bilanci e auspici

Diritti digitali dei cittadini, Scorza: “Ecco che ci aspettiamo (e speriamo) nel 2019”

Gdpr, fake news, Intelligenza artificiale, diritto d’autore. Sono alcuni temi che hanno monopolizzato il dibattito sui diritti digitali nel 2018. Temi che restano aperti nel 2019 e che non potranno essere affrontati con successo senza puntare sulla consapevolezza, la cultura, l’educazione. Ecco perchè

Pubblicato il 07 Gen 2019

Guido Scorza

Autorità Garante Privacy

News

Il 2018 è stato un anno decisamente importante per i nostri diritti digitali. Nel bene e nel male. Caratterizzato da scandali importanti legati alla gestione dei nostri dati, da nuove regole e nuove tecnologie alla ribalta e con una parola – e le sue tante declinazioni – come filo conduttore: consapevolezza. Quella su cui si dovrà lavorare e investire senza sosta nel 2019.

Il 2018 dei diritti digitali: un elenco (in)completo

Quello che si è appena chiuso è stato un anno importante: il caso Cambridge Analytica, la guerra alle fake news e, naturalmente, il Regolamento generale sulla protezione dei dati personali con il suo acronimo GDPR e la riforma della disciplina europea sul diritto d’autore. Sono stati questi i trending topic sui motori di ricerca, i social network e, soprattutto, sulle scrivanie di imprese e giuristi d’impresa di mezzo mondo e i temi che hanno diviso il web – e non solo il web – in novelli Guelfi e Ghibellini.

E, si tratta, di un elenco che non ha alcuna pretesa di esaustività perché a sfogliare a ritroso mesi e settimane sul calendario del 2018, casi e questioni di diritto in digitale che hanno diviso, fatto discutere e acceso dibattiti, spesso, globali ce ne sono tanti di più: etica e intelligenza artificiale, la blockchain panacea di tutti i mali o fenomeno modaiolo e, per finire, la web tax all’italiana, tornata, nostro malgrado, alla ribalta proprio mentre stavamo comprando champagne, cotechino e lenticchie per salutare la fine dell’anno e l’inizio del nuovo.

E, naturalmente, come sempre quando si fanno i bilanci, i giudizi sono inesorabilmente influenzati dalla prospettiva dalla quale si guarda al passato, dalle aspettative e ambizioni di ciascuno e dalle priorità che ognuno di noi attribuisce a certi valori rispetto a altri.

È inutile, quindi, provare a dare un voto all’anno che sta finendo in relazione a questi temi.

Finirebbe come finisce sempre il lunedì mattina discutendo di come si è giocato a calcio il giorno prima.

Il filo rosso che unisce i temi del dibattito

E, però, è inutile negare che c’è un sottile filo rosso che unisce molte delle vicende al centro dei dibattiti su questi temi nel 2018. Anzi un hashtag, una parola, una soltanto, ovviamente con decine di sinonimi: consapevolezza, cultura, educazione.

A prescindere da ogni altra questione c’è stato un gap di consapevolezza sulle regole del gioco alla base del caso Cambridge Analytica e dello scandalo che ha trascinato Facebook in una delle bufere più forti dalla sua nascita ad oggi. C’è indiscutibilmente un enorme problema di mancanza di educazione all’informazione digitale alla base degli effetti catastrofici prodotti da alcune fake news, ed è la pressoché totale assenza di una diffusa cultura della privacy a impedire di essere ottimisti sul fatto che le nuove regole del GDPR varranno a cambiare, come sarebbe necessario, il mondo.

E, infine, sono mancati – da entrambe le parti – educazione e cultura dei diritti fondamentali nel dibattito europeo sulla riforma del diritto d’autore.

Buoni propositi, speranze e previsioni per il 2019

Muovendo da questa prospettiva – e a condizione, ovviamente, di condividerla – è facile mettere in fila qualche buon proposito, alcune speranze e un paio di previsioni sui diritti, i nostri diritti, nella dimensione digitale nel, 2019.

La prima speranza – ma senza alcuna pretesa di creare un ordine di priorità – è che i legislatori si astengano dal continuare a trattare l’universo digitale come un immenso laboratorio nel quale sperimentare teorie, ricette e alchimie per governare, regolamentare, orientare fenomeni che conoscono poco e dei quali poco si sforzano di capire, conoscere, comprendere.

In caso contrario continueremo a assistere a scene che, nel migliore dei casi, a seconda le preferenze letterarie di ciascuno, ricorderanno il goffo albatros di Baudelaire camminare sul ponte della nave o le epiche battaglie di Don Chisciotte della Mancia e del suo scudiero contro i mulini al vento.

Nel peggiore dei casi, invece, certe dilettantesche prove tecniche di governo del digitale produrranno conseguenze drammatiche sulla società e, soprattutto, trasformeranno il futuro al quale i nostri figli avrebbero diritto in un miraggio irraggiungibile.

E’ un auspicio formulato pensando alla regolamentazione in materia di fake news ma anche a quella in materia di diritto d’autore.

In un caso e nell’altro si rischia di mancare gli obiettivi – entrambi nobili e preziosi – e comprimere la libertà di informazione oltre la soglia del democraticamente sostenibile.

Ma, soprattutto, nel caso delle fake news si rischia di ripetere un errore già commesso nel caso del diritto all’oblio e dei motori di ricerca: trasformare i gestori delle grandi piattaforme in giudici e tribunali della verità.

Quando si parla di informazione, le scorciatoie non esistono e sono illusorie. Tocca allo Stato, con i suoi giudici, le sue autorità e le sue regole – evidentemente da adattarsi al nuovo ecosistema mediatico – farsi carico di decidere la sorte di ogni bit di informazione online.

La seconda speranza o, meglio, buon proposito è riuscire a investire tutti insieme – in una straordinaria alleanza pubblico-privato – nell’educazione al digitale e nella cultura dei diritti fondamentali perché non ci sono né GDPR né autorità nazionali della protezione dei dati che siano in grado di garantire il rispetto della privacy a milioni di cittadini in ogni Paese se questi ultimi non hanno chiaro il significato e il valore del loro diritto alla privacy specie in un contesto socio- economico come quello attuale.

Lotta senza quartiere all’analfabetismo digitale

Questa dovrebbe, per davvero, essere la priorità assoluta dell’Unione europea e dei Governi dei singoli Paesi, a cominciare dal nostro: investire senza riserve in educazione alla cittadinanza digitale e dichiarare guerra senza frontiere all’analfabetismo digitale.

Vale per la privacy ma vale anche per decine di altre sfide presenti e future: le fake news, l’intelligenza artificiale che verrà, l’internet delle cose, la relazione, sempre più digitale, Stato-cittadini.

E’ facile, infine, prevedere che i diritti in digitale più gettonati del 2019 – a prescindere da quanto efficacemente saranno affermati e garantiti – saranno il diritto alla privacy nelle sue decine di declinazioni diverse a cominciare dal diritto a non essere sottoposti a decisioni produttive di effetti giuridici assunte da un robot, il diritto a una corretta informazione politica e non solo politica attraverso i social network e i diritti fondamentali degli uomini alla prova dell’intelligenza artificiale.

Non resta che attendere, sperare e fare ciascuno la propria parte perché propositi e speranze diventino realtà.

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