Gli utenti Meta hanno nuovamente ricevuto in questi giorni una notifica che li invita ad attivare un abbonamento mensile per evitare tracciamento e inserzioni oppure accettare la pubblicità personalizzata per continuare a usare Facebook e Instagram in modo gratuito.
Il modello “paga o acconsenti” di Zuckerberg è, dunque, tornato al centro del dibattito europeo. L’azienda propone nuovamente agli utenti la scelta tra un abbonamento senza pubblicità e la versione gratuita con profilazione pubblicitaria, riaprendo interrogativi giuridici, etici e politici.
Una proposta che non è solo tecnica, ma mette in discussione la natura stessa del consenso e la legittimità dei modelli di business delle piattaforme digitali.
Una mossa che riaccende il conflitto tra la logica economica delle Big Tech e il diritto alla privacy riconosciuto dal regolamento europeo. Non si tratta solo di una questione tecnica o contrattuale. In gioco c’è un principio fondamentale, la possibilità per gli utenti di esercitare un diritto, quello alla protezione dei propri dati personali, senza dover pagare un prezzo. L’Unione Europea lo ha affermato con chiarezza. Meta, almeno per ora, ha deciso di ignorarlo.
Indice degli argomenti
Le opzioni proposte da Meta agli utenti
L’attuale modello di Meta prevede tre scelte possibili:
Scelta | Conseguenze |
Accesso gratuito con pubblicità personalizzata | I dati degli utenti vengono utilizzati per mostrare annunci basati su interessi, attività online, comportamenti. |
Abbonamento mensile | Nessuna pubblicità. I dati non vengono trattati a fini pubblicitari. Resta visibile però il contenuto brandizzato da influencer e creator. |
Pubblicità meno personalizzata | Opzione poco visibile e raggiungibile solo dalle impostazioni: gli annunci sono basati su dati generici (età, area geografica, lingua), ma restano presenti. |
Quest’ultima opzione non viene mostrata al momento della scelta iniziale, ma può essere attivata manualmente navigando nel Centro gestione account. Un esempio di design poco trasparente che è già stato oggetto di critiche da parte delle autorità e delle associazioni dei consumatori.
Quanto costa l’abbonamento
Il prezzo dell’abbonamento varia in base alla modalità di attivazione:
Acquisto tramite | Primo account | Ogni account aggiuntivo |
Sito web | 5,99 €/mese | +4 €/mese |
App (iOS/Android) | 7,99 €/mese | +5 €/mese |
L’abbonamento vale per tutti gli account collegati al medesimo “Centro gestione account”. Se gli account non sono unificati, il costo si moltiplica.
Strategie per ridurre la profilazione senza abbonarsi
Chi sceglie di non pagare può comunque intervenire per ridurre il livello di profilazione. Ecco alcuni passaggi consigliati:
- Attivare l’opzione “inserzioni meno personalizzate” in: Centro gestione account > Preferenze sulle inserzioni > Esperienza pubblicitaria.
- Disattivare l’uso delle “informazioni dei partner pubblicitari sull’attività”.
- Rimuovere dati demografici e professionali non obbligatori dalle “categorie usate per raggiungerti”.
- Cancellare inserzionisti specifici e interessi predefiniti nei pannelli “inserzionisti che hai visto” e “argomenti delle inserzioni”.
Non è una difesa assoluta, ma consente di ridurre la pressione pubblicitaria e recuperare parzialmente il controllo sui propri dati.
La reazione dell’Unione europea al modello di consenso di Meta
Il 27 giugno 2025 rappresentava il termine ultimo fissato dalla Commissione Europea per una revisione sostanziale del sistema di consenso adottato da Meta. L’azienda avrebbe dovuto riformulare il proprio approccio per renderlo conforme alle disposizioni del Digital Markets Act (DMA), assicurando agli utenti europei la possibilità di esercitare un consenso realmente libero e non condizionato. Meta, tuttavia, ha scelto di mantenere invariato il proprio modello “pay-or-consent”, confermando la linea di difesa già adottata nei mesi precedenti. Secondo la Commissione, questa impostazione viola i principi fondamentali del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), in particolare quello relativo alla libertà del consenso e costituisce una chiara infrazione del DMA.
La risposta delle istituzioni europee non si è fatta attendere: ad aprile 2025, Meta è stata sanzionata con una multa di 200 milioni di euro. Inoltre, qualora il modello non venga riformulato, Bruxelles ha annunciato la possibilità di infliggere sanzioni giornaliere pari fino al 5% del fatturato globale dell’azienda, una cifra potenzialmente superiore ai sei miliardi di euro al mese.
Accanto alla Commissione, anche il BEUC, l’Organizzazione europea dei consumatori, ha espresso una dura critica al comportamento della piattaforma. In particolare, ha denunciato l’adozione di un linguaggio ambiguo nei messaggi agli utenti (ad esempio l’uso del termine “informazioni” al posto di “dati personali”), la presenza di interfacce progettate per indirizzare le scelte degli utenti in modo non trasparente (i cosiddetti dark pattern), e l’assenza di un’alternativa gratuita realmente equivalente in termini di accessibilità e funzionalità. Meta, da parte sua, ha reagito presentando un ricorso formale contro la decisione della Commissione. In una nota pubblica, l’azienda ha sostenuto che l’imposizione di una rimozione della pubblicità personalizzata comprometterebbe la capacità degli operatori digitali, soprattutto quelli europei, di monetizzare i propri servizi. Inoltre, ha affermato che tale misura potrebbe deteriorare la qualità dell’esperienza utente, riducendo la rilevanza dei contenuti e dei suggerimenti mostrati sulle piattaforme. La contrapposizione tra Meta e le istituzioni europee si configura dunque non solo come una disputa regolatoria, ma come uno scontro tra modelli di governance della rete, destinato ad avere conseguenze rilevanti sull’intero ecosistema digitale.
Gli scenari futuri e il rischio di una normalizzazione del modello
Il contenzioso tra Meta e l’Unione Europea è tuttora in pieno svolgimento, le possibili evoluzioni aprono scenari di grande rilievo per il futuro della regolazione digitale. Una delle ipotesi più rilevanti riguarda un intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che potrebbe pronunciarsi sulla legittimità del modello “paga o acconsenti”, imponendo a Meta l’obbligo di offrire un’opzione realmente gratuita, priva di tracciamento, e accessibile in modo chiaro e non discriminatorio.
Nel frattempo, l’inerzia regolatoria potrebbe favorire l’adozione dello stesso modello da parte di altre piattaforme globali, realtà come TikTok, YouTube o altri soggetti rilevanti del mercato digitale potrebbero interpretare la mancata sanzione come un via libera a replicare l’approccio di Meta, contribuendo così a una generalizzazione della monetizzazione della privacy. Non si possono escludere, inoltre, iniziative a livello nazionale: alcune autorità garanti, inclusa quella italiana, potrebbero decidere di intervenire autonomamente, avviando istruttorie, comminando sanzioni o adottando misure cautelative. In parallelo, anche il legislatore europeo potrebbe giocare un ruolo decisivo, il Parlamento UE potrebbe promuovere un’integrazione del quadro normativo esistente per rafforzare in modo esplicito il principio del consenso libero, specificando che l’accesso ai servizi digitali non può essere subordinato al pagamento per esercitare un diritto fondamentale. Tutti questi sviluppi, sebbene incerti nei tempi e negli esiti, dimostrano che la vicenda Meta è oggi uno dei principali banchi di prova della capacità dell’Europa di far rispettare le proprie regole nel contesto dell’economia delle piattaforme.
Azioni individuali per tutelare la privacy e i diritti digitali
In attesa che le autorità europee chiariscano definitivamente la legittimità del modello “pay-or-consent”, resta comunque aperto uno spazio di azione individuale, che può contribuire sia alla tutela dei propri dati personali sia al rafforzamento di una cultura diffusa dei diritti digitali.
L’utente, anzitutto, ha la possibilità di intervenire in modo attivo sulle impostazioni del proprio account per ridurre il grado di profilazione subita, selezionando l’opzione “inserzioni meno personalizzate” attraverso il percorso indicato nel Centro gestione account. Si tratta di un’opzione che non elimina del tutto la pubblicità, ma ne limita l’invasività e la precisione, impedendo l’uso di dati provenienti da fonti esterne e da comportamenti pregressi.
Per chi considera inaccettabile la logica imposta da Meta, esiste anche la possibilità concreta di uscire dalla piattaforma, scaricando preventivamente tutti i propri dati personali e procedendo poi alla disattivazione o alla cancellazione dell’account, sia su Facebook che su Instagram.
Una scelta radicale ma che rappresenta una forma piena di autodeterminazione digitale.
Infine, chi ritiene che la proposta di Meta violi il diritto alla protezione dei dati personali o le norme europee in materia di consenso, può segnalare la questione direttamente all’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, attraverso gli strumenti presenti sul sito garanteprivacy.it. In un contesto in cui le grandi piattaforme si muovono spesso al limite delle regole, la segnalazione individuale resta uno degli strumenti più efficaci per attivare forme di controllo pubblico e stimolare l’intervento delle istituzioni.
Oltre la scelta individuale: il rischio di una monetizzazione sistemica della privacy
La nuova proposta di Meta non rappresenta solo un bivio tra abbonamento e pubblicità, ma una riformulazione implicita del concetto di privacy nell’era digitale. Trasformare un diritto fondamentale in una funzione a pagamento significa alterare l’equilibrio tra cittadini e piattaforme, tra protezione dei dati e modelli di business fondati sulla monetizzazione dell’attenzione. Siamo di fronte a una strategia che, pur dichiarandosi conforme al GDPR e al Digital Markets Act, sfrutta ogni ambiguità possibile per preservare l’impianto economico della profilazione.
Le modalità con cui vengono presentate le opzioni agli utenti, la collocazione marginale dell’alternativa “meno personalizzata”, l’uso di interfacce orientate alla scelta “gratuita con pubblicità”, la retorica sull’esperienza utente, mostrano come la neutralità sia in gran parte illusoria.
Il rischio, oggi concreto, è che questa scelta venga normalizzata: che la logica del “paga per non essere profilato” si estenda ad altre piattaforme, ad altri settori, ad altri contesti della vita digitale. In assenza di una presa di posizione forte e coerente delle istituzioni europee, la monetizzazione della privacy rischia di diventare la nuova regola implicita della rete. Ma c’è una posta ancora più alta, la possibilità di immaginare un’economia digitale diversa, in cui il rispetto dei diritti fondamentali non sia subordinato alla capacità di spesa degli utenti.
Una sfida che non riguarda solo Meta, ma l’intero ecosistemadelle piattaforme e la capacità dell’Europa di difendere e aggiornare il proprio modello di cittadinanza digitale. In questo scenario, l’informazione, la consapevolezza e la pressione pubblica restano strumenti essenziali. Perché dietro ogni clic su “Accetto” o “Abbonati” si gioca una partita che ci riguarda tutti.