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Aggiornare la legge 150 per una comunicazione pubblica ai temi del digitale

Le nuove forme di comunicazione pubblica (via social, chat, AI) sono asset fondamentali per un rapporto diretto ed efficace coi cittadini. Bisogna aggiornare la legge 150 e varare serie di misure che aggiornino e valorizzino le competenze nelle PA. Ecco come

Pubblicato il 13 Dic 2018

Francesco Di Costanzo

presidente Fondazione Italia Digitale e Associazione PA Social

social-communication

Il primato dell’Italia in fatto di comunicazione pubblica portata avanti con l’utilizzo dei social network, delle chat, dell’intelligenza artificiale, degli innovativi strumenti messi a disposizione dal web va puntellato con una serie di misure che vanno dal ricambio al possibile inserimento dei comunicatori e delle nuove professioni della comunicazione digitale all’interno dell’Inpgi, da un nuovo modello organizzativo per la comunicazione pubblica che passi da un ufficio “Comunicazione, Stampa e Servizi al Cittadino” alla revisione della legge 150.

Le nuove forme di comunicazione sono infatti un asset fondamentale per un rapporto diretto, efficace ed efficiente tra settore pubblico e cittadini. Il nostro Paese può vantare in questo ambito una posizione di primo piano composta da tante bellissime e utilissime esperienze di servizio pubblico, a cui molti Paesi guardano con interesse nell’ottica di costruzione di un percorso simile fatto di creazione di una comunità/community, di allargamento delle prospettive professionali, di condivisione e scambio di buone pratiche, di aggiornamento e formazione costante, di nuovi servizi e informazioni offerti ai cittadini.

Università e competenze

Non è un caso, negli ultimi tre anni è stato portato avanti un percorso molto ampio e partecipato di sviluppo della nuova comunicazione in tutto il Paese. Di questo parliamo oggi a Palermo per il IX Incontro Nazionale dei Corsi in Scienze della Comunicazione, promosso dalla Conferenza Italiana di Scienze della Comunicazione, al quale partecipo e partecipiamo molto volentieri, sottolineando il ruolo centrale delle università nel percorso di aggiornamento e valorizzazione delle competenze.

Ma entriamo nel merito. Il primo risultato raggiunto in questi anni è stato la consapevolezza, ben sapendo che certi cambiamenti sono prima di tutto un passaggio culturale. Alzi la mano chi avrebbe detto nel novembre 2015 che l’Italia sarebbe stata la prima a livello internazionale ad aver costruito una rete nazionale della nuova comunicazione pubblica con risultati tangibili. Probabilmente nessuno, o pochissimi. Il 17 novembre 2015, infatti, si tengono a Palazzo Chigi i primi Stati Generali della nuova comunicazione pubblica, dedicati alla figura professionale del social media manager, molto voluta e poco riconosciuta (problema ancora attuale, anche se alcune conquiste sono arrivate). Per la prima volta in Italia si mettevano insieme tantissime buone pratiche (molte non sapevano neanche di esserlo) e si iniziavano a mettere dei paletti molto importanti: stare dove sono i cittadini, i social sono uno straordinario strumento di servizio pubblico, serve un grande investimento sulle nuove figure professionali e su una nuova organizzazione della comunicazione pubblica.

Da lì è nato il gruppo di lavoro #pasocial che poi si è evoluto fino a diventare un’associazione nazionale che quotidianamente si occupa di divulgazione, scambio di buone pratiche, formazione, ricerche, pubblicazioni, ampliamento della rete, sviluppo della nuova comunicazione. Il 17 novembre 2015 è stato, quindi, l’inizio di un percorso. Oggi non c’è più nessuno che metta in dubbio l’importanza della nuova comunicazione per il servizio al cittadino, si è passati ad una fase più avanzata, sicuramente più difficile, ma che può e deve portare risultati strutturali. Siamo passati dal dibattito sulla quantità (esserci o non esserci sulle piattaforme di nuova comunicazione) alla qualità (come starci, con quali linguaggi, quale organizzazione, quali figure professionali, quale dialogo e interazione con i cittadini, come offrire al meglio i servizi e le informazioni, con un forte investimento su formazione e scambio continuo di buone pratiche). Dal 2015 a oggi molte cose sono cambiate in positivo: istituzioni nazionali e locali, aziende pubbliche, strutture di vario tipo le troviamo praticamente tutte sui principali social network, in chat, con esperienze di intelligenza artificiale, con siti web più semplici. La comunicazione pubblica è tornata al centro del dibattito. Il merito è sicuramente dell’impatto dei social network, delle chat, dell’intelligenza artificiale, che hanno cambiato radicalmente l’approccio del cittadino e la vita quotidiana nel lavoro di giornalisti, comunicatori pubblici, nuove professioni.

Comunicazione pubblica, social e nuove occasioni

Lavoro, appunto. Sono nate nuove opportunità professionali, nuove occasioni sociali ed economiche, nuove modalità di organizzare la giornata. Il giornalista e il comunicatore pubblico (che da sempre, a torto, si guardano in cagnesco) devono imparare a collaborare, a lavorare insieme e ad avere come obiettivo il miglior servizio possibile per il cittadino. I nuovi strumenti obbligano ad un lavoro comune, da redazione unica, perché per loro stessa natura toccano e influiscono su varie funzioni e uffici della nostra PA (ufficio stampa, ufficio comunicazione, ufficio relazioni con il pubblico, organizzazione di eventi, trasparenza, comunicazione interna, solo per citarne alcuni). In questo senso può essere un passaggio importante il possibile inserimento dei comunicatori e delle nuove professioni della comunicazione digitale all’interno dell’Inpgi, la previdenza dei giornalisti, per poi magari (lo spero) aprire finalmente l’Ordine alle nuove professionalità. Con regole e percorsi chiari, ma aprire e dare una casa a chi non ce l’ha e la meriterebbe.

Comunicazione, stampa e servizi al cittadino

Come associazione PA Social abbiamo proposto un modello organizzativo per la comunicazione pubblica che passi da un nuovo ufficio, l’“Ufficio Comunicazione, Stampa e Servizi al Cittadino”, che tenga conto e valorizzi le singole professionalità, ma che abbia una struttura da redazione unica e diffusa. Molte amministrazioni italiane, sia a livello nazionale che locale, stanno applicando il modello riorganizzando le strutture per offrire un miglior servizio al cittadino e per lavorare meglio al proprio interno. Social media manager, strategist, community organizer, data analyst, visual design, open data, video maker e molte altre. Sono tantissime le nuove professioni legate al web, fondamentali per svolgere un ottimo lavoro di nuova comunicazione al servizio dei cittadini. Purtroppo, molte di queste, non sono riconosciute ed inserite in modo spesso “creativo” e precario nelle nostre amministrazioni. La sana improvvisazione ha creato le migliori esperienze italiane di nuova comunicazione, oggi però serve un salto di qualità, un passaggio strutturale che non può non tenere conto del riconoscimento delle nuove professionalità. Tra i risultati raggiunti di questi anni c’è sicuramente l’inserimento storico di un articolo dedicato alla comunicazione e all’informazione all’interno dei quattro contratti nazionali Statali, Enti Locali, Sanità, Istruzione (sono attesi passaggi di migliore definizione delle funzioni da parte del tavolo attivo in Aran), così come l’utilizzo dei social network in testi ufficiali con invito alle amministrazioni perché li utilizzino per la comunicazione pubblica (molto importante ad esempio quanto inserito nel testo finale della consultazione pubblica sul Foia) o il lavoro in crescita sulle social media policy e il più recente adeguamento specifico per i social sulle normative legate alla privacy.

Aggiornare la legge 150

A completare il quadro magari una nuova legge, un aggiornamento della “150”, che non ha più le caratteristiche per rispondere ai tempi e alle tantissime novità arrivate nel mondo della comunicazione e del giornalismo dal 2000 ad oggi. Una legge “151” che non sia il riferimento di una o poche categorie professionali, ma che parta da un lavoro e da un obiettivo comune coinvolgendo comunicatori, giornalisti, nuove professioni, università. Non basta una legge, non basta un contratto, non basta una riorganizzazione di uffici, servono tutti questi elementi e il lavoro quotidiano (straordinario in molte realtà italiane) di tanti professionisti che hanno già fatto un grande salto culturale e sanno che il riferimento principale della loro attività è il cittadino. Sono cambiati i tempi (oggi per chi fa comunicazione e informazione non funzionano più gli orari rigidi e la mancanza di flessibilità, c’è sicuramente bisogno di un aggiornamento e di maggiore libertà di movimento), gli strumenti (paradossalmente serve di più uno smartphone o un tablet che una scrivania. Senza esagerare, oggi si lavora sempre di più in mobilità, si aggiornano i canali e si risponde ai cittadini anche fuori dalla sede e dall’orario di ufficio), i linguaggi (se la PA si adegua alle regole delle piattaforme su cui scrive il messaggio sarà migliore e funzionerà di più, se la PA parla come i cittadini – senza perdere il proprio ruolo istituzionale – sicuramente otterrà risultati positivi e soprattutto intercetterà molte più persone, se la PA utilizza con la giusta misura strumenti come le emoticon e tutto ciò che semplifica il proprio linguaggio fa sicuramente un’operazione di avvicinamento al cittadino). Tutte queste cose fanno parte di un percorso di crescita del settore pubblico con molto lavoro ancora da portare avanti. L’obiettivo per i prossimi anni è continuare su questa strada e proseguire un percorso di innovazione. Anche per questo abbiamo chiesto una quota minima del 5% di nuove assunzioni per le professionalità della comunicazione e informazione nel turn over annunciato dal Ministro della Funzione Pubblica Giulia Bongiorno. Il ricambio e l’inserimento delle giuste competenze è fondamentale perché la nuova comunicazione sia sempre più la “normalità” e l’evoluzione dei rapporti tra enti, aziende pubbliche e cittadini.

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