Desi 2018

Italia digitale, perché il ritardo dell’Italia è cronico e fa paura

Il Desi 2018, che inchioda l’Italia nei suoi ritardi, rivela l’incapacità di un cambiamento reale e strutturale. La cultura digitale, in particolare, non attecchisce tra gli italiani. Ed è un problema che ci penalizza molto, sul piano dei diritti sociali e civili. Ecco perché

Pubblicato il 22 Mag 2018

Angelo Alù

studioso di processi di innovazione tecnologica e digitale

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Gli ultimi dati del Desi 2018 confermano due punti.

  • un’Europa a due velocità, in cui il progresso più o meno ampio che si registra in alcuni Paesi non sembra comunque frenare l’inarrestabile gap digitale tra gli Stati digitali più avanzati e gli Stati in ritardo che occupano gli ultimi posti della classifica.
  • un deficit cronico dell’Italia, costretta ad inseguire le performance degli Stati più evoluti, con uno scenario futuro preoccupante nel medio termine, in considerazione di un trend negativo italiano che ormai tutte le versioni periodiche del DESI descrivono come principale fattore di criticità per lo sviluppo di un’economia digitale inclusiva ed efficiente.

Desi, Europa in ritardo

In tale prospettiva, anche tenuto conto della comparazione che l’International Digital Economy and Society Index (I-DESI) fornisce rispetto ai dati che riguardano altri quindici Paesi monitorati nel panorama extra Unione europea (Australia, Brasile, Canada, Cina, Islanda, Israele, Giappone, Corea, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Russia, Svizzera, Turchia e Stati Uniti), l’Europa in generale insegue gli Stati leader mondiali dell’innovazione, a causa del freno derivante dai risultati dei paesi “a medio rendimento” (Spagna, Austria, Malta, Lituania, Germania, Slovenia, Portogallo, Repubblica Ceca, Francia e Lettonia) e dei paesi “a basso rendimento” (Slovacchia, Cipro, Croazia, Ungheria, Polonia, Italia, Bulgaria, Grecia e Romania), a parte le isolate positive prestazioni di Svezia, Danimarca, Finlandia e Paesi Bassi che sembrano stare al passo dei Paesi leader mondiali.

Desi e Italia

Per quanto riguarda la situazione specifica dell’Italia, il nostro Paese raggiunge complessivamente il 25° della classifica (precede solo Bulgaria, Grecia e Romania), ottenendo un punteggio pari a 44.3 (rispetto al 41.4 del DESI 2017), distante quasi 30 punti dal primo posto della classifica occupato dalla Danimarca che raggiunge 73.7 (72.1 nel DESI 2017).

In realtà l’incremento del risultato – comunque ridotto nella misura di un modesto + 2,9 – va contestualizzato nell’ambito di un complessivo aumento della media generale europea, che dunque evidenzia una crescita digitale italiana ben al di sotto degli standard statistici predisposti sul punteggio complessivo dell’Unione europea, pur se la posizione del nostro Paese resti formalmente invariata.

In relazione al parametro della Connettività, rispetto al 25° posto del precedente anno (49.8 a fronte della media europea era del 58.5), l’Italia ottiene un punteggio pari a 52, raggiungendo il 26° posto della classifica attuale (il punteggio della media europea è pari al 62.6 – il punteggio della Danimarca è di 78.5).

Preoccupa il risultato sulla copertura della banda larga ultraveloce (almeno 100 Mbps) che in Italia raggiunge il 22% rispetto alla media europea del 58% (in Danimarca il corrispondente dato è pari al 86%) e la relativa diffusione si ferma al 4,8% rispetto al 15,4% di media europea; mentre per quanto riguarda la banda larga fissa – pur registrandosi un lieve incremento (dal 55% del DESI 2017 al 57% del DESI 2018) – l’Italia è al 28º posto della classifica (la media europea è del 75%).

Si registra invece una maggiore diffusione della banda larga mobile con un dato pari al 86% (11° posto della classifica) e una progressiva crescita della copertura delle reti NGA, che è aumentata dal 72% all’87%, superando la media UE (80%), consentendo all’Italia di passare dal 23° posto al 13° posto della classifica.

Rispetto a tali ultimi dati certamente va riconosciuta l’importanza delle recenti iniziative realizzate nell’ambito del programma operativo del Piano Banda Ultra Larga, che prevedono, tra l’altro, l’assegnazione di ulteriori 2,2 miliardi di euro sulle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione 2014 -2020 e che si aggiungono ai 5 miliardi di euro di fondi pubblici nazionali e ai 3,5 miliardi di euro provenienti dal Fondo sviluppo e coesione (FSC 2014-2020), a sostegno dello sviluppo della banda larga.

Si tratta di interventi che mirano a promuovere la diffusione di infrastrutture connettive ultra veloci su tutto il territorio nazionale, in una prospettiva di graduale riduzione del digital divide strutturale, ma che, allo stato attuale, sembrano lontani dal raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla Strategia, che prevede la copertura di banda larga ultraveloce di almeno 100 Mbps per almeno l’85% della popolazione italiana oltre che in tutti gli edifici pubblici e di almeno 30 Mbps per tutti i cittadini entro il 2020.

Continua ad essere riscontrata una rilevante carenza di competenze digitali, come confermato dal parametro Capitale Umano, che attribuisce all’Italia il punteggio di 40.8 a fronte della media europea di 56.5, molto lontano dal 70.4 della Danimarca, facendo retrocedere il nostro Paese dal 24° posto al 25° posto della classifica (nel DESI 2017 l’Italia aveva raggiunto 39.7 a fronte della media europea del 54.6).

Gli utenti di Internet crescono lievemente di 2 punti percentuali (dal 67% nel DESI 2017 al 69% nel DESI 2018) rispetto all’attuale media europea del 81% (in Danimarca si raggiunge il 95%); sono in possesso di competenze digitale solo il 44% degli italiani rispetto alla media europea del 57% e mancano specialisti ICT (2,6% a fronte del dato europeo del 3,7%).

In generale, circa il 43% degli europei non ha ancora competenze digitali di base: la percentuale di persone che possiede una cultura digitale di base oscilla dal 29% in Bulgaria e Romania all’85% in Lussemburgo, a dimostrazione di un divario digitale cognitivo diffuso “a macchia di leopardo” sul continente europeo.

Poca cultura digitale equivale ad esclusione sociale

L’insufficiente livello di cultura digitale di base costituisce un preoccupante fattore di esclusione sociale poiché non solo preclude l’accesso al mercato del lavoro, in considerazione del fatto che le prospettive professionali richiedono sempre di più il possesso di adeguate competenze digitali, ma soprattutto costituisce un grave pregiudizio all’esercizio di fondamentali diritti sociali, che impediscono il dialogo diretto interattivo con la PA e la fruizione dei relativi servizi pubblici attraverso cui si realizza la cittadinanza digitale.

Al riguardo, sembra mancare una strategia generale definita a lungo termine e in grado di colmare il gap culturale esistente: emblematico il caso della Coalizione per le Competenze digitali, istituita nel 2015 in seno all’AgID, con il compito di sviluppare l’alfabetizzazione digitale e coordinare la realizzazione delle relative iniziative rivolte a cittadini, imprenditori e dipendenti pubblici, è stata progressivamente resa inoperante, malgrado l’elaborazione di 106 progetti predisposti e il coinvolgimento di una rete ampia di organizzazioni, università, centri di ricerca e pubbliche amministrazioni, a dimostrazione di iniziative frammentate ed eccezionali prive di un successivo sviluppo applicativo per la mancanza di una visione strategica generale continuativa.

Dello stesso tenore il Piano Nazionale Scuola Digitale che, pur prevedendo iniziative positive finalizzate a stimolare un graduale processo di innovazione digitale mediante la diffusione della cultura ICT, non risulta supportato dalla previsione di risorse adeguate a superare le attuali criticità esistenti (adeguamento strutture scolastiche, aggiornamento competenze del personale docente in primis).

Sul fronte dei Servizi pubblici digitali, l’Italia ha confermato il suo 19º posto in classifica, con il punteggio di 52.5 rispetto al dato europeo generale di 57.5: particolarmente positivo il risultato relativo all’OpenData, in cui l’Italia raggiunge l’ottava posizione (rispetto al 19° posto dell’anno precedente), con il risultato del 81% che consente al nostro Paese di superare la media europea ferma al 73%. Bene anche l’utilizzo dei servizi di sanità digitale, in cui l’Italia si colloca all’8° posto della classifica.

Certamente il basso livello di competenze digitale vanifica l’efficiente erogazione di qualsiasi servizio digitale, malgrado gli sforzi comunque realizzati con il Piano triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione 2017-2019, che prevede la prioritaria attuazione dei sistemi PagoPA, SPID e ANPR in materia di e-Gov.

Tutto ciò conferma il ritardo digitale sempre più cronico e radicato dell’Italia: nonostante efficaci – sebbene isolate – iniziative adottate negli ultimi anni per stimolare il processo di digitalizzazione nel nostro Paese (Strategia per la crescita digitale 2014-2020, Piano Nazionale Impresa 4.0, Team per la Trasformazione Digitale, nominato con Dpcm del 16 settembre 2018) sembra pesare la mancanza di una visione strategica digitale definita a livello centrale e attuata mediante efficaci processi integrati in grado di coordinare le iniziative di digitalizzazione della pubblica amministrazione ad ogni livello di governance.

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