la circolare

Psd2 e PA, il servizio di tesoreria: tutti i chiarimenti del MEF

Il recepimento della PSD2 ha dato l’occasione per ripensare l’impatto delle norme sui servizi di pagamento per la PA e trovare delle idonee soluzioni alle criticità in essere in tema di servizi di tesoreria. La svolta è con una recente circolare MEF. Ecco i punti problematici, i chiarimenti e le soluzioni operative

Pubblicato il 24 Lug 2018

Rita Camporeale

Responsabile Ufficio Sistemi e Servizi di Pagamento, ABI

psd2

La PSD2 si applica in toto agli enti della PA e che non ci sono motivi per limitarne l’applicazione. Servono tuttavia regole specifiche ed è necessario individuare le peculiarità del servizio di tesoreria. E’ il senso di una recente circolare MEF (22 del 15 giugno), che finalmente chiarisce alcuni punti critici, risponde a preoccupazioni degli operatori, risolve tutti i punti problematici, con chiarimenti interpretativi e uniformi soluzioni operative.

Se ancora qualcuno dovesse aver dubbi in merito alla peculiarità dei rapporti banche/enti per lo svolgimento dei servizi di tesoreria rispetto a tutti gli altri comparti di operatività bancaria, dovrebbe quindi ora ricredersi. E’ quanto risulta per altro analizzando il tema PSD – Payment Services Directive – e il suo sofferto iter di individuazione dei criteri applicativi nei confronti degli enti pubblici.

I due elementi alla base della complessità

Sintetizzando la tematica, potremmo affermare che le complessità trovano origine in due fattori basilari.

La natura pubblica del soggetto

Il primo, di tutta evidenza, è che la natura pubblica del soggetto, votato al perseguimento di obiettivi di interesse per la collettività, condiziona la sua operatività rendendo spesso di complessa applicazione norme destinate ad operatori aventi natura privata. Il Legislatore ha ben presente la questione: basti pensare in proposito alle specifiche normative di finanza pubblica e locale che spesso riguardano istituti che, nel mondo privato, hanno tutt’altra fonte normativa e disciplina assai diversa (per citarne alcuni si considerino le regole sull’indebitamento; la specifica disciplina dei mutui e prestiti, le regole sul pignoramento e sul fallimento – rectius dissesto – le discipline delle delegazioni o delle anticipazioni, uguali solo nel nomen a quelle riferite ai soggetti privati).

Ne consegue che alla Pubblica Amministrazione, per gli svariati aspetti del suo operare, si applicano due tipologie di norme:

  • quelle specifiche di finanza locale (quale ad esempio il TUEL – testo unico dell’ordinamento degli enti locali – o le numerose altre norme il cui ambito di applicazione è individuato nella PA);
  • quelle di altra natura rivolte indistintamente a tutti i soggetti indipendentemente dal loro connotato, pubblico o privato. In questa ultima circostanza, l’esperienza ha dimostrato che l’applicazione agli enti pubblici ha comportato, nella generalità dei casi, complessità interpretative e dubbi operativi che spesso hanno richiesto chiarimenti da parte delle competenti Autorità e/o adattamenti applicativi.

A questa ultima tipologia appartengono le direttive europee in materia di pagamenti e le connesse norme di recepimento, per le quali, come vedremo nel dettaglio, la concreta ed efficace applicazione è stata di fatto procrastinata di quasi nove anni.

In generale, la complessità del quadro normativo di riferimento è ben nota alle banche, tradizionalmente impegnate nello svolgimento dei servizi di tesoreria e di cassa; è di tutta evidenza infatti che i rapporti della specie danno luogo ad un’operatività peculiare che richiede una conoscenza approfondita del contesto normativo di riferimento e la necessità di seguirne l’evolversi per l’incidenza diretta o indiretta che ne deriva sullo svolgimento dei rapporti stessi.

La figura del tesoriere

Il secondo fattore basilare, strettamente collegato – o, meglio, conseguente – al primo (natura pubblica del soggetto e condizionamento della sua operatività) è rappresentato dall’obbligo per gli enti della PA di movimentare le proprie disponibilità, in entrata ed uscita, solo ed esclusivamente attraverso l’interposizione di un soggetto terzo (appunto, il tesoriere/cassiere) il quale è chiamato ad eseguire pagamenti e riscossioni, movimentazioni che, altrimenti, non potrebbero essere effettuate. Insomma, sempre a garanzia della trasparenza dell’operato pubblico, il concreto maneggio del denaro è sottratto alla PA e demandato ad un soggetto terzo che opera sulla base di procedure stringenti e garantisce la regolarità di esecuzione.

è evidente come la PA non sia dunque in grado di operare come un privato impegnato nella movimentazione diretta di un proprio conto corrente; da qui le difficoltà di applicazione di una normativa che pur riferita a tutti i soggetti richiedenti servizi di pagamento è in concreto tarata su quelli di natura privata.

L’orientamento del Legislatore nel 2010

Con l’emanazione del decreto attuativo n. 11/2010 il tema dell’applicazione della PSD alla PA fu sostanzialmente rinviato ad una normativa di secondo livello; infatti il Legislatore, consapevole delle peculiarità del comparto enti pubblici e delle difficoltà di calarvi sic et simpliciter le norme comunitarie in tema di servizi di pagamento, dispose (art. 37, comma 6) che tempi e modalità di applicazione alla PA fossero demandati ad apposito decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia.

Il decreto non è mai stato emanato e negli anni l’assenza di regolamentazione ha comunque comportato incertezze interpretative e difficoltà operative; infatti, il consolidamento dei principi della PSD – improntati sostanzialmente alla imposizione di regole volte ad aumentare la concorrenza tra prestatori di servizi di pagamento e nel contempo a innalzare il livello di protezione per gli utenti consumatori – ha fatto sì che insorgessero via via perplessità in ordine al mantenimento, pur in presenza di un obiettivo vuoto normativo (assenza del previsto decreto), di comportamenti potenzialmente non allineati in modo perfetto con i predetti principi; d’altra parte non vi era modo di trovare soluzioni operative sulle quali neanche il Legislatore risultava in grado di esprimersi avendo di fatto rinunciato alla emanazione del decreto attuativo.

I criteri di remunerazione dei servizi

L’elemento più delicato appariva quello dei “criteri di remunerazione dei servizi” Infatti, i servizi di tesoreria e di cassa per conto di enti pubblici prevedono nella generalità dei casi un sistema di remunerazione che non comporta oneri – ovvero li comporta solo in parte – nei confronti dell’ente gestito. Da tempo si è infatti consolidata una prassi in base alla quale gli enti tendono a porre a gara i servizi della specie prevedendone la gratuità e talora l’assenza di oneri riferiti ai costi vivi sostenuti dall’operatore economico nel corso della gestione, concetto diametralmente opposto a quello della Direttiva secondo cui “Gli Stati membri prescrivono cheil beneficiario e il pagatore sostengano ciascuno le spese applicate dal rispettivo prestatore di servizi di pagamento”.

Il contesto normativo di finanza locale inerente in particolare gli enti locali ha tradizionalmente favorito tale impostazione dando luogo a situazioni di equilibrio basate, tra l’altro, su meccanismi contrattuali di recupero indiretto dei costi nelle fasi di effettuazione delle operazioni di pagamento.

In questo ambito si inserisce in particolare la specifica procedura – tuttora presente in un numero significativo di contratti di tesoreria – per il rientro delle spese sostenute in sede di esecuzione di pagamenti comportanti l’effettuazione di bonifici su conti intrattenuti presso altre banche (modalità che le norme di finanza locale, con un’impostazione ormai non più attuale, continuano a definire “agevolata” in contrapposizione al pagamento per cassa).

In particolare, il TUEL ha continuato a mantenere un assetto analogo a quello già esistente negli anni ‘80 disciplinando le “modalità agevolative di pagamento” così come erano previste nell’ambito del DPR n. 421 del 1979 e, successivamente, nel decreto legislativo n. 77 del 1995, precursore dell’attuale TUEL. Con riferimento a tali modalità agevolative, gli enti hanno continuato a tener conto della circolare ministeriale F.L. n. 10 del 1980, nell’ambito della quale veniva precisato che “le spese vive inerenti le modalità agevolative di pagamento sono a carico del richiedente che, ove non desideri sostenerle, è libero di non attivarle e di recarsi a riscuotere (per cassa)”.

L’impostazione ministeriale teneva in debito conto la circostanza che i pagamenti diversi da quelli per “cassa”, pur effettuati nello svolgimento di un servizio di tesoreria, possono comportare – specie nelle ipotesi di pagamento in conto corrente bancario presso banca diversa da quella svolgente funzioni di tesoreria – l’attivazione di sistemi di pagamento interbancari fonte di spese vive per la banca ordinante, e come tali indipendenti, almeno in via di principio, dal rapporto di tesoreria convenzionalmente disciplinato.

Servizi in regime di gratuità

Molti enti, in un contesto di progressiva carenza di risorse e pur in presenza di una crisi dei servizi di tesoreria interessati dal fenomeno delle “gare deserte”, hanno continuato a richiedere servizi in regime di gratuità e assenza di copertura dei costi; hanno altresì confermato l’applicazione dei principi collegati alle modalità di pagamento “agevolative” comportante l’onere dell’accredito a carico del beneficiario che ha opzionato la modalità di pagamento autorizzando il tesoriere a trattenere dall’importo del mandato l’ammontare delle spese.

Le banche, a quanto risulta, hanno adottato costantemente un atteggiamento di cautela nell’applicazione di un principio che pur nella fondatezza giuridica si è basato su un concetto (la modalità agevolativa di pagamento) che, nel contesto evolutivo dei servizi di pagamento, è andato via via perdendo il suo significato originario. L’assetto descritto, infatti, non ha da tempo più riguardato le tipologie di pagamenti inerenti stipendi ed emolumenti ed è stato attuato solo in presenza di indicazioni specifiche all’interno dei contratti.

Come si diceva, tale situazione, negli anni, ha comunque fatto sorgere delicate problematiche talora sfociate in contenziosi con i soggetti beneficiari ben a conoscenza dei diritti loro riservati dalla PSD (in primis quello di non dover sostenere i costi di servizi resi ad altri); anche tale profilo ha contribuito ad aggravare il fenomeno delle “gare deserte” elevando rischi ed oneri connessi alla prestazione dei servizi di tesoreria in un contesto di incertezza normativa.

L’attuale orientamento del Legislatore: la circolare MEF

L’occasione per ripensare l’impatto delle norme sui servizi di pagamento per la PA e trovare delle idonee soluzioni non poteva sfuggire al Legislatore impegnato nel recepimento della PSD2. In fase di emanazione del decreto legislativo n. 218 del 2017 si è infatti stabilita “l’abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2019”, dell’art. 37, comma 6, del D.lgs. n. 11 del 2010.

In un primo momento questa formulazione ha creato talune perplessità interpretative in quanto poteva far pensare ad una possibile scenario nel quale, in assenza di ogni forma di regolamentazione e con tutte le difficoltà del caso (non diverse da quelle riscontrate dal 2010 in poi) si dovesse in ogni caso ed al più tardi entro il 31 dicembre 2018 superare, nell’ambito delle convenzioni di tesoreria e nella connessa operatività, ogni forma di contrasto con i principi e le regole dettati dalla PSD2. Dal primo gennaio 2019 non v’è infatti più dubbio circa l’illegittimità di procedure non in linea con il dettato comunitario, diretta conseguenza della caducazione della norma “paracadute” inerente l’emanazione del decreto attuativo.

In questo scenario sarebbero rimaste irrisolte una serie di annose questioni che invece avrebbero richiesto l’individuazione di soluzioni giuridiche ed operative e/o chiarimenti interpretativi. Emergevano, tra gli altri, i seguenti profili

  • tempi di esecuzione dell’ordinativo dell’ente variamente disciplinati nelle convenzioni e non riconducibili ai tempi sanciti dalla PSD;
  • criteri di ripartizione delle spese e divieto di decurtazione di importi, contrastanti con l’assetto tradizionale dei rapporti di tesoreria;
  • rimborso di addebiti diretti ai sensi della PSD, difficilmente applicabile all’operatività di tesoreria;
  • accessibilità on line tramite terzi prevista dalla PSD2 e contrastante con l’operato della PA;

La preoccupazione insorta all’indomani della emanazione del predetto decreto legislativo n. 218/2017 è stata fugata dalla tempestiva attivazione del MEF il quale, sensibile anche ai contributi pervenuti dagli operatori interessati, ha potuto emanare in tempi relativamente brevi un’apposita circolare in materia nella quale sono trattati tutti i punti problematici, con chiarimenti interpretativi e uniformi soluzioni operative.

Il documento ha il pregio di aver conciliato due presupposti di non semplice soluzione: da un lato, ha ribadito, interpretando il dettato normativo del decreto legislativo 218, che la PSD si applica in toto agli enti della PA e che non sussistono motivi per limitarne l’applicazione; dall’altro ha riconosciuto ufficialmente la necessità di regole specifiche e si è posta l’obiettivo di individuare le peculiarità del servizio di tesoreria rinvenendo le soluzioni operative atte a consentire la corretta applicazione dei principi della Direttiva.

La circolare si occupa innanzitutto dei criteri di adeguamento delle convenzioni in essere precisando che è possibile procedere senza l’indizione di una nuova gara modificando le convenzioni per gli aspetti operativi (tempi di esecuzione, modalità di pagamento, rimborso SDD, ecc.) e, di conseguenza, anche per l’eventuale ripristino del sinallagma contrattuale.

I tempi di esecuzione dei pagamenti

In merito ai tempi di esecuzione dei pagamenti è stato opportunamente sottolineato che il servizio di tesoreria/cassa è un servizio articolato che non si esaurisce nella mera esecuzione di operazioni di incasso e pagamento, ma prevede una serie di ulteriori obblighi e adempimenti a carico dei tesorieri/cassieri, discendenti dall’applicazione di norme di rango primario o secondario, che rendono il rapporto tra la pubblica amministrazione e la banca non agevolmente inquadrabile nello schema di riferimento delineato dalla PSD.

Si è ritenuto pertanto di affermare che il momento della “ricezione” ai sensi della PSD si pone al termine di questi adempimenti, quando cioè la disposizione di pagamento è pronta per essere trasferita alle procedure di pagamento. Nel concreto, si è sancita la possibilità di usufruire di una ulteriore giornata operativa rispetto alla data in cui il mandato è pervenuto materialmente al tesoriere/cassiere; tenuto conto dei principi generali in tema di esecuzione dei pagamenti, le giornate ulteriori diventano due laddove l’ordinativo sia ancora su supporto cartaceo.

L’accesso ai conti on line

Riguardo all’accesso ai conti on line si è preso atto che i conti di tesoreria non rientrano nel novero dei conti di pagamento accessibili con tale modalità, così come definiti dalla PSD. La previsione in esame non è infatti conciliabile con le norme di finanza locale che, nel rispetto dei principi di cautela nel maneggio di denaro pubblico, attribuiscono in via esclusiva al tesoriere incaricato la movimentazione del conto.

Il rimborso incondizionato nel Sepa Direct Debit

Profilo di complessa soluzione è stato affrontato in tema di rimborso incondizionato nel Sepa Direct Debit. Si è trattato infatti di conciliare il diritto incondizionato del pagatore al rimborso entro le otto settimane con i principi di gestione della tesoreria che non consentono di ripristinare la situazione dei conti preacquisizione dell’importo al bilancio dell’ente. Riportando queste norme nel mondo delle pubbliche amministrazioni, è stato riconosciuto che la richiesta di rimborso deve essere coordinata con le procedure contabili di disposizione dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni. Escludendo la possibilità di lasciare in sospeso fino allo scadere del termine delle otto settimane le operazioni di incasso conseguenti, per gli evidenti risvolti negativi in termini finanziari per il settore pubblico, le eventuali richieste di rimborso presentate dai pagatori sono soddisfatte direttamente dal tesoriere pro tempore con un pagamento di propria iniziativa (considerato come nuovo pagamento) mediante sospeso sulla contabilità dell’ente che successivamente provvederà a regolarizzare.

Ripartizione spese e divieto di decurtazione di importo

Il tema più delicato inerente il criterio ripartizione spese e divieto di decurtazione di importo è stato affrontato ribadendo innanzitutto che la PSD stabilisce che, in esecuzione di un’operazione di pagamento, i prestatori di servizi di pagamento “trasferiscono la totalità dell’importo dell’operazione e non trattengono spese sull’importo trasferito”.

La logica che caratterizza le norme in materia di addebito di commissioni e spese bancarie al pagatore o al beneficiario risponde al principio essenziale in base al quale i due soggetti possono essere chiamati a sostenere solo le spese applicate dai rispettivi prestatori di servizi di pagamento e non anche le commissioni che servono a compensare gli oneri del prestatore di servizi di pagamento dell’altro soggetto. Da ciò discende il divieto di decurtare la somma riconosciuta al beneficiario degli oneri sostenuti dal prestatore di servizi di pagamento del pagatore, pratica fin qui adottata nell’ambito dei servizi di tesoreria/cassa svolti per conto della PA.

In proposito è stato dunque sancito che l’applicazione della PSD2 alla PA comporta per l’ente la necessità di sostenere l’onere del servizio prestato a suo favore facendosi carico delle commissioni al pari di ogni altro utente dei servizi di pagamento. Le vigenti convenzioni, qualora contrarie a tale prescrizione, devono dunque essere riviste e adeguate entro la fine dell’anno in corso.

Verso una ripresa del mercato delle tesorerie

I chiarimenti in tema di PSD rappresentano un significativo tassello in termini di chiarezza operativa, razionalizzazione, certezza del contesto normativo di riferimento, tutti elementi richiesti a gran voce dagli operatori interessati ai fini di un’auspicata ripresa del mercato delle tesorerie, ormai da tempo in crisi e caratterizzato dal fenomeno delle gare deserte.

Tale profilo positivo si accompagna a quello ottenuto in sede di emanazione della legge finanziaria per l’anno in corso e riferito (tramite modifica alle norme sul “dissesto” contenute nel TUEL) alla esclusione dei crediti vantati dalla banca tesoriera per anticipazioni di tesoreria dalla massa passiva di competenza dell’organo straordinario di liquidazione (art 1, comma 878 della legge n. 205 del 2017). Finalmente si è con ciò realizzato un assetto confacente con il peculiare istituto dell’anticipazione che, come è noto, assume una configurazione del tutto unica nel contesto dell’operatività bancaria, essendo uno strumento gestionale con funzione di mera copertura per esigenze di elasticità di cassa e non una forma di finanziamento/indebitamento.

In linea con questa scia positiva occorrerebbe attuare un ulteriore intervento sul TUEL eliminando la funzione (ormai non più rispondente ad una effettiva esigenza, tenuto anche conto dell’evoluzione del contesto di riferimento) di “controllo” del tesoriere sul rispetto da parte dell’ente dei limiti di bilancio ovvero dei limiti posti dall’elenco dei residui in relazione ai pagamenti disposti con regolare ordinativo.

L’eliminazione di tale controllo non inciderebbe su ruolo, funzioni e responsabilità del tesoriere per il quale rimarrebbero applicabili tutte le disposizioni previste dal TUEL; si tratterebbe, meramente, di eliminare previsioni non conciliabili con il contesto di autonomia sempre più ampia attribuita agli enti, i quali da tempo non soggiacciono più ad alcun controllo esterno di merito e di legittimità ma trovano al loro interno i naturali presidi procedurali per un corretto agire amministrativo.

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