CAD

Trasformazione digitale: riscrivere le regole (e in fretta) non sempre aiuta

Pubblicato il 13 Feb 2017

Maria Guercio

Università Sapienza di Roma, Anai

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If you want to go fast, go alone. If you want to go far, go together. Il legislatore italiano e chiunque oggi voglia o debba affrontare seriamente la trasformazione digitale del settore pubblico e del Paese dovrebbe partire da questa efficace sintesi, utilizzata in occasione dell’ultimo congresso internazionale degli archivi di Seoul 2016 dai colleghi olandesi che coordinano il progetto Heritage Leiden.

Si tratta naturalmente di definire con chiarezza e in modo convincente i compagni di strada e la direzione da seguire. Si tratta quindi di evitare gli errori ripetuti che hanno finora ostacolato quel processo e alla fine demotivato gran parte delle amministrazioni e degli operatori e deluso i cittadini. Per fortuna, tuttavia, hope is the last to die e il legislatore da una parte (sotto la guida del Team di Piacentini per la trasformazione digitale) e la rete che si raccoglie da tempo (con determinazione e tenacia) intorno alle iniziative di FPA dall’altra hanno recentemente reso disponibili online due documenti di analisi e di programma finalizzati a riprendere su basi rinnovate un percorso tante volte intrapreso e sempre interrotto.

Si tratta di materiali diversi per provenienza e natura: il primo (su cui si concentra questo breve commento) ha la forma di un ‘manifesto’, una dichiarazione di intenti, che merita di essere analizzata se non altro perché indica, in modo fin troppo semplice, il percorso di lavoro che la roadmap del team intende perseguire e di cui sarà chiamata a rispondere a conclusione del suo mandato. Il secondo, costituito dal rapporto annuale sulla PA e da una ricerca inedita sui “25 anni di riforme mancate”, è il frutto di un lungo e meditato lavoro di riflessione (in parte sviluppato con lucidità e consapevolezza dagli stessi curatori nei saggi introduttivi) sulle ragioni degli attuali gravissimi ritardi e sulle condizioni sostenibili per evitare che il lavoro fin qui realizzato vada perduto definitivamente.

Accostare questi due documenti potrebbe sembrare improprio per le distanze che li separano in termini di finalità e di struttura, ma poiché entrambi si concentrano sulle misure necessarie a far ripartire il processo di innovazione, non ci è sembrato azzardato accomunarli in questa sede, sia pure per sottolineare ciò che li distingue nella definizione dello scenario di riferimento e degli strumenti da utilizzare.

Se infatti Carlo Mochi nell’introduzione al rapporto ci ricorda che “l’innovazione non si fa con le norme e neanche solo con le visioni strategiche: è questione di paziente costruzione di percorsi di cambiamento, di attenzione e accompagnamento, di cassette degli attrezzi e di formazione, di empowerment delle organizzazioni e di engagement delle persone”, la roadmap del Team, che pur riconosce le criticità di un eccesso di normazione  (“dobbiamo iniziare a scrivere meno leggi e più software” dichiarano gli estensori del documento) e la necessità di ‘innovare sul serio’, ripropone purtroppo come soluzione di cambiamento operativo l’ennesimo intervento normativo. Certo, si precisa di voler semplificare la normativa, ma quando si identificano le questioni prioritarie da affrontare, il problema centrale sembra riguardare – per l’ennesima volta e a distanza di pochi mesi dall’ultima riforma – la correzione e l’integrazione del Codice dell’amministrazione digitale, accusato genericamente di sovrabbondanza e soprattutto di non meglio specificate stratificazioni incongrue.

Il Codice soffre senza dubbio di qualche contraddizione, ma il lavoro di riscrittura condotto a partire dal 2010 lo ha reso sufficientemente organico, in grado di sostenere le trasformazioni organizzative necessarie a creare le infrastrutture e i servizi di un’amministrazione digitale, anche grazie all’impegnativa attività di regolamentazione tecnica che ne ha accompagnato e completato l’elaborazione in sintonia con tutti gli operatori di settore, incluse le associazioni che rappresentavano gli interessi dei cittadini. Non sembra, quindi, questo un obiettivo realmente strategico e convincente di una roadmap ambiziosa che ha certo il pregio di voler offrire (speriamo anche nei fatti e non solo nelle dichiarazioni) trasparenza sugli interventi per un efficiente governo digitale del Paese.

Il processo finalizzato a garantire la ‘fruibilità del CAD’ prevede, peraltro, l’alleggerimento anche delle regole tecniche, anche se nel documento non si chiariscono finalità e modi  dell’intervento e ancor meno le responsabilità e le forme concrete con cui si intende assicurare quella condivisione che pur si dichiara indispensabile strumento di lavoro. Vien da pensare che si voglia fare in fretta (mettendo a rischio l’esigenza di andar lontano). Se questo è il caso, mi sembra utile ricordare al Team che la de-regolamentazione dovrebbe essere condotta con cautela, valutando e sperimentando innanzitutto la qualità dei regolamenti e delle policy esistenti, chiarendo agli interlocutori istituzionali, al mercato e agli utenti dei servizi (che forse sono meno sprovveduti di quanto si immagina) contenuti e fasi della riforma prevista e dimostrando più consapevolezza del lavoro fin qui realizzato con successo da molte istituzioni. Se si vuole costruire un modello solido, si deve ad esempio riconoscere che:

·         l’attuale quadro normativo (costruito con intelligenza su più livelli di disposizioni) non è affatto rigido ed estraneo alla dimensione dinamica dell’innovazione tecnologica,

·         alcune funzioni (ad esempio la gestione informatica dei documenti) godono di una stabilità regolamentare che ben testimonia la corretta formulazione di un dettato  normativo pluriennale,

·         non si tratta di riscrivere disposizioni e regole nuove, ma fornire linee guida e indicazioni operative soprattutto per le amministrazioni pubbliche di piccole dimensioni,

·         le soluzioni  tecnologiche offerte dal mercato sono di gran lunga più carenti della normativa esistente.

Gettare il bambino con l’acqua sporca è un rischio che il Paese non può correre.

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