Via della Seta digitale

Startup Italia-Cina, tutte le nuove opportunità che si aprono

Pechino viaggia spedita verso il primato nell’innovazione e ricerca a scapito degli Usa, anche a causa del rallentamento dell’Europa. L’Italia ha molto da offrire al Dragone in termini di talento, visione, cognizione artigiana, rinnovate forme di sostenibilità: ecco tutte le opportunità in vista della Settimana Italia-Cina

Pubblicato il 23 Lug 2019

Cristian Fuschetto

Città della Scienza-Fondazione Isis Università Federico II di Napoli

italia cina

L’asse mondiale dell’innovazione si sta spostando a Est e la Cina è il motore di questo storico cambiamento di rotta. Ed è un motore anche per le startup italiane.

Il potenziale è esplosivo e non è un caso se le partnership commerciali – e non solo – si moltiplicano. Tra esse l’Italia può vantarne di solide e storiche.

I rapporto tra Pechino e l’Italia sono infatti solidi e di lunga data e le opportunità per le nostre imprese più innovative sono importanti, soprattutto in vista del prossimo primo gennaio, quando entrerà in vigore la nuova “Legge sugli investimenti stranieri”, che dovrebbe segnare un grande avanzamento della Cina verso l’economia di mercato. 

Il sorpasso del Dragone, questione di lounge durée

Anche nel 2018, Pechino ha scommesso più del doppio rispetto al suo principale competitor in ricerca e sviluppo. Era quindi una profezia piuttosto facile, ma non per questo meno significativa, quella da poco registrata dalla rivista R&D Magazine nel suo recente rapporto 2019 Global R&D Funding Forecast: nel 2024 la Cina supererà gli Stati Uniti e diventerà leader assoluto al mondo per spesa in R&S (a parità di potere d’acquisto della moneta).

Lo scenario non è frutto di un cambiamento improvviso. Senza scomodare la Nouvelle Histoire di Bloch, Febvre e Braduelle e il loro insegnamento sulla necessità di aprire lo sguardo ai lunghissimi periodi anche quando si cercano risposte che sembrano schiacciate sul presente (gli eventi si spiegano alla luce della “longue durée”), va detto che la cavalcata del Dragone ha una lunga genealogia e, oltretutto, sarebbe miope considerarla come una faccenda soltanto orientale. Il successo della Cina è anche frutto del rallentamento dell’Europa, oggi la parte del mondo che ha meno fiducia nella ricerca scientifica se è vero che investe in scienza l’1,69 della ricchezza prodotta contro il 2,32 delle Americhe e l’1,91 dell’Asia.

Il mondo è cambiato e l’Europa non ha saputo governare la modernità. Fino agli anni ’70, spiega per esempio Pietro Greco ne “La Scienza e l’Europa. Dal Secondo dopoguerra a oggi” (L’Asino d’oro, 2018), i rapporti tra scienza e il Vecchio continente erano saldi, poi con la prima grande crisi economica del dopoguerra qualcosa si è rotto. Una crisi, soprattutto se è grave, può avere tanti sbocchi, costringe a decisioni e può anche rivelarsi utile. In quegli anni tuttavia si perde l’occasione. Gli interventi sono di carattere difensivo. L’Europa cerca con determinazione di evitare il fallimento di grandi aziende finanziando la ristrutturazione o la riconversione di impianti senza fare nulla però per ovviare alla sempre più evidente mancanza di massa critica in molti ambiti della ricerca dovuta alla frammentazione nazionale e alla dimensione troppo piccola delle imprese continentali. “Il mondo cambia – scrive Greco – e l’Europa non se ne accorge”. Tura le falle del vecchio sistema ma non ne crea di nuovi. Non dove, almeno, è puntato l’indice dello sviluppo scientifico. A testimoniarlo sono per esempio le promesse che l’Europa ha disatteso di fronte a sé stessa con la Strategia di Lisbona.

Non solo volontà di potenza

A tener il passo sono le Americhe ma, come abbiamo visto, è questione di pochissimi anni e anche gli Usa perderanno il primato della ricerca. L’asse dell’innovazione volge a Oriente con l’Asia, e non solo con la Cina, a dettare la linea. Tra i primi sei Paesi per investimento in R&S, sono ben quattro le nazioni asiatiche: Cina, seconda assoluta, con una spesa equivalente a 485,5 miliardi di dollari; Giappone, terzo (con 191,5 miliardi di dollari); Corea del Sud quinta, con 90,2 miliardi di dollari e l’India sesta, con una spesa equivalente a 86,2 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti restano primi, con 565,8 miliardi di dollari investiti in R&S nel 2018 mentre la Germania è quarta con una spesa di 120,8 miliardi di dollari.

Il primato asiatico a trazione cinese non è solo il riverbero di una volontà di potenza economica, è invece il frutto di una strategia che mette al centro quantità e qualità della ricerca. Lo indicano i ranking mondiali delle università che registrano l’avanzata degli atenei cinesi con due università nella top 20 mondiale (Tsinghua University e Peking University), lo indica a suo modo la vicenda del China Electron Prositron Collider (Cepc), l’acceleratore destinato a superare l’europeo LHC come la macchina più grande del mondo. Così come lo fu il Cern per l’Europa, il Cepc lancerà la Cina al ruolo di leader nella Fisica delle Alte Energie favorendo lo sviluppo di una comunità di scienziati impegnati nella cosiddetta ricerca curiosity driven tale da aprire scenari orientati alla profondità e non solo all’estensione o all’immediata applicabilità tecnologica dei campi di conoscenza.

Innovazione, ricerca, tecnologie: le strategie dei Piani Quinquennali

Investimenti crescenti in ricerca, forte competitività del sistema universitario, progressiva apertura del sistema imprenditoriale e leadership nelle tecnologie emergenti, tutti questi obiettivi rappresentano l’esito di politiche rigidamente programmate. Voluto dal presidente Xi Jinping, è attualmente in vigore il XIII Piano Quinquennale 2016-2020 che pone l’innovazione quale motore principale di uno sviluppo creativity oriented.

In particolare “Made in China 2025” e “Internet Plus” sono i programmi che ne delineano il percorso. Il primo, che riguarda la ristrutturazione dei processi produttivi, mira a trasformare la Cina in un Paese tecnologicamente autonomo entro il 2025, mentre il secondo riguarda l’applicazione di internet a tutti i servizi e allo sviluppo dell’economia digitale. Nel 2017 è stato inoltre pubblicato un programma di investimento che mira a conquistare la leadership mondiale nel settore dell’Intelligenza Artificiale entro il 2030. Sempre il 2030 è posto come termine per verificare i risultati ottenuti con lo strumento dei key national science and technology projects ossia progetti a lungo termine focalizzati sullo sviluppo di tecnologie chiave per l’avanzamento nei settori Ict, nuovi materiali, energie alternative, medicina, biologia, manifattura intelligente.

Innovazione, tecnologia e ricerca sono stelle polari di una politica di lungo termine, si tratta di costruire o comunque di accelerare la costruzione di mercati che ancora non esistono per centinaia di milioni di cittadini dal potere d’acquisto in continua crescita.

China-Italy Holding, multinazionale da 24 miliardi di euro

L’Italia è il quarto fornitore della Cina fra i paesi europei, con esportazioni pari a 13,2 miliardi, ed è al quarto posto anche tra i suoi clienti europei. Dal recente report della banca dati Reprint dell’Università di Brescia è emerso inoltre che gli “intrecci” tra le società dei due Paesi a fine 2018 equivale a una multinazionale di 42 mila dipendenti per un fatturato di 23,4 miliardi di euro. Numeri importanti dettati non più esclusivamente dall’obiettivo dei colossi cinesi di “fare shopping” in Italia ma, alla luce delle politiche della Belt e Road Initiative, dall’interesse di costruire alleanze secondo una logica win-win. Nel rispetto delle nuove politiche, per esempio, la Bank of China ha investito 3,49 miliardi di euro per partecipazioni in aziende del calibro di Enel, Eni, Fca, Generali, Mediobanca, Monte dei Paschi di Siena, Tim e Unicredit. Uno scenario che si è consolidato e per molti versi consacrato con la firma nel marzo scorso a Roma del memorandum d’intesa sulla Nuova Via della Seta fra Italia e Cina alla presenza di Xi Jinping. Tra gli obiettivi, il memorandum mira a favorire la cooperazione scientifica e tecnologica tra startup italiane e cinesi.

La firma degli accordi che hanno visto l’Italia, primo Paese occidentale, entrare nel grande progetto della Belt and Road Initiative rilancia la collaborazione su temi di frontiera e pone le premesse per una rinnovata attività di promozione di parchi scientifici e tecnologici, cluster industriali e investimenti in venture capital. Il memorandum firmato nella cornice degli accordi sulla Via della Seta si inserisce tuttavia in un percorso consolidato.

Le relazioni Italia-Cina nel settore scienza e tecnologia sono regolate da un accordo bilaterale del 1998 e, negli anni, hanno visto intrecciarsi opportunità crescenti a cominciare dalle realtà universitarie. Al 2019 sono per esempio oltre 850 gli accordi di collaborazione tra università italiane e cinesi, di cui 300 siglati con i primi 40 atenei del Dragone.

L’Italia è inoltre presente nei partenariati sui progetti tra Europa e Cina, in particolare sui recenti Horizon 2020. Alcuni di questi progetti vedono l’Italia come soggetto coordinatore, come il progetto Europe-China Clean Energy Center (EC2), il progetto Europeo Besiii-Cgem, che ha rafforzato la collaborazione strategica tra l’Infn e l’Institute of High Energy Physics (IHEP) della Chinese Academy of Science (CAS), o anche Argo, Besiii, Cses, Dampe, Herd e Juno. Si aggiungono i molti progetti H2020 cofinanziati da INAF e dal CNR e altri progetti coordinati o partecipati dalle università italiane in settori, dall’urbanizzazione sostenibile all’agricoltura, dall’allevamento dei bufali alla biomedicina, dall’elettronica alle telecomunicazioni.

Una “Settimana” nel segno dell’innovazione

Da circa dieci anni i rapporti tra i due Paesi sul fronte dell’innovazione sono facilitati da una piattaforma di cooperazione che trova il suo momento centrale nella Settimana Italia-Cina della Scienza, della Tecnologica e dell’Innovazione, manifestazione di networking tra i sistemi di impresa e di ricerca più innovativi dei rispettivi Paesi che si tiene ogni anno alternativamente in Italia e in Cina.

La Settimana è promossa in Italia dal Miur in sinergia con il Ministero degli Affari Esteri, dalla Regione Campania per il Siee, ed è coordinata dalla Città della Scienza di Napoli, in collaborazione con il Cnr, Confindustria, i Cluster Tecnologici Nazionali, le principali Università e Centri di Ricerca Italiani, e Campania NewSteel e PNI Cube per il programma delle startup. Da parte cinese, il programma è promosso dal Ministero della Scienza e della Tecnologia (MoST) e coordinato dal Beijing Municipal S&T Commission, e dall’International Technology Transfer Network per il programma startup, oltre che dal Beijing Association for Science and Technology–Bast per il Siee, a sua volta membro della Chinese Association for Science and Technology.

Dopo l’edizione tenuta a tenuta lo scorso dicembre tra Milano, Roma, Cagliari e Napoli con numeri significativi (1.470 delegati, 230 organizzazioni cinesi e 525 organizzazioni italiane, 224 progetti presentati per incontri one-to-one, 19 accordi di cooperazione siglati), sono ora molte le aspettative sull’edizione del 2019 in programma a nelle città di Pechino e Jinan dal 28 al 31 ottobre. La Settimana Cina-Italia dell’Innovazione avrà quest’anno un particolare rilievo anche in vista del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche nel 2020.

Centinaia di imprenditori, ricercatori e responsabili istituzionali italiani saranno a Pechino per lo lo svolgimento del Sino-Italian Exchange Event (28 ottobre), la celebrazione del decima anniversario del China-Italy Innovation Forum alla presenza dei Ministri della Ricerca Marco Bussetti e Wang Zhigang (29 ottobre), visite a poli tecnologici (30 ottobre) e, infine, il 31 ottobre a Jinan per un focus territoriale centrato sui più recenti centri di ricerca, tra cui uno sino-italiano in costruzione proprio in questi mesi.

Startup lungo la Via della Seta

Al mondo esistono attualmente 309 unicorni. Sono quelli censiti da CB Insights, e come per la spesa in R&S anche per le startup dal peso di almeno 1 miliardo di dollari vige il duopolio tra Usa e Cina.

Per l’esattezza sono 151 gli unicorni a stelle e strisce e 82 quelli cinesi. Un dato che va tuttavia calibrato con l’altro secondo cui il valore dei nuovi unicorni cinesi sarebbe superiore in termini assoluti rispetto ai colossi americani. Il primo in classifica, per la cronaca, è cinese e si tratta di ByteDance, l’azienda che ha sviluppato Toutiao, una piattaforma che unisce le caratteristiche di un social network a quelle di un sito di news. Un’applicazione che viene utilizzata ogni giorno da 120 milioni di persone (due Italie!).

L’economia cinese non potrà certo partorire unicorni come conigli, eppure è questo l’ecosistema di riferimento. Un ecosistema che anche dal punto di vista normativo sta dando segnali concreti di apertura a chiunque voglia investire per innovare.

Entrerà in vigore il primo gennaio del prossimo anno, per esempio, la nuova “Legge sugli investimenti stranieri”, che nel porre fine gli intrichi normativi che per decenni hanno consentito al sistema industriale cinese di appropriarsi dei segreti tecnologici delle imprese straniere e di saccheggiarne la proprietà intellettuale, promette di far compiere al Dragone un grande avanzamento verso l’economia di mercato.

Fine del trasferimento forzato di tecnologia, niente più joint venture obbligate in settori e, aspetto particolarmente importante per quanto riguarda l’“emigrazione” di startup, tutela della proprietà intellettuale costituiscono una svolta storica per la creazione di un ambiente più favorevole quanto a stabilità, trasparenza, prevedibilità ed equità nel trattamento degli investimenti esteri.

In questo scenario anche le startup italiane provano a dire la loro. Non è un caso se quest’anno, in occasione della Settimana Cina-Italia dell’Innovazione, per la prima volta sarà dedicato ampio spazio a una competizione tra realtà innovative emergenti. A Pechino si terrà infatti anche la finale della Best Start-up Showcase Entrepreneurship Competition (Bssec), un programma di promozione nel mercato cinese di startup e pmi innovative coordinato in Cina dall’International Technology Transfer Network (Ittn) e in Italia dalla Città della Scienza di Napoli in collaborazione con l’incubatore d’impresa Campania Newsteel.

Alla Bssec hanno partecipato ben 90 startup, selezionate in occasione dell’edizione 2018 della Settimana Italia-Cina dell’Innovazione, distribuite in tre gruppi centrati su Intelligent Equipment & Digital Economy, Sustainability & Green Innovation e, infine, Big Data & Comprehensive Health. Dopo la missione dello scorso aprile nella Cina Sud-orientale a Shenzhen, Zhuhai, Xiamen, Hangzhou e Suzhou, centrata sulla Digital Economy, il tour dell’innovazione targata Italia nel mercato cinese è proseguita Nanchino, Hangzhou e Suzhou, dove l’ultima settimana di giugno 14 startup specializzate in Sustainability & Green Innovation hanno svolto attività di networking in occasione della Nanjing Techweek, tra gli appuntamenti più affermati nel mercato tecnologico asiatico.

Dall’agricoltura all’edilizia a Km 0 fino a software in grado di “riciclare” i servizi internet inutilizzati per generare cloud storage a bassissimo costo, le soluzioni finora selezionate per la finale di Pechino portano tutte il segno della sostenibilità. A Nanchino ha vinto, per esempio, “Personal Factory”, pmi innovativa calabrese che ha sviluppato una tecnologia brevettata che sviluppa e produce composti chimici finalizzati alla realizzazione di materiali da costruzione sul posto con materie prime locali.

Nella tappa di Shenzhen si era affermata Cubbit, startup di Bologna che ha sviluppato un software in grado di cambiare l’industria dei servizi basati sul cloud eliminando i cosiddetti webfarm centralizzati, ovvero server collocati in un unico ambiente fisico. Cubbit li sostituisce grazie all’utilizzo di un database distribuito basato su una rete peer-to-peer fatta di server domestici forniti dagli stessi utenti con il vantaggio di utilizzare circa 10 volte meno energia rispetto al cloud centralizzato.

Due esempi statisticamente irrilevanti ma concettualmente significativi di quello che serve al colosso asiatico e di quello che gli innovatori italiani possono offrire alla Cina: talento, visione, cognizione artigiana, rinnovate forme di sostenibilità.

Detto in altri termini: tasselli di un umanesimo imprenditoriale e di cultura rinascimentale.

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