Nell’ambito del PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020 (ancora un oggetto in gran parte da scoprire, nonostante siamo già a metà del 2017) è da registrare una buona notizia: l’Autorità di Gestione ha aperto il primo Avviso pubblico per interventi volti al trasferimento, evoluzione e diffusione di buone prassi fra Pubbliche Amministrazioni.
L’ammontare complessivo dell’Avviso è pari 12 milioni di euro, a valere sull’Asse 3 del Programma, Azione 3.1.1. I progetti ammissibili – da realizzare attraverso un partenariato di Amministrazioni – potranno avere una dimensione finanziaria compresa fra 200mila e 700mila euro.
Alle Amministrazioni si chiede di correre, però: la scadenza per la presentazione dei progetti è il 26 maggio, a un mese dall’apertura, il che avrebbe dovuto presupporre l’esistenza di una piattaforma di scambio (applicativa, organizzativa) già in esercizio e in cui questo avviso poteva collocarsi in modo coerente. Come ben espresso da Ciro Spataro, questo non è vero, e la sua assenza rende difficile l’adesione delle Amministrazioni.
Auspicando, naturalmente, che l’Avviso dia i risultati sperati (e che quindi davvero sia “una grande occasione per promuovere forme di cooperazione interistituzionale e diffondere soluzioni e pratiche amministrative tra le più innovative realizzate nel Paese”, come si legge sul sito del PON Governance), mi sembra opportuno proporre alcune brevi considerazioni sulla strategia e sulla governance nazionale intorno al tema della costruzione della PA Digitale e del ruolo delle buone prassi e del riuso.
La governance per il riuso
L’avviso esplicita per la prima volta in senso concreto il “modello PA Open Community 2020” (PAOC 2020), annunciato già nel 2015 dall’Agenzia per la Coesione (frutto di un Protocollo d’Intesa tra Agenzia e Politecnico di Milano), ma senza apparizioni significative fino ad oggi.
Il modello PAOC 2020 intende “supportare la nascita ed il consolidamento di reti di Enti intorno alle best practice italiane ed europee” per “promuovere concretamente l’adozione di modelli a supporto dell’innovazione sostenibile nel lungo periodo e da diffondere risultati e benefici di rilievo, trasferendo conoscenza tra Pubbliche Amministrazioni”. Il modello nasce sulla base di un’analisi delle criticità e delle ragioni del sostanziale fallimento della politica del riuso, ben evidenziata anche dallo stato del “catalogo nazionale del riuso” gestito dall’Agenzia per l’Italia Digitale (21 oggetti inseriti negli ultimi due anni, nessuno ad oggi nel 2017), e identifica un quadro di governance che guarda “al mantenimento e all’evoluzione nel tempo” delle soluzioni.
Ma è questa la strategia nazionale?
Il dubbio sorge proprio perché questo modello non è stato richiamato né dalle azioni fin qui condotte da AgID (e infatti non se ne trova traccia nel documento di Strategia per la Crescita Digitale né sul suo sito web) né da quelle portate avanti dalla Funzione Pubblica (ad esempio, nelle azioni del Piano Nazionale per l’Open Government).
Il “kit per il riuso” definito nell’Avviso, poi, non fa riferimento alle linee guida per il riuso richiamate nel “catalogo nazionale dei programmi riutilizzabili” gestito da AgID. Linee guida, è bene sottolinearlo, composte ancora da un documento del 2009 dell’allora CNIPA e uno del 2012 dell’allora DigitPA, con evidente testimonianza di una bassa attenzione al tema negli ultimi anni. Peccato che AgID sia ancora, istituzionalmente secondo il Codice dell’Amministrazione Digitale, il soggetto incaricato di governare il tema del riuso.
La percezione è che il modello PAOC 2020 sia quindi al momento confinato nell’ambito del Protocollo d’Intesa che lo ha generato e del PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020 che si propone di svilupparlo. Ignorato, o comunque non sostenuto attivamente dagli attori principali dell’organizzazione per la crescita digitale descritta nell’unico documento strategico nazionale oggi presente sul tema. L’impressione dei “silos non comunicanti” è espressa in modo emblematico dall’Avviso, che sul tema dei certificatori di firma digitale riporta “conformemente a quanto previsto dal CNIPA nell’elenco pubblico dei certificatori”.
Qualche suggerimento
Se la situazione è davvero quella che appare, e la mancanza di preparazione all’Avviso (ad esempio, con una piattaforma di supporto allo scambio) sembra esserne una dimostrazione evidente, è molto elevato il rischio che si perda questa “occasione per promuovere forme di cooperazione interistituzionale e diffondere soluzioni e pratiche amministrative tra le più innovative realizzate nel Paese”. La strategia del modello PAOC 2020 o si attua su tutte le iniziative per la crescita digitale, o diventa soltanto un ottimo strumento di gestione di alcune azioni del PON Governance (e quindi con lo spettro temporale del PON stesso). Possiamo permettercelo?
E d’altra parte, può il PAOC 2020 essere un modello utile soltanto per le buone pratiche già presenti e disinteressarsi (o non poter includere) quelle che ancora devono nascere? Si può agire sul riuso senza costruire condizioni solide per la riusabilità (inclusa l’applicazione diffusa dell’indicazione del CAD per l’utilizzo del software libero)?
Il PON Governance deve essere lo strumento principe per costruire la governance della crescita digitale. Ovvio. E questo però obbliga a un coordinamento stretto tra gli attori che questa governance sono chiamati a costruire, rendendo esplicita alle amministrazioni la coerenza e l’organicità degli interventi.
Questo mese ci si aspetta il varo del Piano strategico triennale per l’ICT delle PA. L’auspicio è che il documento possa mettere insieme in modo organico e sistemico i pezzi della governance e della strategia la cui coerenza e completezza sono oggi poco evidenti.