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Digitale e sostenibilità: come gestire bene la trasformazione dell’azienda



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Quali sono le variabili a valenza “gestionale” per gestire efficacemente la transizione green e digitale? Dalla promozione di adeguati comportamenti alla predisposizione dell’adeguata infrastruttura in termini di dati e sistemi IT, all’attivazione di meccanismi di incentivo e controllo. Ecco come fare

Pubblicato il 15 giu 2023

Stefano Belletti

Senior Advisor ed ESG Independent Director presso Accompany, autore del libro “Verde e Digitale”



L’Occidente ha bisogno dell’India: ecco perché

Dopo aver identificato nove variabili per la progettazione e la gestione della trasformazione verde e digitale, completiamo l’analisi con le variabili a valenza più “gestionale”: promuovere adeguati comportamenti (behaviour & knowledge), sviluppare in modo coerente le risorse umane (human capital readiness), predisporre l’adeguata infrastruttura in termini di dati e sistemi IT (data & digital readiness), attivare opportuni meccanismi di incentivo e controllo (health systems).

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Figura 1 – Le variabili per la progettazione integrata (Fonte: S. Belletti, “Verde & Digitale”, EdizioniAmbiente, 2022)

Behaviour and knowledge

L’insieme di comportamenti e conoscenze che il singolo dipendente è in grado di esprimere sostiene le capability organizzative dell’azienda: è essenziale sviluppare e stimolare una predisposizione, un’attitudine, la capacità di saper gestire la complessità come cambiamento nella mentalità delle persone e incoraggiando alla sperimentazione. Emanuele Bompan[1] sintetizza così il lavoratore dell’economia circolare, concetto che si può estendere alla sostenibilità in generale: “Si presenta come lavoratore qualificato […], attivo (deve proporre continue implementazioni di sistema, sia di produzione sia di gestione del luogo di lavoro, che sia ufficio o manifattura industriale o 2.0), creativo (deve conoscere la programmazione, praticare il pensiero sistemico, deve capire le strategie efficaci per comunicare e condividere nuovi sistemi di produzione”. In estrema sintesi: un knowledge worker.

In tal senso è possibile definire un semplice modello articolato in tre livelli e sintetizzato nella figura 2: comportamenti, skill (o competenze trasversali) e competenze (specialistiche).

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Figura 2 – Modello integrato delle competenze (Fonte: S. Belletti, “Verde & Digitale”, EdizioniAmbiente, 2022)

La persona diviene il primo nodo dell’organizzazione a rete o, se vogliamo, contraddistinto da autonomia diffusa e spirito imprenditoriale. Costituiscono un valore i seguenti comportamenti dei dipendenti:

  • innescare e favorire l’innovazione;
  • diffondere la conoscenza in modalità open source;
  • lavorare e operare in rete, sia interna sia esterna;
  • cogliere le opportunità valutando rischi e vincoli;
  • perseguire e attivare il miglioramento continuo;
  • comunicare e sostenere i valori aziendali.

Tali comportamenti sono supportati da una dotazione di competenze trasversali e di strumenti e metodi evoluti, che si aggiungono a quelle tradizionalmente considerate (project management, problem solving ecc.) e diventano sempre più rilevanti, con una contaminazione crescente fra humanities e business.[2] Sono identificabili tre gruppi di competenze trasversali:

  • creare reti e comunità nel proprio contesto lavorativo, avviare alleanze caratterizzate da legami deboli, mobilizzare e influenzare risorse a prescindere dal rapporto gerarchico, adottare logiche di comprensione e di pensiero sistemiche (network);
  • adottare l’approccio del problem finding per identificare opportunità e strutturare problemi complessi facilitandone la risoluzione collegiale, valutare rischi e vincoli (probabilità/impatto, piani di mitigazione/contingency), cercare la soluzione ottimale grazie alla negoziazione e alla gestione del conflitto, utilizzare in modo sistematico i dati per il decision making in forma ibrida, utilizzando strumenti digitali (opportunity);
  • ascoltare e adattarsi ai cambiamenti, utilizzare metodologie concrete e focalizzate (lean thinking[3] e agile method), affrontare creativamente la generazione delle idee in co-design e avere una mentalità aperta al contributo di tutti (design thinking), raccontare esperienze e valori in modo coinvolgente (change).

In A2A i programmi di formazione e orientamento puntano sulla capacità di innovazione ed evoluzione continua, e per i più giovani sul potenziamento delle competenze trasversali, ma anche sui metodi di miglioramento continuo quali il lean six sigma.[4] Come sottolineato da Dario Pagani (Eni) e da Carlo Bozzoli (Enel), diffondere la cultura dei dati è un prerequisito fondamentale, in modo tale che le persone comprendano come utilizzarli nel loro lavoro quotidiano. I dati disponibili, supportati dalle tecnologie digitali e uniti alle competenze delle persone, rappresentano un patrimonio essenziale come strumento guida per l’operatività e le decisioni (data-driven mindset).

Al di là delle competenze verticali specifiche di settore e/o di funzione aziendale, sono state caratterizzate le competenze legate al digitale e alla sostenibilità ambientale, definendo tre livelli con grado crescente di sofisticazione, per ciascuno dei due ambiti:

0. conoscenza generale in termini di alfabetizzazione digitale, che presuppone conoscenza basica da utente (digital & ICT literacy) e consapevolezza delle tematiche ambientali e del loro impatto (climate change awareness);

1. conoscenza in termini di coscienza delle potenzialità e delle macrofunzionalità di alto livello (digital wisdom) e di valutazione dell’impatto per l’applicazione di principi sostenibili e modelli circolari (green thinking);

2. conoscenza in termini di pratica ed esperienza nell’esecuzione, come programmazione e gestione operativa delle risorse informatiche hardware/software (IT development & management) e implementazione (sustainability expertise).

È emblematico l’approccio utilizzato dal gruppo farmaceutico Chiesi per l’intelligenza artificiale, impostato in modo da sviluppare un percorso didattico e progressivo partendo dalla consapevolezza. È stata avviata anche l’acquisizione di competenze tecnologiche da parte del business, per quanto concerne figure di data scientist, controbilanciata da figure del dipartimento ICT che acquisiscono invece competenze di business, facilitando così “la partnership con il business grazie a un linguaggio comune arricchito nei confini dei rispettivi ruoli” (sono le parole del CIO Umberto Stefani).

Human capital readiness

Da quanto detto, appare chiaro che i comportamenti e le conoscenze dei singoli così come la cultura dell’azienda sono fattori competitivi che devono essere presidiati e costantemente aggiornati: facilitare la costruzione della rete partendo dalla singola persona, introdurre nuove figure per il funzionamento della rete e attuare meccanismi virtuosi per lo sviluppo delle persone sono elementi distintivi.

Oltre a definire dei ruoli formali e codificati, la progettazione dell’organizzazione a rete è finalizzata ad accrescerne il potenziale in termini di capitale umano e sociale: è necessario vedere le persone come nodi della rete che svolgono attività, scambiano beni e servizi, gestiscono flussi informativi, producono e aggiornano know-how. In questo contesto assumono particolare enfasi alcuni nodi proattivi della rete (tipicamente ruoli orizzontali rispetto alle gerarchie verticali) che ne facilitano il mantenimento e ne promuovono lo sviluppo, favoriscono le relazioni, il passaggio di conoscenze e i flussi informativi, diffusi a ogni livello dell’organizzazione: mentor e tutor (persona), team leader, agile coach e scrum master (team), ambassador e champion (community), influencer e knowledge broker (rete). Per il funzionamento dell’organizzazione a rete sono opportuni quindi indicati veri e propri ruoli integratori, dedicati al coordinamento orizzontale tra le funzioni aziendali per la sostenibilità (per esempio, i focal point in A2A), l’innovazione (per esempio, innovation manager in Enel) e il digitale (per esempio, digital ambassador in Italgas).

Digital & data readiness

È ovviamente necessario predisporre adeguatamente le strutture IT:

  • fornire i presidi organizzativi e i ruoli competenti che operano e collaborano con le linee di business nell’esecuzione delle attività (organizational layer);
  • supportare il ridisegno di modelli e processi di business grazie alla creazione di intelligent workflow che combinano dati e tecnologie digitali (core layer);
  • predisporre le infrastrutture necessarie in modo da offrire un’architettura IT flessibile e interoperabile, garantendo requisiti di connettività e sicurezza (foundation layer).

L’ organizational layer è sostanzialmente l’interfaccia verso le linee di business: significa attivare un team dedicato di disegno e implementazione per sperimentare le soluzioni (garage) e per lanciarle in esecuzione (delivery), comunemente definita digital factory.. Tale struttura è in genere permanente e lavora per iniziative, ovviamente sfruttando economie di scala e di specializzazione in relazione alle competenze esperte nelle tecnologie digitali e nella gestione in modalità agile, in particolare:

  • figure specializzate tipicamente IT come il cybersecurity expert e lo user experience specialist, figure rinnovate come l’enterprise IT architect (che si dovrà confrontare con architetture complesse multi-cloud e ibride per l’integrazione di piattaforme diverse);
  • figure “miste” che collegano il mondo digitale al mondo business come il digital business analyst (che dovrà essere in grado di calare le tecnologie digitali nel contesto di business, sostanziando la trasformazione digitale) e il data scientist (che dovrà fornire supporto nell’analisi dati);
  • figure di coordinamento dei gruppi di lavoro e delle attività che introducono stabilmente metodologie di gestione secondo principi di creatività, collaborazione e miglioramento continuo (design thinking, lean thinking, agile method).

Ad esempio Eni ha creato una Digital Factory in cui ha concentrato i centri di competenza chiave per lo sviluppo di progetti di trasformazione digitale, quali aperd esempio i data scientist, gli scrum master, i designer.

Il core layer è il motore della trasformazione: creare workflow intelligenti che utilizzano un insieme di tecnologie digitali integrate e cooperanti per ri-disegnare nuovi modelli operativi e di business pa favore della sostenibilità ambientale: sono alimentati con dati e informazioni provenienti da fonti distribuite e diverse, valorizzando le competenze di business e gli asset fisici. È opportuno che il ri-disegno di nuovi modelli avvenga secondo logiche greenfield per essere nativamente sostenibili e digitali. Per semplificare, possiamo dire che le tecnologie digitali rappresentano la meccanica e gli ingranaggi, mentre i dati ne sono il combustibile, o meglio l’alimentazione elettrica.[5]

L’accessibilità e la condivisione dei dati ambientali favoriscono la collaborazione, evidenziano aree di interesse comune, facilitano l’open innovation: consentono di sfruttare l’intelligenza collettiva (collective intelligence), come chiosa un documento di IBM.[6] E la combinazione tra dati ambientali, tecnologie digitali e intelligenza collettiva rappresenta un acceleratore per la sostenibilità. Dati e tecnologie digitali aiutano a risolvere i problemi ambientali in modo efficace grazie a informazioni più tempestive e localizzate: favoriscono la produzione di normative più mirate, migliorano i relativi processi decisionali, alimentano sistemi di alerting e di early warning per fornire indicazioni in tempo reale.

Dati e tecnologie digitali si appoggiano sull’infrastruttura IT (foundationa layer): lo scenario comprende architetture IT in data center fisici dell’azienda/cloud privati e cloud pubblici (hybrid) che possono essere molteplici (multi-cloud) e rispecchiano la natura degli intelligent workflow e della nuova catena del valore, che va oltre i confini aziendali. Le architetture in cloud[7] permettono di accedere alle tecnologie digitali (tool box) e di gestire in modo flessibile le risorse IT in funzione delle diverse e mutevoli esigenze del business, in relazione a una struttura delle applicazioni IT ri-configurabile grazie a microservizi e ad altre soluzioni,[8] connesse in modo lasco tramite API. Tali caratteristiche richiedono strumenti per l’orchestrazione e open standard per l’interoperabilità. In questo senso connettività e sicurezza (cybersecurity) sono da considerarsi requisiti imprescindibili.[9]

La ricorrenza del cloud negli oltre 200 casi che ho potuto analizzare è evidente. Ad esempio l’infrastruttura IT di Enel è attualmente in cloud (così come quella di Italgas), riconoscendo nel cloud e nella cybersecurity gli abilitatori tecnologici alla trasformazione digitale e traguardando alla realizzazione di un modello operativo completamente multi-cloud, modulabile e flessibile.

Health systems

Nel nuovo modello di azienda assumono grande rilevanza alcuni sistemi (che abbiamo chiamato appunto health systems) per misurare e monitorare le prestazioni in relazione agli obiettivi, valutando in modo adeguato i rischi e le opportunità, incentivando comportamenti idonei.

I sistemi di performance measurement & monitoring hanno l’obiettivo di orientare i comportamenti al cambiamento sostenibile e digitale, consentendo gli opportuni approfondimenti per innescare logiche di miglioramento e garantendo continuità, confronto e qualità nelle prestazioni misurate. Un adeguato ed efficace sistema di misurazione e controllo delle prestazioni per aziende che stanno procedendo alla transizione verde e digitale deve essere coerente con la catena dei value driver identificati per la costruzione dei modelli di business: misurare le prestazioni ambientali, tradurle in benefici tangibili e non, esplicitare il contributo del digitale. Il tema più innovativo è rappresentato dalla valutazione del contributo digitale, che viene misurato come aiuto diretto alle operazioni e alle iniziative che supportano la sostenibilità ambientale (oltre all’ovvio contributo indiretto come strumento per la raccolta dei dati e per il calcolo degli indicatori): come misurare il contributo delle tecnologie digitali? Un approccio pragmatico e intelligente è quello che prevede di utilizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile per individuare il contributo dei progetti digitali, definendo indicatori di performance che colleghino la prestazione ambientale al contributo del digitale. Ad esempio A2A ha esplicitato il contributo delle iniziative digitali agli Obiettivi nel suo Sustainable Digital Plan, valutando l’impatto qualitativo, in alcuni casi anche quantitativo.

Oppure Kering che ha sviluppato, in linea con il Natural Capital Protocol, uno strumento per misurare l’impatto ambientale articolando un conto economico ambientale e calcolando il valore monetario dell’impatto (Environmental Profit & Loss – EP&L).

I sistemi di incentivazione (reward & recognition) devono essere in grado di motivare, incentivare e attrarre le persone in azienda, facilitando il raggiungimento degli obiettivi legati alla sostenibilità, l’adozione di comportamenti adeguati, la predisposizione di conoscenze/competenze e l’utilizzo delle tecnologie digitali. Per quanto concerne le figure manageriali, i sistemi di incentivazione sono focalizzati sulle prestazioni: è opportuno inserire meccanismi che distinguano e diano uguale rilevanza alle prestazioni sul breve termine (più polarizzate su obiettivi economici) e di lungo termine (più focalizzate sulla creazione di valore condiviso).[10] Oltre alle figure manageriali, è opportuno estendere il più possibile alla popolazione aziendale modelli di incentivazione, con particolare riferimento ai “nodi” della rete indicati nella sezione precedente. I sistemi di incentivazione sono sempre più basati su logiche di total reward.[11] Gli incentivi comprendono ovviamente aspetti tangibili (compensation, benefit, career opportunity, work-life) che indirizzano le energie fisiche e mentali del dipendente: per quanto concerne la remunerazione variabile, dovrà considerare la contribuzione agli obiettivi di sostenibilità e di introduzione del digitale, in termini sia di risultati ottenuti (anche come qualità) sia di comportamenti tenuti (apprendimento, apertura, miglioramento continuo, innovazione), soft skill e conoscenze maturate (green thinking, uso consapevole delle tecnologie digitali). Accanto agli aspetti tangibili dell’incentivazione, vanno anche adottati modelli e situazioni in grado di intercettare le energie emotive e valoriali della persona attraverso:

  • employer branding, legato alla reputazione aziendale, per cui sono riconosciuti e apprezzati l’impegno e il contributo legati all’impatto ambientale (e sociale);
  • personal development, opportunità di formarsi sulle tematiche ambientali e sulle competenze digitali, con la possibilità di partecipare a progetti extra-aziendali su tali ambiti (anche non profit);
  • entrepreneurial opportunity, contribuire attivamente a progetti innovativi creando nuove venture aziendali e dando la possibilità di attivare spin-off;
  • self-recognition, riconoscimento del valore professionale ed etico del lavoro svolto secondo un modello professionale, che è corretto definire “dell’artigiano”.

Il risk management non è solo un sistema per la gestione del rischio, ma costituisce un elemento trasversale in azienda e nelle relative variabili di progettazione: rappresenta in quanto tale una capability organizzativa come early warning system e deve essere una soft skill delle persone che lavorano in azienda. Il sistema di risk management ha l’obiettivo di valutare rischi e opportunità legati al cambiamento climatico e ovviamente deve in primo luogo comprendere il rischio climatico (anche di transizione), e in secondo luogo fornire una visione integrata con tutti gli altri rischi.

Note

  1. Bompan E. con I.N. Brambilla, Che cosa è l’economia circolare, Edizioni Ambiente, Milano 2021.
  2. Serio L., Impresa ibrida: organizzazione e modelli di business, Atelier dell’impresa ibrida, 26/27 ottobre 2020.
  3. I principi del lean thinking sono sinergici con quelli della sostenibilità: obiettivo di miglioramento continuo e incrementale tramite l’eliminazione di sprechi e di perdite, con particolare riferimento alla produttività delle risorse e all’efficienza energetica (Hammer M., K. Somers, Industrial-resource productivity and the road to sustainability, McKinsey & Co., 18 ottobre 2021, https://mck.co/3NsRbLs).
  4. Tale metodologia combina principi e strumenti di six sigma e di lean production allo scopo di eliminare sprechi ottimizzando l’utilizzo delle risorse: il six sigma si focalizza sulla variabilità statistica e sulla riduzione dei difetti di processo, la lean production si concentra sull’eliminazione degli sprechi e sull’ottimizzazione dei processi produttivi.
  5. Proseguendo con l’analogia automobilistica, l’organizational layer può essere visto come l’insieme di sedili, cruscotto e volante, mentre il foundation layer l’insieme di scocca, pianale e ruote. Il guidatore? Le competenze di business…
  6. Balta W.S., D.C. Esty, S. Fulton, T. Yosie, Digital Technology and the environment. Sustainability at the speed of open innovation, IBM Institute of Business Value in collaborazione con Environmental Law Institute, marzo 2021 (https://bit.ly/3I8A4wK).
  7. The Cognitive Enterprise: Reinventing your company with AI. Seven keys to success, IBM Institute for Business Value, febbraio 2019 (https://ibm.co/3AmHzhL).
  8. Container (insieme omogeneo di microservizi che rende “portabili” le applicazioni IT) e server-less commuting (modello di programmazione cloud-native che permette di creare e rendere eseguibili le applicazioni IT indipendentemente dall’infrastruttura sottostante).
  9. Le architetture in cloud consentono anche di ottimizzare i carichi di lavoro, il livello di automazione e il consumo delle risorse, se progettate adeguatamente e non come semplice replica dell’esistente.
  10. È bene prevedere anche meccanismi di sviluppo e incentivo manageriale che privilegino la mobilità interna e la leadership orizzontale.
  11. Il modello total reward rappresenta il complesso dei meccanismi di incentivazione adottati dall’azienda con il fine di attrarre e trattenere le persone, motivandole e orientando i loro comportamenti verso i risultati attesi.

ibilità ambientale: come gestire efficacemente la trasformazione verde e digitale (Parte 2)

Come possiamo gestire questa duplice trasformazione? Proseguiamo l’approfondimento soffermandoci in questa Parte 2 dell’articolo sulle variabili a valenza più “gestionale” rispetto a quelle più “strategiche” della Parte 1: promuovere adeguati comportamenti presidiando in modo coerente lo sviluppo delle risorse umane, predisporre l’adeguata infrastruttura in termini di dati e sistemi IT, attivare opportuni meccanismi di incentivo e controllo.

di Stefano Belletti (*)

(*) Senior Advisor per aziende corporate e start-up, contract professor ed autore del libro “Verde e Digitale. In viaggio tra sostenibilità, innovazione e competitività”

Nella prima parte dell’articolo (pubblicata il xx xxxxxx 2023) sono state identificate nove variabili per la progettazione e la gestione della trasformazione verde e digitale – partendo dallo schema di seguito.

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Figura 1 – Le variabili per la progettazione integrata

(Fonte: S. Belletti, “Verde & Digitale”, EdizioniAmbiente, 2022)

E ci siamo soffermati sulle variabili a valenza “strategica” (environmental purpose, sustanaible business model, green compass, organizational network, open culture & leadership). In questa seconda parte completiamo l’analisi con le variabili a valenza più “gestionale”: promuovere adeguati comportamenti (behaviour & knowledge), sviluppare in modo coerente le risorse umane (human capital readiness), presidiando in modo coerente lo sviluppo delle risorse umane (human capital readiness), predisporre l’adeguata infrastruttura in termini di dati e sistemi IT (data & digital readiness), attivare opportuni meccanismi di incentivo e controllo (health systems).

  1. Behaviour & knowledge

L’insieme di comportamenti e conoscenze che il singolo dipendente è in grado di esprimere sostiene le capability organizzative dell’azienda: è essenziale sviluppare e stimolare una predisposizione, un’attitudine, la capacità di saper gestire la complessità come cambiamento nella mentalità delle persone e incoraggiando alla sperimentazione. Emanuele Bompan[1] sintetizza così il lavoratore dell’economia circolare, concetto che si può estendere alla sostenibilità in generale: “Si presenta come lavoratore qualificato […], attivo (deve proporre continue implementazioni di sistema, sia di produzione sia di gestione del luogo di lavoro, che sia ufficio o manifattura industriale o 2.0), creativo (deve conoscere la programmazione, praticare il pensiero sistemico, deve capire le strategie efficaci per comunicare e condividere nuovi sistemi di produzione”. In estrema sintesi: un knowledge worker.

In tal senso è possibile definire un semplice modello articolato in tre livelli e sintetizzato nella figura 2: comportamenti, skill (o competenze trasversali) e competenze (specialistiche).

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Figura 2 – Modello integrato delle competenze

(Fonte: S. Belletti, “Verde & Digitale”, EdizioniAmbiente, 2022)

La persona diviene il primo nodo dell’organizzazione a rete o, se vogliamo, contraddistinto da autonomia diffusa e spirito imprenditoriale. Costituiscono un valore i seguenti comportamenti dei dipendenti:

  • innescare e favorire l’innovazione;
  • diffondere la conoscenza in modalità open source;
  • lavorare e operare in rete, sia interna sia esterna;
  • cogliere le opportunità valutando rischi e vincoli;
  • perseguire e attivare il miglioramento continuo;
  • comunicare e sostenere i valori aziendali.

Tali comportamenti sono supportati da una dotazione di competenze trasversali e di strumenti e metodi evoluti, che si aggiungono a quelle tradizionalmente considerate (project management, problem solving ecc.) e diventano sempre più rilevanti, con una contaminazione crescente fra humanities e business.[2] Sono identificabili tre gruppi di competenze trasversali:

  • creare reti e comunità nel proprio contesto lavorativo, avviare alleanze caratterizzate da legami deboli, mobilizzare e influenzare risorse a prescindere dal rapporto gerarchico, adottare logiche di comprensione e di pensiero sistemiche (network);
  • adottare l’approccio del problem finding per identificare opportunità e strutturare problemi complessi facilitandone la risoluzione collegiale, valutare rischi e vincoli (probabilità/impatto, piani di mitigazione/contingency), cercare la soluzione ottimale grazie alla negoziazione e alla gestione del conflitto, utilizzare in modo sistematico i dati per il decision making in forma ibrida, utilizzando strumenti digitali (opportunity);
  • ascoltare e adattarsi ai cambiamenti, utilizzare metodologie concrete e focalizzate (lean thinking[3] e agile method), affrontare creativamente la generazione delle idee in co-design e avere una mentalità aperta al contributo di tutti (design thinking), raccontare esperienze e valori in modo coinvolgente (change).

In A2A i programmi di formazione e orientamento puntano sulla capacità di innovazione ed evoluzione continua, e per i più giovani sul potenziamento delle competenze trasversali, ma anche sui metodi di miglioramento continuo quali il lean six sigma.[4] Come sottolineato da Dario Pagani (Eni) e da Carlo Bozzoli (Enel), diffondere la cultura dei dati è un prerequisito fondamentale, in modo tale che le persone comprendano come utilizzarli nel loro lavoro quotidiano. I dati disponibili, supportati dalle tecnologie digitali e uniti alle competenze delle persone, rappresentano un patrimonio essenziale come strumento guida per l’operatività e le decisioni (data-driven mindset).

Al di là delle competenze verticali specifiche di settore e/o di funzione aziendale, sono state caratterizzate le competenze legate al digitale e alla sostenibilità ambientale, definendo tre livelli con grado crescente di sofisticazione, per ciascuno dei due ambiti:

0. conoscenza generale in termini di alfabetizzazione digitale, che presuppone conoscenza basica da utente (digital & ICT literacy) e consapevolezza delle tematiche ambientali e del loro impatto (climate change awareness);

1. conoscenza in termini di coscienza delle potenzialità e delle macrofunzionalità di alto livello (digital wisdom) e di valutazione dell’impatto per l’applicazione di principi sostenibili e modelli circolari (green thinking);

2. conoscenza in termini di pratica ed esperienza nell’esecuzione, come programmazione e gestione operativa delle risorse informatiche hardware/software (IT development & management) e implementazione (sustainability expertise).

E’ emblematico l’approccio utilizzato dal gruppo farmaceutico Chiesi per l’intelligenza artificiale, impostato in modo da sviluppare un percorso didattico e progressivo partendo dalla consapevolezza. È stata avviata anche l’acquisizione di competenze tecnologiche da parte del business, per quanto concerne figure di data scientist, controbilanciata da figure del dipartimento ICT che acquisiscono invece competenze di business, facilitando così “la partnership con il business grazie a un linguaggio comune arricchito nei confini dei rispettivi ruoli” (sono le parole del CIO Umberto Stefani).

  1. Human capital readiness

Da quanto detto, appare chiaro che i comportamenti e le conoscenze dei singoli così come la cultura dell’azienda sono fattori competitivi che devono essere presidiati e costantemente aggiornati: facilitare la costruzione della rete partendo dalla singola persona, introdurre nuove figure per il funzionamento della rete e attuare meccanismi virtuosi per lo sviluppo delle persone sono elementi distintivi.

Oltre a definire dei ruoli formali e codificati, la progettazione dell’organizzazione a rete è finalizzata ad accrescerne il potenziale in termini di capitale umano e sociale: è necessario vedere le persone come nodi della rete che svolgono attività, scambiano beni e servizi, gestiscono flussi informativi, producono e aggiornano know-how. In questo contesto assumono particolare enfasi alcuni nodi proattivi della rete (tipicamente ruoli orizzontali rispetto alle gerarchie verticali) che ne facilitano il mantenimento e ne promuovono lo sviluppo, favoriscono le relazioni, il passaggio di conoscenze e i flussi informativi, diffusi a ogni livello dell’organizzazione: mentor e tutor (persona), team leader, agile coach e scrum master (team), ambassador e champion (community), influencer e knowledge broker (rete). Per il funzionamento dell’organizzazione a rete sono opportuni quindi indicati veri e propri ruoli integratori, dedicati al coordinamento orizzontale tra le funzioni aziendali per la sostenibilità (per esempio, i focal point in A2A), l’innovazione (per esempio, innovation manager in Enel) e il digitale (per esempio, digital ambassador in Italgas).

  1. Digital & data readiness

E’ ovviamente necessario predisporre adeguatamente le strutture IT:

  • fornire i presidi organizzativi e i ruoli competenti che operano e collaborano con le linee di business nell’esecuzione delle attività (organizational layer);
  • supportare il ridisegno di modelli e processi di business grazie alla creazione di intelligent workflow che combinano dati e tecnologie digitali (core layer);
  • predisporre le infrastrutture necessarie in modo da offrire un’architettura IT flessibile e interoperabile, garantendo requisiti di connettività e sicurezza (foundation layer).

L’ organizational layer è sostanzialmente l’interfaccia verso le linee di business: significa attivare un team dedicato di disegno e implementazione per sperimentare le soluzioni (garage) e per lanciarle in esecuzione (delivery), comunemente definita digital factory.. Tale struttura è in genere permanente e lavora per iniziative, ovviamente sfruttando economie di scala e di specializzazione in relazione alle competenze esperte nelle tecnologie digitali e nella gestione in modalità agile, in particolare:

  • figure specializzate tipicamente IT come il cybersecurity expert e lo user experience specialist, figure rinnovate come l’enterprise IT architect (che si dovrà confrontare con architetture complesse multi-cloud e ibride per l’integrazione di piattaforme diverse);
  • figure “miste” che collegano il mondo digitale al mondo business come il digital business analyst (che dovrà essere in grado di calare le tecnologie digitali nel contesto di business, sostanziando la trasformazione digitale) e il data scientist (che dovrà fornire supporto nell’analisi dati);
  • figure di coordinamento dei gruppi di lavoro e delle attività che introducono stabilmente metodologie di gestione secondo principi di creatività, collaborazione e miglioramento continuo (design thinking, lean thinking, agile method).

Ad esempio Eni ha creato una Digital Factory in cui ha concentrato i centri di competenza chiave per lo sviluppo di progetti di trasformazione digitale, quali aperd esempio i data scientist, gli scrum master, i designer.

Il core layer è il motore della trasformazione: creare workflow intelligenti che utilizzano un insieme di tecnologie digitali integrate e cooperanti per ri-disegnare nuovi modelli operativi e di business pa favore della sostenibilità ambientale: sono alimentati con dati e informazioni provenienti da fonti distribuite e diverse, valorizzando le competenze di business e gli asset fisici. È opportuno che il ri-disegno di nuovi modelli avvenga secondo logiche greenfield per essere nativamente sostenibili e digitali. Per semplificare, possiamo dire che le tecnologie digitali rappresentano la meccanica e gli ingranaggi, mentre i dati ne sono il combustibile, o meglio l’alimentazione elettrica.[5]

L’accessibilità e la condivisione dei dati ambientali favoriscono la collaborazione, evidenziano aree di interesse comune, facilitano l’open innovation: consentono di sfruttare l’intelligenza collettiva (collective intelligence), come chiosa un documento di IBM.[6] E la combinazione tra dati ambientali, tecnologie digitali e intelligenza collettiva rappresenta un acceleratore per la sostenibilità. Dati e tecnologie digitali aiutano a risolvere i problemi ambientali in modo efficace grazie a informazioni più tempestive e localizzate: favoriscono la produzione di normative più mirate, migliorano i relativi processi decisionali, alimentano sistemi di alerting e di early warning per fornire indicazioni in tempo reale.

Dati e tecnologie digitali si appoggiano sull’infrastruttura IT (foundationa layer): lo scenario comprende architetture IT in data center fisici dell’azienda/cloud privati e cloud pubblici (hybrid) che possono essere molteplici (multi-cloud) e rispecchiano la natura degli intelligent workflow e della nuova catena del valore, che va oltre i confini aziendali. Le architetture in cloud[7] permettono di accedere alle tecnologie digitali (tool box) e di gestire in modo flessibile le risorse IT in funzione delle diverse e mutevoli esigenze del business, in relazione a una struttura delle applicazioni IT ri-configurabile grazie a microservizi e ad altre soluzioni,[8] connesse in modo lasco tramite API. Tali caratteristiche richiedono strumenti per l’orchestrazione e open standard per l’interoperabilità. In questo senso connettività e sicurezza (cybersecurity) sono da considerarsi requisiti imprescindibili.[9]

La ricorrenza del cloud negli oltre 200 casi che ho potuto analizzare è evidente. Ad esempio l’infrastruttura IT di Enel è attualmente in cloud (così come quella di Italgas), riconoscendo nel cloud e nella cybersecurity gli abilitatori tecnologici alla trasformazione digitale e traguardando alla realizzazione di un modello operativo completamente multi-cloud, modulabile e flessibile.

  1. Health systems

Nel nuovo modello di azienda assumono grande rilevanza alcuni sistemi (che abbiamo chiamato appunto health systems) per misurare e monitorare le prestazioni in relazione agli obiettivi, valutando in modo adeguato i rischi e le opportunità, incentivando comportamenti idonei.

I sistemi di performance measurement & monitoring hanno l’obiettivo di orientare i comportamenti al cambiamento sostenibile e digitale, consentendo gli opportuni approfondimenti per innescare logiche di miglioramento e garantendo continuità, confronto e qualità nelle prestazioni misurate. Un adeguato ed efficace sistema di misurazione e controllo delle prestazioni per aziende che stanno procedendo alla transizione verde e digitale deve essere coerente con la catena dei value driver identificati per la costruzione dei modelli di business: misurare le prestazioni ambientali, tradurle in benefici tangibili e non, esplicitare il contributo del digitale. Il tema più innovativo è rappresentato dalla valutazione del contributo digitale, che viene misurato come aiuto diretto alle operazioni e alle iniziative che supportano la sostenibilità ambientale (oltre all’ovvio contributo indiretto come strumento per la raccolta dei dati e per il calcolo degli indicatori): come misurare il contributo delle tecnologie digitali? Un approccio pragmatico e intelligente è quello che prevede di utilizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile per individuare il contributo dei progetti digitali, definendo indicatori di performance che colleghino la prestazione ambientale al contributo del digitale. Ad esempio A2A ha esplicitato il contributo delle iniziative digitali agli Obiettivi nel suo Sustainable Digital Plan, valutando l’impatto qualitativo, in alcuni casi anche quantitativo.

Oppure Kering che ha sviluppato, in linea con il Natural Capital Protocol, uno strumento per misurare l’impatto ambientale articolando un conto economico ambientale e calcolando il valore monetario dell’impatto (Environmental Profit & Loss – EP&L).

I sistemi di incentivazione (reward & recognition) devono essere in grado di motivare, incentivare e attrarre le persone in azienda, facilitando il raggiungimento degli obiettivi legati alla sostenibilità, l’adozione di comportamenti adeguati, la predisposizione di conoscenze/competenze e l’utilizzo delle tecnologie digitali. Per quanto concerne le figure manageriali, i sistemi di incentivazione sono focalizzati sulle prestazioni: è opportuno inserire meccanismi che distinguano e diano uguale rilevanza alle prestazioni sul breve termine (più polarizzate su obiettivi economici) e di lungo termine (più focalizzate sulla creazione di valore condiviso).[10] Oltre alle figure manageriali, è opportuno estendere il più possibile alla popolazione aziendale modelli di incentivazione, con particolare riferimento ai “nodi” della rete indicati nella sezione precedente. I sistemi di incentivazione sono sempre più basati su logiche di total reward.[11] Gli incentivi comprendono ovviamente aspetti tangibili (compensation, benefit, career opportunity, work-life) che indirizzano le energie fisiche e mentali del dipendente: per quanto concerne la remunerazione variabile, dovrà considerare la contribuzione agli obiettivi di sostenibilità e di introduzione del digitale, in termini sia di risultati ottenuti (anche come qualità) sia di comportamenti tenuti (apprendimento, apertura, miglioramento continuo, innovazione), soft skill e conoscenze maturate (green thinking, uso consapevole delle tecnologie digitali). Accanto agli aspetti tangibili dell’incentivazione, vanno anche adottati modelli e situazioni in grado di intercettare le energie emotive e valoriali della persona attraverso:

  • employer branding, legato alla reputazione aziendale, per cui sono riconosciuti e apprezzati l’impegno e il contributo legati all’impatto ambientale (e sociale);
  • personal development, opportunità di formarsi sulle tematiche ambientali e sulle competenze digitali, con la possibilità di partecipare a progetti extra-aziendali su tali ambiti (anche non profit);
  • entrepreneurial opportunity, contribuire attivamente a progetti innovativi creando nuove venture aziendali e dando la possibilità di attivare spin-off;
  • self-recognition, riconoscimento del valore professionale ed etico del lavoro svolto secondo un modello professionale, che è corretto definire “dell’artigiano”.

Il risk management non è solo un sistema per la gestione del rischio, ma costituisce un elemento trasversale in azienda e nelle relative variabili di progettazione: rappresenta in quanto tale una capability organizzativa come early warning system e deve essere una soft skill delle persone che lavorano in azienda. Il sistema di risk management ha l’obiettivo di valutare rischi e opportunità legati al cambiamento climatico e ovviamente deve in primo luogo comprendere il rischio climatico (anche di transizione), e in secondo luogo fornire una visione integrata con tutti gli altri rischi.

  1. Bompan E. con I.N. Brambilla, Che cosa è l’economia circolare, Edizioni Ambiente, Milano 2021.

  2. Serio L., Impresa ibrida: organizzazione e modelli di business, Atelier dell’impresa ibrida, 26/27 ottobre 2020.

  3. I principi del lean thinking sono sinergici con quelli della sostenibilità: obiettivo di miglioramento continuo e incrementale tramite l’eliminazione di sprechi e di perdite, con particolare riferimento alla produttività delle risorse e all’efficienza energetica (Hammer M., K. Somers, Industrial-resource productivity and the road to sustainability, McKinsey & Co., 18 ottobre 2021, https://mck.co/3NsRbLs).

  4. Tale metodologia combina principi e strumenti di six sigma e di lean production allo scopo di eliminare sprechi ottimizzando l’utilizzo delle risorse: il six sigma si focalizza sulla variabilità statistica e sulla riduzione dei difetti di processo, la lean production si concentra sull’eliminazione degli sprechi e sull’ottimizzazione dei processi produttivi.

  5. Proseguendo con l’analogia automobilistica, l’organizational layer può essere visto come l’insieme di sedili, cruscotto e volante, mentre il foundation layer l’insieme di scocca, pianale e ruote. Il guidatore? Le competenze di business…

  6. Balta W.S., D.C. Esty, S. Fulton, T. Yosie, Digital Technology and the environment. Sustainability at the speed of open innovation, IBM Institute of Business Value in collaborazione con Environmental Law Institute, marzo 2021 (https://bit.ly/3I8A4wK).

  7. The Cognitive Enterprise: Reinventing your company with AI. Seven keys to success, IBM Institute for Business Value, febbraio 2019 (https://ibm.co/3AmHzhL).

  8. Container (insieme omogeneo di microservizi che rende “portabili” le applicazioni IT) e server-less commuting (modello di programmazione cloud-native che permette di creare e rendere eseguibili le applicazioni IT indipendentemente dall’infrastruttura sottostante).

  9. Le architetture in cloud consentono anche di ottimizzare i carichi di lavoro, il livello di automazione e il consumo delle risorse, se progettate adeguatamente e non come semplice replica dell’esistente.

  10. È bene prevedere anche meccanismi di sviluppo e incentivo manageriale che privilegino la mobilità interna e la leadership orizzontale.

  11. Il modello total reward rappresenta il complesso dei meccanismi di incentivazione adottati dall’azienda con il fine di attrarre e trattenere le persone, motivandole e orientando i loro comportamenti verso i risultati attesi.

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