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Geopolitica digitale: perché la Cina punta alla conquista dell’artico



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Il passaggio della fibra ottica attraverso l’Artico renderebbe più efficaci le infrastrutture di comunicazione globali e permetterebbe di aggirare i choke points. L’asse russo-cinese nell’area desta non poche preoccupazioni. L’analisi di Antonio Deruda nel saggio “Geopolitica Digitale, la competizione globale per il controllo della Rete“

Pubblicato il 15 mag 2024

Antonio Deruda

Docente, analista e consulente, analista e consulente



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All’inizio del 2018 la Cina si è autoproclamata un Near Arctic State. Definirsi uno Stato limitrofo all’Artico quando la distanza tra i punti più vicini delle due aree è di circa 1.500 chilometri potrebbe apparire paradossale. Ma, se la distanza viene interpretata in senso geostrategico, allora può diventare vicinanza. […]

L’Artico e la nuova frontiera della geopolitica digitale

Se per lunghi anni le condizioni ambientali e atmosferiche hanno relegato questa regione ai margini della geopolitica, oggi i cambiamenti climatici e le innovazioni tecnologiche stanno dando nuove prospettive all’Artico, che è già diventata area di confronto tra i tradizionali Stati che vantano territori artici (Russia, Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti) e alcuni Stati asiatici che negli ultimi anni hanno ampliato il raggio delle loro mire geografiche, in particolare Cina, India, Giappone, Singapore e Corea del Sud. […]

Fibra ottica nell’Artico: i vantaggi

Il passaggio attraverso i ghiacci non porterebbe solo benefici da un punto di vista logistico e commerciale, ma renderebbe anche più efficaci le infrastrutture di comunicazione globali. I cavi sottomarini in fibra ottica nell’Artico avrebbero almeno due vantaggi. Il primo è un aumento della velocità di trasmissione perché il percorso per collegare Europa, Asia e Nord America sarebbe più corto rispetto alle rotte attuali e permetterebbe di avere una latenza inferiore (tempo di risposta tra una richiesta sulla rete e la ricezione dei dati). Da Londra a Yokohama, ad esempio, i dati dovrebbero percorrere 14.000 chilometri di distanza rispetto agli oltre 30.000 che devono fare attualmente tramite il cavo sea-me-we 3 (South-East Asia-Middle East-Western Europe 3).

L’altro vantaggio riguarda la possibilità di aggirare i choke points, ovvero quelle che oggi sono diventate delle vere e proprie strozzature nel flusso dei dati. Canale di Suez, stretto di Hormuz, canale di Sicilia o stretto di Malacca, per citarne alcuni, sono attraversati da decine di cavi ed è lì che si concentra anche un’intensa attività marittima che mette a repentaglio la sicurezza delle arterie in fibra ottica.

Alcuni tratti di mare inoltre sono considerati molto pericolosi (nel 2016 una nave posacavi fu attaccata da pirati nel mar Rosso) e diverse landing station insistono su territori dove le situazioni politiche sono instabili e l’autorità dei governi poco incisiva, creando così altre potenziali falle di sicurezza per la gestione delle infrastrutture. Tutte problematiche che non si presentano nella regione artica, dove non ci sono grandi strozzature geografiche, si concentra molta meno attività marittima, c’è stabilità politica e la pirateria è inesistente. […]

Ancora è presto per immaginare che i data center del futuro saranno degli igloo nell’Artico, ma le stime degli scenari sono molto interessanti: i nuovi cavi passanti per le regioni artiche sarebbero in grado di raggiungere il 70% della popolazione mondiale e il 50% degli attuali utenti di Internet.

Progetti in corso per i cavi in Artico e il coinvolgimento cinese

Nonostante esistano ancora ostacoli per la realizzazione dei cavi – costi alti, difficoltà logistiche per il trasporto dei materiali e tempi lunghi dovuti alla possibilità di lavorare solo nei pochi mesi con clima mite – negli ultimi anni sono stati lanciati diversi progetti. E molti di questi prevedono il coinvolgimento di aziende cinesi.

Il progetto Polar Express

Uno dei più importanti dal punto di vista geopolitico è il Polar Express, guidato dalla Russia. È stato annunciato nel 2020 e mira a collegare i porti artici russi di Teribërka e Vladivostok entro il 2026 con una lunghezza di 12.650 chilometri. È finanziato interamente da Mosca, sarà gestito dalla società statale Morsviazsputnik e costerà quasi 900 milioni di dollari. In questo progetto, che si potrebbe definire autarchico, c’è un unico partner straniero: la Cina, che fornisce le fibre ottiche presenti nel cavo.

I cavi Greenland Connect e Greenland Connect North

Le aziende legate a Pechino sono riuscite a inserirsi anche in un altro progetto nell’area artica: i cavi Greenland Connect e Greenland Connect North, oltre 5.000 chilometri che connettono Canada, Islanda e Groenlandia, sono stati posati da HMN Tech.

La società del gruppo Hengtong si era aggiudicata anche i lavori di realizzazione del cavo Arctic Connect, un progetto ambizioso nato nel 2016 da una partnership tra Finlandia e Russia con l’obiettivo di collegare Europa e Asia. Un cavo da quasi 14.000 chilometri che sarebbe dovuto entrare in servizio tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, ma la cui costruzione è stata sospesa a causa delle evoluzioni geopolitiche che hanno portato prima a un isolamento della Russia e successivamente, dopo l’invasione dell’Ucraina, a un deterioramento delle relazioni bilaterali tra i due paesi partner. […]

Reazioni geopolitiche all’asse russo-cinese nell’Artico

Gli Stati artici del blocco occidentale hanno già espresso pubblicamente preoccupazione per il rafforzamento dell’asse russo-cinese. […] Basi militari, collaborazione tra servizi segreti, investimenti e tecnologie cinesi. Una combinazione di elementi che ha fatto alzare il livello di allerta nel quartier generale della Nato a Bruxelles e a Washington, dove il presidente Biden ha creato la nuova figura dell’“inviato speciale per l’Artico”, ennesimo segno di un’attenzione crescente verso una regione che sarà protagonista delle prossime sfide tra superpotenze, anche in chiave di geopolitica digitale.

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