innovazione

Startup, le nuove misure del Sostegni-bis: pregi e limiti. Ecco i punti da “sanare”

Detassazione del capital gain e (a sorpresa) la riforma di Enea Tech sono le due norme a maggior impatto sull’ecosistema startup. Vediamo di cosa si tratta e perché siamo ancora una volta di fronte a un processo disorganico e a misure spot

Pubblicato il 09 Giu 2021

Gianmarco Carnovale

Serial tech-entrepreneur

Il Consiglio dei ministri ha approvato il Decreto Sostegni-bis, contenente alcune norme che impattano sull’ecosistema startup. È opportuna un’analisi, più che strettamente tecnico-giuridica, quanto da farsi sotto il profilo logico e di costruzione di una filiera che continua ad arrancare dietro a misure spot.

I punti in cui il Decreto si occupa del settore sono sostanzialmente due: la detassazione del capital gain, e l’intervento a sorpresa di riforma di Enea Tech. Due misure che hanno dietro evidenti “mani”, ragioni e percorsi molto differenti.

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La detassazione del capital gain

Iniziamo dall’esenzione sul capital gain, su cui ci sono informazioni certe sul percorso della proposta, sulle sue finalità, e su come debba necessariamente essere aggiustata nel passaggio parlamentare. Questa norma si articola in due misure, una stabile ed una temporanea.

Misura stabile: d’ora in poi, chi disinveste da un qualche settore – borsa, titoli di Stato, oro, criptovalute, cessione di partecipazioni, ovvero ovunque si applichi la tassazione sul capital gain, la sarà esentato dall’applicazione della stessa sul proprio profitto a condizione che reinvesta entro dodici mesi in startup e PMI innovative. Questa misura, sostenuta a lungo da InnovUp – l’associazione nazionale delle startup – è di grandissimo impatto perché incentiva molti detentori di ricchezza a rideterminare l’allocazione del proprio patrimonio, spingendo ad investire in nuove imprese patrimonializzandole.

Misura temporanea: sono esentati dalla tassazione sul capital gain gli investimenti in startup innovative effettuati fino al 2025. Questa misura è già meno condivisibile, in quanto l’investimento in startup è già fortemente incentivato dallo Stato con le detrazioni al 50% ed al 30%, e tassare il capital gain – cioè il profitto quando l’investimento è andato bene – è la giusta copertura per ripagare il rischio sostenuto dallo Stato, in modalità win win con l’investitore privato. Nessun Paese mi risulta che incentivi l’investimento in startup sia in ingresso che in uscita perché non è molto sensato, ma quanto meno questa contraddizione è mitigata dalla sua temporaneità.

I limiti della misura

Nella formulazione attuale c’è applicazione anche in caso di partecipazioni qualificate, che non è un bene perché gli incentivi agli investimenti dovrebbero riguardare sempre gli investitori e non chi ha potere di controllo su un’azienda.

Inoltre, non sono previste tutte le casistiche utili: manca l’investimento in forma indiretta a due livelli (cioè effettuato tramite holding personale che prenda parte ad un veicolo di sindacato di investimento, il quale a sua volta entra nella impresa target: sembra una casistica complessa ma è come avviene molto spesso nei round di business angel o nelle raccolte via crowdfunding).

Non è menzionato l’investimento in quasi-equity tramite sottoscrizione di Strumenti Finanziari Partecipativi o con scritture private per finanziamenti in convertendo che dovrebbero essere la forma principale da incentivare, visto che sono il modello più diffuso nel mondo nella fase pre-seed e seed nonché impiegato dal Fondo Rilancio di CDP Venture Capital.

E soprattutto è troppo drastica la delimitazione delle cause di perdita del diritto alla detrazione se non si mantiene l’investimento per tre anni: devono essere previsti quantomeno alcuni casi di deroga quali la messa in liquidazione, la cessione in seguito all’obbligo di seguire diritti di trascinamento fissati in Statuto, o lo sbarco su un listino di borsa. Sono tutte situazioni in cui il mancato mantenimento della partecipazione per tre anni è obbligato oppure del tutto virtuoso, e non è giusto punirlo.

La riforma di EneaTech

Passando alla “sorpresa” della riforma di EneaTech: ho letto più volte il testo del decreto per quanto riguarda la fondazione, e sono andato anche a rileggermi sia il decreto Rilancio che il decreto ministeriale che ne determinavano nascita e missione, e devo dire di essere abbastanza confuso non tanto per quanto c’è negli atti di governo quanto per ciò che viene riportato dagli articoli e dalle dichiarazioni di numerose parti dell’ecosistema in questi giorni.

Ricordiamo per un momento la premessa: EneaTech è stata costituita per andare a tirare fuori spin-off dai centri di ricerca italiani. Ho partecipato – insieme a molti stakeholder – alle audizioni del Ministero dello Sviluppo Economico precedenti alla sua nascita, e non dimentico le parole nettissime del Ministro Stefano Patuanelli quando ha chiarito che fosse escluso che la fondazione sarebbe andata ad investire in fasi già presidiate dal mercato dei capitali, perché per occuparsi quel tipo di posizionamento avrebbe affidato tale dotazione finanziaria a CDP Venture Capital, che ha svariati fondi di investimento diretto oltre a dover agire come “market maker” per far nascere acceleratori e nuovi fondi.

Per definizione, quindi, EneaTech è nata per occuparsi di fasi perfino precedenti a quelle degli acceleratori di startup, nonché al seed e al venture capital, e legate al trasformare ricerca in impresa per poi – nel momento in cui ci fossero state delle validazioni – passare la gestione dei deal agli operatori di mercato e a CDP Venture Capital stessa, senza avere alcuna sovrapposizione. Difatti lo stanziamento della dotazione avveniva attraverso il fondo per il Trasferimento Tecnologico presso il MiSE, e Trasferimento Tecnologico significa una fase ben precedente a tutto ciò che è coperto da acceleratori, business angel e fondi di investimento. Non comprendo dunque tutti quelli che commentano allarmisticamente che siano stati sottratti 500 milioni alle startup: prima di tutto, quei soldi non sono mai stati destinati alle startup, ma erano per gli spin-off da ricerca. E comunque, il Decreto Sostegni Bis non “toglie” niente: il Governo riserva semplicemente 200 milioni su 500 della dotazione al biomedicale – comparto che però era già uno dei quattro in cui la Fondazione poteva investire – che quindi viene portato ad una quota sul totale proporzionalmente un po’ più rilevante dai 125 milioni iniziali. Ma non c’è alcun passaggio del Decreto che dica che la fondazione smetta di occuparsi degli altri settori a cui era destinata.

Lo spoil system

Se quindi EneaTech aveva già raggiunto degli accordi e sottoscritto dei term sheet con dei team di spin-off, questi term sheet saranno sicuramente onorati non appena si insedierà la nuova guida. E qui c’è l’altro punto che è decisamente quello più di rottura: il Governo applica uno spoil system cambiando il Consiglio di Amministrazione e rivedendone i criteri di nomina, fatto ordinario quando c’è un cambio di Ministro soprattutto se di schieramento politico differente da quello precedente. La cosa è sicuramente e comprensibilmente molto antipatica per Salvo Mizzi, l’Amministratore Delegato che aveva messo in piedi la macchina e stava avviandone i motori. Ma questo cambio è stato anticipato da alcuni articoli che hanno falsamente rappresentato Mizzi come un manager cinquestelle, cosa che non è: Salvo è un manager esperto e di lungo corso che negli anni è stato molto vicino – come tecnico di fiducia – a svariate figure politiche quali ad esempio Paolo Gentiloni, Matteo Renzi, e solo infine a Davide Casaleggio.

L’insistenza con cui è stato rappresentato come un “grillino” sulla stampa potrebbe aver indotto il Ministro Giorgetti a cercare altre figure di sua fiducia?

Cosa manca nel Decreto Sostegni bis

Concludo con cosa “non c’è” nel Decreto Sostegni bis: manca un qualsivoglia segnale di attenzione ai necessari aggiustamenti a situazioni problematiche pregresse, intorno all’ecosistema startup, come il disordine tra gli incentivi già in essere e le loro sovrapposizioni normative; come la situazione del crowdfunding, in cui l’assenza di norme sul conflitto di interesse e di controlli da parte di Consob sta lasciando moltiplicare campagne di finanziamento quantomeno dubbie e che si perpetrano attraverso il fiorire di investitori “professionali” che con una mano investono soldi e con l’altra se li riprendono; come la costituzione online delle startup senza notaio, attualmente “sospesa” a causa della sentenza di accoglimento da parte del Consiglio di Stato del ricorso del Consiglio Nazionale del Notariato. Ben più dell’intervenire con le novità introdotte, per come la vedo, sarebbe stato di notevole impatto se il Governo si fosse dedicato a risolvere tutte le problematiche attualmente aperte e note, che complicano la vita dei neoimprenditori almeno quanto quella degli investitori.

Come al solito, quindi, il processo normativo di questo Paese avviene in modo disorganico, attraverso proposte portate avanti dal partito di turno che cerca bandierine da piantare accondiscendendo a istanze di una parte rispetto ad un’altra, senza mai passare per un luogo di coordinamento ed armonizzazione delle norme, né di verifica di logicità delle stesse. Questo approccio inizia a diventare insopportabile, perché per ogni “vittoria” che si intesta un politico con un titolo di giornale, migliaia di imprenditori ed investitori si trovano in un groviglio sempre più intricato da cui è più semplice pensare di fuggire che tentare di districarvisi. Spesso quando si parla di sindaci si scherza sul fatto che si preoccupino più di inaugurare nuovi musei che di manutenere quelli esistenti, perché l’inaugurazione fa più notizia. Sta diventando lo stesso anche con le misure di legge.

Conclusioni

Sarebbe bene se il passaggio di conversione parlamentare del Decreto, nelle prossime settimane, si occupasse di sanare tutti gli aspetti segnalati, ma soprattutto sarebbe davvero fondamentale se per il futuro si istituisse un vero luogo di coordinamento per gli aspetti legislativi intorno all’economia dell’innovazione. Qualcuno propone che, a valle del taglio dei parlamentari, nella riorganizzazione dei regolamenti delle camere si istituisca una Commissione Innovazione: mi sembra una buona idea per iniziare a fare un po’ di ordine.

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