il problema

GDPR, troppo costoso per le aziende? Picco di ricorsi nella Ue, ecco perché

Aumenta il numero di ricorsi giudiziari contro le pronunce delle Autorità di Controllo europeo relative alle sanzioni per violazioni del Gdpr e cresce anche il successo dei ricorrenti, che si vedono così annullate o ridotte le multe. Vediamo come si presenta un ricorso e come stanno andando quelli presentati in Italia

Pubblicato il 13 Apr 2021

Anna Cataleta

Senior Partner di P4I e Senior Advisor presso l’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection (MIP)

Alessandra Nisticò

data privacy consultant, P4I

GDPR-new

Il Wall Street Journal ha pubblicato di recente un’inchiesta dalla quale emergerebbe l’aumento dei ricorsi giudiziari avverso le pronunce delle Autorità di Controllo europeo per quanto riguardo la disciplina dei dati personali.

L’autore segnala l’aumento dei casi in cui i ricorrenti sono riusciti a vedere accolte le loro istanze e ottenere la modifica del provvedimento in loro favore con conseguente riduzione o annullamento della sanzione irrogata.

Tra i motivi di accoglimento dei ricorsi, secondo i dati dell’inchiesta, vi sarebbero vizi procedurali in cui sarebbero incorse le Autorità di controllo locale oppure errori nell’interpretazione delle norme del regolamento generale sulla protezione dei dati personali. Tale ricostruzione sarebbe stata confermata dal presidente dell’Autorità Belga, Hielke Hijmans, e dal presidente dell’autorità di controllo di Berlino che ha assistito all’annullamento di una sanzione di 14 milioni di euro contro una società immobiliare.

Nell’inchiesta, le autorità sentite hanno denunciato la scarsità di risorse e personale che renderebbe difficile al loro personale sostenere la mole di lavoro. Prima di andare a vedere come vanno le cose nel nostro Paese, è il caso di ripercorrere le modalità di presentazione del ricorso davanti l’autorità giudiziaria secondo il nostro ordinamento.

L’impugnazione di un provvedimento dell’autorità di controllo

Il diritto ad impugnare il provvedimento dell’autorità di controllo deriva direttamente dal Regolamento UE. L’articolo 58 paragrafo 4 GDPR prevede, infatti, che “L’esercizio da parte di un’autorità di controllo dei poteri attribuitile dal presente articolo è soggetto a garanzie adeguate, inclusi il ricorso giurisdizionale effettivo e il giusto processo, previste dal diritto dell’Unione e degli Stati membri conformemente alla Carta.”

Appare evidente il richiamo all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che riconosce il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, ancorando quella che il Regolamento definisce una “la garanzia adeguata” a un diritto fondamentale.

Il GDPR disciplina anche i casi in cui è possibile ricorrere alla tutela giurisdizionale contro un provvedimento dell’autorità di controllo. In particolare, l’articolo 78 GDPR riconosce:

  • Il diritto per ogni persona fisica o giuridica di proporre un ricorso giurisdizionale effettivo avverso una decisione giuridicamente vincolante dell’autorità di controllo che la riguarda.
  • Il diritto per ciascun interessato di proporre un ricorso giurisdizionale effettivo qualora l’autorità di controllo che sia competente ai sensi degli articoli 55 e 56 non tratti un reclamo o non lo informi entro tre mesi dello stato o dell’esito del reclamo proposto ai sensi dell’articolo 77.

L’impugnazione davanti il giudice italiano

Nel nostro ordinamento la tutela giurisdizionale è riconosciuta dall’articolo 152 del Codice privacy che dispone: “Tutte le controversie che riguardano le materie oggetto dei ricorsi giurisdizionali di cui agli articoli 78 e 79 del Regolamento e quelli comunque riguardanti l’applicazione della normativa in materia di protezione dei dati personali, nonché il diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 82 del medesimo Regolamento, sono attribuite all’autorità giudiziaria ordinaria.”

Il comma 1-bis rinvia all’articolo 10 del D.lgs 150/2011 che applica il rito del lavoro per le controversie relative all’impugnazione dei provvedimenti del Garante e ai ricorsi diretti degli interessati per la tutela dei loro diritti. Inoltre, estende tale rito anche alle controversie in tema di risarcimento del danno di cui all’art. 82 GDPR e alle violazioni della normativa in materia di protezione dei dati personali latu sensu.

La competenza territoriale viene individuata in via alternativa nel luogo di residenza del titolare o dell’interessato del trattamento.

Il legislatore ha strutturato un procedimento a trattazione accelerata, visti i tempi di costituzione più ristretti e le decadenze dai mezzi istruttori che caratterizzano il rito. L’esigenza di ridurre il contenzioso e garantire l’efficacia e la stabilità dei provvedimenti dell’Autorità è perseguita anche attraverso:

  • La previsione dell’onere di impugnare i provvedimenti entro trenta giorni dalla loro comunicazione o dalla data del rigetto tacito, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente è all’estero, a pena di inammissibilità. Lo stesso termine si applica nel caso in cui sia decorso il termine trimestrale del Garante per rispondere a un reclamo o nel caso in cui il reclamante non sia stato informato dell’esito della sua segnalazione.
  • Dopo la presentazione del ricorso, il Giudice assegna al ricorrente un termine perentorio per la notifica al resistente e al Garante, precisando che tra la notifica e la data dell’udienza non possono decorrere meno di trenta giorni.
  • La sospensione dei provvedimenti può essere disposta solo quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione della domanda. Inoltre, vi è la possibilità di una pronuncia fuori udienza solo in caso di pericolo imminente e danno grave e irreparabile. Il provvedimento di sospensione, tuttavia, diviene inefficace se non è confermato dal Giudice durante la prima udienza.
  • La mancata comparizione del ricorrente alla prima udienza, in assenza di legittimo impedimento, obbliga il giudice alla cancellazione della causa del ruolo, a dichiarare l’estinzione del processo e l’addebito delle spese del giudizio al ricorrente.
  • La possibilità per il Garante di presentare osservazioni anche quando non è parte in giudizio
  • L’inappellabilità della sentenza che definisce il giudizio.
  • La possibilità per il giudice di prescrivere le misure necessarie anche al soggetto pubblico titolare o responsabile dei dati, nonché il risarcimento del danno.

Nel caso dell’impugnazione dei provvedimenti del Garante le esigenze di celerità si ravvisano nel fatto che le parti (il titolare e l’interessato) e l’Autorità Garante hanno avuto modo di dialogare e instaurare un pieno contraddittorio nel corso del procedimento davanti alla stessa autorità, pertanto, il ricorso davanti al giudice – nei casi di impugnazione del provvedimento dell’autorità – necessita di meno tempo essendo ampiamente istruito.

Nei casi in cui l’interessato intenda far valere direttamente i propri diritti davanti l’autorità giudiziaria per una violazione in materia di dati personali dovrà tenere conto delle specificità del rito, soprattutto in relazione all’inappellabilità della sentenza, e valutare la convenienza tra il ricorso diretto all’autorità giudiziaria o la presentazione di un reclamo al Garante.

L’andamento dei ricorsi davanti l’autorità giudiziaria italiana

Nella relazione annuale del Garante Privacy, relativa all’anno 2019, registriamo la stessa tendenza che il Wall Street Journal ha segnalato nella sua inchiesta in relazione all’incremento delle opposizioni ai provvedimenti dell’autorità. Il Garante ci informa che “l’anno 2019 ha registrato un incremento nella proposizione delle opposizioni a provvedimenti dell’Autorità: 109 a fronte dei 101 ricorsi del 2018. Di queste, 50 (di cui 5 cartelle esattoriali emesse ex art. 18, d.lgs. n. 101/2018) si riferiscono a opposizioni a ordinanze-ingiunzioni, in leggero calo rispetto alle 59 del 2018.”

Di queste 109 opposizioni, ci sono state solo 9 pronunce su opposizioni a provvedimenti del Garante di cui 3 sono state dichiarate improcedibili per questioni di rito, legate alla tardività della notifica rispetto ai trenta giorni per l’impugnazione del provvedimento, e solo in un caso il Giudice ha confutato l’orientamento del Garante.

In relazione alle 50 opposizioni alle ordinanze-ingiunzioni, dalla relazione emerge che gli annullamenti dei provvedimenti sono circa cinque e solo due sono per motivi di rito.

Gli altri provvedimenti di annullamento riguardano casi in cui i titolari sono riusciti a dimostrare il corretto trattamento dei dati. Tra questi, risulta particolarmente interessante quello in materia di geolocalizzazione dei veicoli di car-sharing in cui il Garante aveva irrogato una sanzione per omessa notifica del trattamento ex art 37 Codice privacy. Il titolare è riuscito a dimostrare che il sistema di geolocalizzazione si attivava solo quando l’auto era parcheggiata per consentire al titolare di gestire il parco auto e segnalare la disponibilità dell’auto per l’utente successivo e si disattivava quando l’auto era in funzione e, pertanto, non vi era un tracciamento del percorso dell’utente.

Il contenzioso residuo, circa metà, riguarda cause afferenti alla normativa in materia di dati personali che devono essere notificate al Garante per conoscenza, ma in cui non è parte diretta, potendo tuttavia presentare osservazioni.

Le linee di tendenza

Da questa panoramica sull’andamento del contenzioso contro i provvedimenti del Garante è possibile innanzitutto sottolineare che l’Autorità partecipa al contenzioso. A differenza delle tendenze riportate dall’inchiesta del Wall Street Journal, nel nostro paese i casi di mancata costituzione sono residuali. Inoltre, l’interpretazione e l’applicazione della normativa trova conferma nell’interpretazione degli organi giudicanti.

Le pronunce sui diritti degli interessati, sul trattamento dei dati biometrici, sul marketing con mezzi automatizzati, sul bilanciamento dei diritti trovano un orientamento interpretativo concorde e consolidato tra la giurisprudenza giudicante e le pronunce dell’Autorità di controllo.

Ciò deve essere considerato attentamente come parte del rischio legale allorché il titolare definisce le finalità e le modalità dei propri trattamenti.

Il superamento delle inefficienze organizzative denunciate da parte delle Autorità europee, tuttavia, è al centro del pacchetto di strumenti che la Commissione Europea ha messo a punto nella sua comunicazione del 20 dicembre 2020 sulla digitalizzazione della giustizia. Vengono previsti una serie di strumenti per supportare le iniziative degli stati membri e la cooperazione tra le autorità a livello europeo.

In particolare, si prevede:

  • Misure di sostegno finanziario agli stati membri per progetti a lungo termine;
  • Iniziative legislative per definire i requisiti di digitalizzazione e favorire un migliore accesso alla giustizia e la cooperazione, includendo il campo dell’Intelligenza Artificiale;
  • Strumenti IT che possano essere utilizzati dagli stati membri e che si caratterizzino per essere sicuri, affidabili, resilienti, data-driven, e assicurino la riservatezza, la protezione dei dati e la trasparenza.
  • La promozione di strumenti di coordinamento e controllo che aiutino gli stati nei processi di controllo, a coordinarsi, valutare e scambiare esperienze e best practice.

Se i propositi della Commissione europea dovessero tradursi in misure concrete, lo scenario attuale delle autorità di controllo è destinato a cambiare nel prossimo futuro.

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