Il dottor Annthok Mabiis, nell’anno 2333, ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia per mezzo del Grand Ictus Mnemonico. “Per salvare uomini e umanidi dalla noia totale, dalla Sindrome della Noia Assoluta”, perché le memorie connesse fanno conoscere, fin dalla nascita, la vita futura di ciascuno, in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, con la base di copertura su un ricostruito antico bus rosso a due piani, è incaricata di rintracciare le pochissime memorie connesse che riescono ancora a funzionare. Non è ancora chiaro se poi devono distruggerle o, al contrario, utilizzarle per ricostruire tutte quelle che sono state annientate, se devono cioè completare il lavoro del dottor Mabiis o, al contrario, riportare la galassia a “come era prima”.
Il bus rosso s’aggrappava alle curve. Spintonava la salita. Abbarbicava la discesa. Il piccolo radiotelescopio di Guizhou, tanto decantato all’inizio del XXI secolo per i suoi cinquecento metri di diametro, “la superfice estesa quanto 30 campi di calcio” riportavano le cronache, era verde. Le rampicanti lo avvellutavano. I riverberi si azzittivano. I silenzi si ammantavano. A migliaia.
Shangon: “il padellone non ha mai intercettato alcun segnale intelligente proveniente da altri mondi!…”
Sheef: “ma forse gli altri mondi non erano d’accordo nel farsi captare!…”
Un soffio piccolo. Asciugava i piedi nei sandali. Lei buttava i sandali nel bicchiere immenso. Del vecchio radiotelescopio. “Tieni! Cammina!” gli gridò.
Shangon la guardava. Appoggiata ad un’antica balaustra di legno. A filo della conca. Contava le foglie. A migliaia.
“Lo si è sempre ipotizzato…” Shangon bisbigliava a Sheef “…soprattutto dal Ventesimo secolo in poi. Qualcuno che arriva da altrove. Magari è un umanide, quindi può avere memorie connesse… oppure è un umano… magari aumentato, sempre attraverso memorie connesse… insomma è una strana…”
Sheef: “non dire così… è bella… è bello essere strani. Non guardarla così… non è una specie aliena…”
Un frastuono geometrico. Volteggiavano. A migliaia. Disegnavano. Il cielo d’autunno.
Shangon insisteva: “abbiamo strumenti sofisticatissimi per capire chi abbiamo davanti… chi è lontano… lontanissimo… estraneo.” Esaltato un poco. Sordo un poco. Ascoltato poco.
Shangon lamentava: “ha troppe reazioni non catalogabili, ti viene da dire che è di un altro mondo…”
Sheef: “è sempre stato così per le persone che sono oltre, spiazzanti, fuori di testa, non catalogabili, fuori da questo pianeta… che si dimostrano troppo aliene… perfino troppo intelligenti…”
Shangon: “forse ci sembrano intelligenti quelli che non capiamo.”
Sheef: “guarda che lei acchiappa al volo mille cose, tutte insieme…”
Shangon: “anche questa è una vecchia storia, un po’ di intuito e subito pensiamo ad un extraterrestre…”
Sheef: “oppure che si sta selezionando una nuova specie, potrebbe essere un homo sapiens3. Non sappiamo se ci siamo già evoluti…”
Shangon: “ecco, anche questa è una solita storiella… ci vogliono migliaia e migliaia d’anni perché avvenga…”
Sheef: “e tu che ne sai? Tutti i tempi si sono accelerati negli ultimi tre secoli…”
Shangon: “tu sei uguale a tutti gli homo sapiens sapiens del passato e del presente… vorresti tanto avere a che fare con chi è lontanissimo, con una spiegazione forestiera e non quella a portata di mano… è roba trita e ritrita che però, lo si sa, funziona sempre bene…”
“Ma poi a noi, cosa c’importa chi è questa tipa qua?” sgrattava ai colleghi agenti. Il bus rosso si beava. Delle colline a cono. Tutt’intorno. Gli agenti fiaccavano. Le poche volontà.
Sheef: “è sempre importato capire chi hai davanti…” Appoggiata al bus. Sheef acchiappava i discorsi dentro. Lo aveva sempre fatto.
Shangon instancabile: “magari piccoli tratti di cambiamento, piccole differenze che diventeranno punti di svolta totale fra migliaia di anni.”
Sheef: “O magari si estinguono in poche generazioni… o sono causate da qualche memoria connessa residua…”
Sheef guardò la giovane centotrentanovenne. Le baciò le piccole differenze. Le accarezzò le prime rughe.
Sheef : “non ti preoccupare non sei una nuova specie extraterrestre.” La voce volava nel viottolo. Nelle conche vicine.
“Non sei un’alieno.”
(141 – continua la serie. Episodio “chiuso”)
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