La riforma Madia chiede da mesi di operare forti tagli alle società partecipate. Governo, Regioni e Comuni hanno recentemente trovato un accordo che rischia di essere meno di quanto serva alla digitalizzazione del nostro Paese. Per rimanere in vita, infatti, le partecipate pubbliche dovranno avere un fatturato di almeno 500.000 euro e si ipotizzano a questo proposito aggregazioni di settori non omogenei tra loro. Per le in-house IT tutto ciò significa aumentare le dimensioni e la complessità da presidiare senza aumentare la capacità di impatto sulla digitalizzazione del Paese. Si amplia infatti il fronte delle attività da presidiare con un forte rischio di snaturamento, come ha puntualizzato Mariano Corso. Insomma, per l’ennesima volta si affronta un tema nevralgico alla crescita digitale del Paese dal punto di vista meno adatto: non dell’efficacia, ma della dimensione di efficienza economica.
Il danno è tuttavia più vasto, perché si incide negativamente su una delle debolezze del sistema di governance nazionale sul digitale: la sostanziale incapacità di trovare un efficace bilanciamento tra centralismo e decentramento. Nella loro degenerazione questi diventano irrigidimento centrale (che non tiene conto delle specificità delle diverse amministrazioni e dei diversi territori) e frammentazione (che porta a duplicare sforzi ed energie e a ridondare spese su iniziative simili). Esattamente il contrario di quanto servirebbe.
Bilanciare centralismo e decentramento
Le pessime performance che l’Italia continua a registrare sugli indicatori europei in ambito di politiche digitali, confermate anche dal DESI 2017, sono il frutto di una strategia ancora poco chiara, sviluppata e consolidata senza riuscire a bilanciare efficacemente centralismo e decentramento. È sufficiente pensare a quanto sta succedendo su due iniziative chiave come ANPR e SPID:
- lo sviluppo di ANPR è stato sostanzialmente condotto in modalità “top-down”, senza tener conto delle specificità delle amministrazioni locali; il risultato è che oggi registriamo un ritardo di più di due anni sul piano iniziale di sviluppo e forti pressioni per recuperare tali gap;
- lo sviluppo di SPID non ha considerato alcun ruolo per le PA che già avevano sistemi di autenticazione e quindi “utenti digitali”; il risultato è che l’obiettivo al 2019 è di portare su SPID lo stesso numero di utenti digitali già attivi nel 2015, quando ancora la piattaforma unica di autenticazione non era stata lanciata.
A questi si aggiunge l’assenza di una politica specifica su due delle aree in cui l’Italia è maggiormente indietro:
- le competenze digitali, dove le iniziative nazionali si situano esclusivamente nell’ambito del MIUR;
- lo sviluppo dell’innovazione nelle piccole e medie imprese, dove il piano industria 4.0 rappresenta una risposta importante ma parziale.
La governance per l’attuazione
Il tema della capacità di attuazione continua però a essere la principale criticità. Basta guardare alla distanza presente tra i desiderata del CAD e la capacità di risposta dimostrata da molte amministrazioni (tra cui le istituzioni scolastiche sono senz’altro tra le più deboli). Non riusciamo ad andare al di là dei piani di digitalizzazione: si percepisce con forza dal confronto tra quanto previsto dall’AgID e dal Governo e dallo stato di attuazione delle agende digitali delle amministrazioni regionali e locali.
In quest’ambito, mentre l’ingresso del Commissario Straordinario Piacentini e del suo team sta contribuendo certamente a una accelerazione delle scelte di semplificazione su alcuni temi fondamentali (come il domicilio digitale, che non può più essere messo in sequenza all’attuazione dell’ANPR), la mancanza di una governance di attuazione rimane invariata, lasciando l’AgID come “coordinamento informatico dell’amministrazione centrale, regionale e locale“, senza però che siano definite le modalità che possano permettere all’Agenzia di condurre questo coordinamento in modo sostanziale e anche verso i veri bracci operativi delle Regioni e delle Amministrazioni: le società in-house.
Non solo, ma poiché non è percorribile in modo efficace che sia l’AgID, da sola, a fornire supporto e a esercitare controlli su tutte le migliaia di amministrazioni pubbliche, è necessario che il raccordo con il territorio non sia soltanto a una via, di coordinamento e indirizzo, e che anche dai territori vengano servizi per il supporto sulle iniziative centrali.
Questo significa che i livelli regionale e comunale devono essere in grado di collaborare, co-progettare e, se è il caso, co-realizzare innovazione digitale, valorizzando le esperienze e le eccellenze che già ci sono. Per far questo vediamo due possibili strade, da perseguire in modo organico:
- aggregazioni, accordi e federazioni tra in-house IT di territori limitrofi: facilitando la realizzazione di una copertura territoriale omogenea;
- trasformazione delle in-house IT in agenzie regionali o inter-regionali che, focalizzando ancor di più le organizzazioni in-house verso la qualità del servizio, le avvicinerebbe ancora di più alle amministrazioni, spingerebbe verso una omogeneizzazione territoriale, mettendo a fattor comune realtà regionali e comunali, ma anche spingendo a uno sviluppo virtuoso le regioni dove non sono presenti realtà che consentono di indirizzare strategicamente le politiche dell’innovazione, e rendendo obiettivo anche delle nuove Agenzie lo sviluppo di un indotto virtuoso territoriale.
Un modello a rete
Come già proposto tempo fa, il modello generale può essere quello in cui le Agenzie regionali si muovono in rete come un organismo unico, coordinato dall’Agenzia per l’Italia Digitale. Come già previsto anche dalla commissione speciale per l’Agenda Digitale in ambito di Conferenza delle Regioni, questo potrebbe portare anche a specializzazioni tematiche territoriali, sulla base delle esperienze già realizzate o delle opportunità che vengono dalle specificità locali. Con il coordinamento dell’AgID e alla ricerca continua del bilanciamento tra servizi e piattaforme centrali (abilitanti soprattutto per le piccole amministrazioni) e bisogni specifici di un territorio, tra infrastrutturazione pubblica e quella sviluppata dagli operatori privati, la rete delle Agenzie Regionali potrebbe virtuosamente costituire un modello in cui si realizza lì dove si manifestano prima le esigenze, sapendo che ciò che si realizza è patrimonio comune, con un approccio di Open Innovation (aperto, sempre, alla co-progettazione tra le amministrazioni). Il riuso, quindi, non come opportunità accessoria, ma come elemento costituente del modello, e il cloud (su dati residenti presso un soggetto pubblico) come strumento fondamentale di semplificazione e ottimizzazione. Il cambiamento è profondo e per nulla semplice, attraversando anche temi normativi e del mercato del lavoro, oltre che di politica industriale.
L’approccio per l’impiego dei 50 milioni del PON Governance in ambito Italia Login è, in questo senso, un importante banco di prova, poiché AgID prevede sia di realizzare in modo top-down dei “kit di servizi digitali” sia di raccogliere e selezionare iniziative delle amministrazioni da mettere a fattor comune, producendosi anche in interventi di accompagnamento.
Ecco: se tutto questo sarà fatto secondo il modello a rete che abbiamo cercato di delineare, e non secondo un modello uno-tutti, allora avremo mosso un importante passo verso un nuovo (e probabilmente vincente) percorso.
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*Iacono, Stati Generali dell’Innovazione. Gastaldi, Osservatori Politecnico di Milano