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Open data pubblici, Italia leader europeo: ma è vera gloria?

Sul fronte dei servizi pubblici digitali, il DESI colloca l’Italia sopra la media Ue, mentre l’Open data maturity report ci vede protagonisti su diversi fronti. Ma vediamo perché è spesso difficile misurare le “dimensioni” digitali e come un alto punteggio non sempre tiene conto di quello che succede veramente nella realtà

Pubblicato il 25 Lug 2019

Vincenzo Patruno

Data Manager e Open Data Expert - Istat

ultrabroadband in italia

Abbiamo scoperto che l’Italia è campione digitale almeno in un ambito. Quella degli Open Data. Lo dice il Digital Economy and Society Index (DESI), che misura i progressi fatti nel campo dell’economia e della società digitale da parte di ogni singolo Paese europeo.

Ma quanto sono affidabili questi dati? E quanto pesano all’interno del bilancio complessivo?

Vediamo di fare chiarezza.

Desi e open data in Italia

In questo caso l’indice l DESI viene utilizzato il risultato dell’ultimo Open Data Maturity Report di cui ho avuto modo di parlare in questo articolo dal titolo “Italia e Open Data,  buona la posizione, ma serve una governance”. Qui il grafico interattivo che ci fa vedere come è posizionata l’Italia su questo indicatore rispetto agli altri Paesi europei. E’ curioso vedere come anche la Grecia, che occupa posizioni di retroguardia praticamente in qualunque classifica, sia in questo caso piazzata in buona posizione.

In realtà anche questo è un indice composito che viene calcolato su quattro dimensioni: Policy, Portale, Impatto e Qualità. E andando a guardare bene, scopriamo come sia sempre molto difficile “misurare” cose in modo adeguato.

Nel caso dell’Italia, viene ad esempio premiata l’automazione del processo di “harvesting” dei metadati da parte del portale nazionale dati.gov.it. Ricordo che dati.gov.it è un “metacatalogo”. Contiene infatti le informazioni (i metadati, appunto) relativi ai dataset pubblicati sui tanti portali Open Data locali. E’ un catalogo che quindi si alimenta periodicamente in modo automatico dei contenuti dei singoli cataloghi federati.

L’Open Data Maturity Report “premia” sia il grado di automazione (su cui l’Italia ottiene il punteggio massimo) e sia l’adozione dell’attuale standard di riferimento per la trasmissione dei metadati (DCAT-AP)

I limiti dei dati Desi su open data

Il risultato però è che se da una parte questa cosa consente all’Italia di ottenere punteggi molto alti, dall’altra ha avuto l’effetto di dimezzare il numero di dataset presenti nel portale nazionale. Tantissimi enti, Istat compreso, non compaiono infatti più oramai da tempo all’interno di dati.gov.it. Un catalogo Open Data “alternativo” privato con dentro invece tutti gli enti produttori di dati aperti viene mantenuto in alternativa a quello ufficiale. Certo, ci sarà forse un giorno la Piattaforma Nazionale Digitale Dati. Forse!

Viene premiato anche il “Data and Metadata Currency”, che misura quanto vengono aggiornati i dati e i metadati, ossia le descrizioni associate ad ogni dataset. Viene rilevato che ad esempio l’aggiornamento dei metadati avviene in Italia nel 70% su base settimanale. Mi è venuto quindi in mente, mentre scrivevo questo articolo, di verificare la cosa, “scrapando” i dati di dati.gov.it. Ci sono volute quasi una decina di ore di scraping automatico ma alla fine ho ottenuto un dataset con alcune informazioni relative a tutti i dataset presenti al momento su dati.gov.it.

Il dataset si può scaricare da qui. Certo, è sorprendente vedere che effettivamente quasi il 70% dei dataset ha la data di ultima modifica dei metadati che risale al 2019 e vedere nello stesso tempo come la stessa data di ultima modifica valga anche per una quantità enorme di dataset morti e sepolti da tempo (vi suggerisco a questo proposito di leggere “Dieci anni di Open Data: ora servono dati vivi”). Sono solo un paio di esempi che mostrano come è spesso difficile misurare fenomeni e come un alto punteggio non sempre tiene conto di quello che succede veramente nella realtà.

Cosa dice il Desi del digitale italiano

Il tutto va messo nel contesto giusto, ossia quello allargato fotografato dal Desi.

L’indice DESI è un indice “composito”, ossia è il risultato della aggregazione opportuna di un certo numero di indicatori elementari che sono rappresentativi per il fenomeno che si vuole misurare. Un indice composito consente pertanto di descrivere in modo sintetico l’evoluzione di un determinato fenomeno e l’indice DESI è uno di quelli che vengono utilizzati per provare a misurare lo stato di digitalizzazione di un Paese.

Tecnicamente il DESI si sviluppa su 5 dimensioni, Connettività, Capitale umano, Uso di servizi Internet, Integrazione delle Tecnologie Digitali e Servizi Pubblici Digitali ognuna delle quali è a sua volta suddivisa in un insieme di “sottodimensioni”, in totale 14 che sono quelle a cui fanno riferimento i 44 indicatori individuali (qui la nota metodologica). E come è accaduto negli anni passati, l’Italia resta stabile nelle posizioni di retrovia.

In sintesi, il DESI ci racconta di un’Italia che è sicuramente cresciuta per quanto riguarda la Connettività Gli investimenti fatti a riguardo della banda larga veloce stanno dando il proprio effetto e buone notizie arrivano anche dalle sperimentazioni sul 5G.

Ma siamo molto indietro per quanto riguarda il Capitale Umano e di conseguenza sull’Uso di Servizi Internet. Capitale Umano che “pesa” il 25% sul calcolo dell’indice complessivo, come accade anche per la Connettività, dando una idea ben precisa su quelle che sono le priorità delle politiche Europee sul digitale.

Viene poi facile immaginare come la demografia non aiuta l’Italia. l’Italia è il Paese con il più alto indice di vecchiaia d’Europa, ossia il rapporto tra gli anziani (65 anni e più) e i giovani (15 anni) e questo lo ritroviamo anche nell’indice. E’ significativo scoprire infatti come ci sia ancora un 19% della popolazione che non ha mai utilizzato Internet. Una persona su 5. Nel 2019!

L’Italia resta indietro anche per quanto riguarda l’Integrazione delle Tecnologie Digitali. In generale le imprese innovano e si rinnovano poco su questo fronte, riuscendo a sfruttare molto poco le potenzialità del commercio elettronico, dei Big Data, del Cloud.

Il fronte dei servizi pubblici digitali

Ma è sul fronte dei Servizi Pubblici Digitali che l’Italia si piazza decisamente meglio. Seguo da diverso tempo la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione ed è proprio su questa dimensione che vorrei spendere qualche parola di più, non soltanto di commento ai dati del DESI ma facendo anche qualche considerazione sulla situazione italiana.

I Servizi Pubblici “pesano” il 15% sul calcolo dell’indice complessivo e vengono “misurati” su due dimensioni: la Sanità Digitale e l’eGovernment.

I servizi di sanità digitali sono quelli vanno dalla prenotazione on-line di una prestazione al pagamento del ticket, all’accesso al fascicolo sanitario elettronico, alla scelta del medico, al referto on-line. In realtà viene calcolato un indicatore che è la “percentuale di persone che ha usato servizi di sanità online senza quindi andare in ospedale o dal medico”. In questo grafico vediamo come l’Italia si posiziona addirittura al di sopra della media europea, al di sopra di paesi come la Francia la Germania e poco al di sotto della Spagna. Ho scelto questi Paesi in quanto sono tra le economie più avanzate del mondo e, come l’Italia, sono membri del G7. A questi vale la pena di aggiungere la Spagna in quanto è un Paese molto dinamico sul fronte del digitale e da cui possiamo decisamente imparare molto. Ah, i dati vengono da questa pubblicazione che risale al 2017 ed è l’unico dato al momento disponibile. Il DESI riutilizza dati ottenuti da studi, analisi e statistiche già disponibili.

In conclusione

L’Italia cresce nell’ambito del digitale, ma lo fa al rallentatore. E poiché crescono anche gli altri Paesi, il risultato è che ci posizioniamo davanti soltanto a Polonia, Grecia, Romania e Bulgaria. Troppo, troppo poco per un Paese come il nostro. A questo proposito vale la pena ricordare come PIL di un Paese e la sua maturità digitale vadano a braccetto, come sottolineato in più circostanze anche qui su Agendadigitale.eu. Diventa quindi una vera e propria emergenza per il nostro Paese puntare in modo deciso e con efficacia sul digitale. Diventa vitale per la competitività e la sopravvivenza dell’intero nostro sistema produttivo.

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