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Deepfake porno con Giorgia Meloni, ecco tutti i reati commessi



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A processo due sassaresi per diffusione video con Meloni in versione porno deepfake. La tecnologia IA deep fake può essere particolarmente insidiosa, attesi in concreti rischi per la dignità e sicurezza della persona ovvero per il suo patrimonio. Ecco i reati che si possono configurare

Pubblicato il 25 ott 2023

Marco Cartisano

Studio Polimeni.legal



giorgia meloni deepfake

A processo padre e figlio sassaresi per avere diffuso deepfake porno (porno non consensuale) con le fattezze di Giorgia Meloni.

I fatti risalgono al 2020 allorché le due persone furono individuate quali presunti responsabili della creazione e della diffusione, su una nota piattaforma americana per adulti, di un video hard in cui il volto della protagonista era stato sostituito, grazie a specifici software basati sull’AI, con quello della Presidente del Consiglio.

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La stessa si è costituita parte civile nel pedissequo processo per diffamazione aggravata e ha dichiarato di donare l’eventuale somma richiesta a titolo di risarcimento alle associazioni a tutela delle donne vittime di violenza in quanto, secondo la sua difesa, «La richiesta vuole essere un messaggio rivolto a tutte le donne vittime di questo genere di soprusi a non avere paura di denunciare».

Ma il materiale prodotto con la tecnica del “deep fake” quando è reato?

Partendo dal caso in esame, il materiale per adulti prodotto con la tecnica in esame, è, senza ombra di dubbio, lesivo della reputazione della parte offesa sia per il suo contenuto intrinseco, che per l’insidiosità derivante dal fatto che una persona di media cultura potrebbe non comprendere che si tratti di un “effetto speciale” creato dall’AI; oltretutto, le specifiche modalità di diffusione sono state pacificamente considerate dalla giurisprudenza quali elementi costitutivi dell’aggravante di cui all’art. 595 comma 3 c.p., ovvero quando l’offesa all’altrui reputazione avviene con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. (Cass. pen., Sez. V, 01/06/2021, n. 28634, ex multis).

Se il materiale prodotto con l’A.I. è, invece, utilizzato per ingannare il destinatario, il fatto potrebbe ascriversi, a seconda della condotta, al reato di cui all’art. 494 c.p. (sostituzione di persona), art. 640 (truffa), 640 ter (frode informatica), art. 56 e 629 c.p. (tentata estorsione), 612 bis (atti persecutori).

Per esempio, se l’agente comunica false generalità o qualità, ovvero, a prescindere da ciò, si presenta con il volto modificato con il deep fake al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggioo di recare ad altri un danno, risponde di sostituzione di persona; in ogni caso, il reato è a forma libera, pertanto, l’induzione di altri in errore potrà verificarsi in qualunque modo, anche con l’utilizzo di foto o filmati creati digitalmente.

Invece, se il deep fake viene considerato artifizio o raggiro per indurre in errore qualcuno e se dal fatto deriva profitto per sé o per altri, il fatto potrà ascriversi all’ipotesi di truffa ovvero, se utilizzato per prefigurare un male ingiusto per ottenere denaro o altre utilità, di estorsione, e, se posto in essere in maniera reiterata ingenerando nella vittima uno stato d’ansia, di stalking.

Inoltre, se le false immagini sono utilizzato per alterare, in qualsiasi modo, il funzionamento di un sistema informatico o telematico potrebbe contestarsi la frode informatica.

Particolarmente difficile potrebbe essere la contestazione di cui all’art. 612 ter c.p. (diffusione non consensuale di immagini sessualmente esplicite) poiché, atteso il principio di tassatività che governa la materia penale, la condotta di revenge porn può avere ad oggetto solo immagini prodotte senza il consenso della persona offesa, ma non anche quelle prodotte dall’IA, non essendo stata quest’ultima ipotesi espressamente prevista dal legislatore; in ogni caso, solo la giurisprudenza potrà risolvere la questione prospettata.

Invece, in caso di produzione o detenzione di materiale porno “deep fake” avente per oggetto soggetti minorenni, sarà possibile, alternativamente o congiuntamente, applicare le fattispecie di cui all’art. 600 quater 1 c.p. (pornografia virtuale), art. 600 ter c.p. (pornografia minorile), art. 600 quater c.p. (detenzione di materiale pedo-pornografico).

Difatti, è possibile contestare la condotta sopra descritta, in quanto il legislatore ha stabilito che i fatti sono punibili anche quando le immagini siano «realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali».

Ma quando il diritto di satira scrimina?

Nello specifico caso del deep fake utilizzato per prendere in giro una persona sarebbe possibile invocare diritto di satira?

Nel corso degli anni la giurisprudenza ha chiarito che il limite della satira va sempre trovato nella dignità della persona, elaborando una linea giurisprudenziale ormai consolidata.

Per esempio, «in ipotesi di diffamazione on line mediante pubblicazione di un video su youtube sussiste il diritto di satira se non vi è un’aggressione personale e gratuita. » Cass. pen., Sez. V, 25/01/2023, n. 12520); ed ancora, «in tema di diffamazione, ricorre l’esimente dell’esercizio del diritto di critica e satira politica quando le espressioni utilizzate esplicitino le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, non si risolvano in un’aggressione gratuita alla sfera morale altrui o nel dileggio o disprezzo personale. » (Cass. pen., Sez. V, Sentenza, 14/10/2021, n. 320 (rv. 282871-01 ex multis)

Ragion per cui, per i casi analoghi a quello in premessa, potrebbe non potersi applicare la scriminante dell’esercizio di un diritto.

Conclusioni

Da come si può evincere dalle brevi considerazioni rassegnate, la tecnologia dell’IA applicata ai deep fake può essere particolarmente insidiosa, attesi in concreti rischi per la dignità e sicurezza della persona ovvero per il suo patrimonio.

Va detto anche che gli strumenti normativi in essere sono sufficienti e non serve, ad avviso dello scrivente, prevedere ulteriori fattispecie incriminatrici, atteso che la giurisprudenza potrebbe ben chiarire le possibilità applicative o meno delle norme sopra citate.

Serve, piuttosto, un atto di responsabilità da parte dei grandi fornitori di tecnologie, i quali dovranno mettere a disposizione degli utenti strumenti ed alert che consentano a chi riceve materiale creato con la tecnica del “deep fake” di prendere subito coscienza di avere a che fare con un falso e, conseguentemente, di tutelarsi preventivamente.

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