comunità per essere strumento propulsore di nuovi modi di pensare, di nuove forme di relazione e di innovazione sociale.

Bibliografia

Bannister, D. (2017). Linee guida per il ripensamento e l’adattamento degli ambienti di apprendimento a scuola. European Schoolnet/INDIRE. Download: https://www.indire.it/wp-content/uploads/2018/04/A2.2.pdf

Biondi, G. (2021). La scuola che ancora non c’è. Dalla crisi del modello tayloristico alla scuola del futuro. Roma: Carocci Editore.

Biondi, G., Borri, S., & Tosi, L. (2016). Dall’aula all’ambiente di apprendimento. Altralinea Edizioni.

Ellerani, P. (2020). Costruire l’ambiente di apprendimento. Prospettive di cooperative learning, service learning e problem-based learning. Liscianilibri.

Floridi, L. (2014). The Onlife manifesto: being human in a hyperconnected era. Springer.

Download: https://link.springer.com/content/pdf/10.1007/978-3-319-04093-6.pdf

INDIRE, Architetture Scolastiche: https://architetturescolastiche.indire.it/

INDIRE, Fare didattica in spazi flessibili:

https://architetturescolastiche.indire.it/percorsi_tematici/fare-didattica-in-spazi-flessibili/

INDIRE, Quando lo spazio insegna, https://www.indire.it/quandolospazioinsegna/

Longworth, N. (2017). Apprendimento formale e community learning. Alcuni spunti di riflessione. Quaderni di Orientamento n° 51, Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia. Download:

https://app.box.com/s/g9qfp5npfq2zsyef7kr0v38q2aghnb7l

Longworth, N. (2007). Città che imparano. Come far diventare le città luoghi di apprendimento. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Tosi, L. (2019). Fare didattica in spazi flessibili. Progettare, allestire e utilizzare ambienti di apprendimento. Milano: Giunti Scuola.

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