L'idea

Una Cloud Strategy per digitalizzare la PA

L’Italia intende darsi una G-Cloud. Una piattaforma-nuvola per sposare il digitale. Ma le Regioni già si muovono in questa direzione e il problema è sempre lo stesso: serve una regia. Basta copiare le esperienze straniere. Ecco la ricetta

Pubblicato il 22 Mar 2013

Paolo Colli Franzone

presidente, Osservatorio Netics

Il ruolo che l’Agenda Digitale (o, per meglio dire, quel poco che è stato scritto e formalizzato nei provvedimenti governativi emanati negli ultimi mesi di Governo Monti) riserva al Cloud è di tutto rispetto: uno scenario all’altezza dei Paesi leader nel processo di modernizzazione delle infrastrutture asservite alla digitalizzazione sia dei processi “interni” alla PA che delle modalità di interazione con cittadini e imprese.

Un Cloud centrale, quindi: un vero “G-Cloud”, visto anche come “rifondazione” dei paradigmi del Sistema Pubblico di Connettività e Cooperazione (SPC).

Avremo, prima o poi, i data center “nuovi di zecca” destinati a “far da nuvola” per la PA italiana, come da copione scritto da Corrado Passera e colleghi. Si arriverà a una forte razionalizzazione dell’infrastruttura IT dei ministeri e dei vari enti della PA centrale (i famosi “mille data center” censiti dall’allora DigitPA, oggi Agenzia).

E fin qui, tutto bene.

Nel frattempo, vale la pena di capire cosa stanno facendo le Regioni, dato che un “vero” G-Cloud non può non essere concepito a valle di un disegno complessivo teso a non riproporre sulle nuvole la frammentazione e l’incomunicabilità che hanno caratterizzato le prime due generazioni di sistemi informativi della PA italiana.

Di Cloud, nelle Regioni e Province Autonome italiane, si parla già da tempo; e – fortunatamente – in molti casi siamo già andati avanti rispetto al semplice “parlarne”. Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Piemonte, Provincia Autonoma di Trento risultano aver già avviato progetti di “trasloco sulle nuvole”; la Lombardia e il Veneto sperimentano e progettano; gli altri, studiano e cercano fondi. Nelle Regioni del mezzogiorno, anche grazie ai fondi strutturali, si lavora alacremente per riprogettare architetture e modelli di deployment “sul Cloud”.

Tra poco meno di due mesi, l’Osservatorio Assinform sull’IT nella PA e Sanità italiana pubblicherà i risultati di una ricerca recentissima (svolta da Netics e NetConsulting) finalizzata a quantificare e qualificare nel dettaglio le “Cloud Strategies” di Regioni, autonomie locali, aziende sanitarie e ospedaliere. E non solo le strategie: in alcuni casi (anche se non moltissimi), siamo già davanti a progetti e iniziative avviate e in produzione.

Sul fronte dell’offerta, i produttori di tecnologie e i vendor/system integrator dispongono di un portafoglio di competenze, prodotti, soluzioni e servizi praticamente allo stato dell’arte, con la sola eccezione dei piccoli e medi ISV (le “software house”) che manifestano un ritardo non indifferente nell’adeguamento della loro offerta e – soprattutto – nel comprendere la necessità di ribaltare i loro modelli di business.

La buona notizia è che, anche grazie ai recenti bandi sulle “smart cities and communities”, chi vuole fare sul serio ricerca e sviluppo di nuovi prodotti e servizi innovativi (anche sul Cloud) avrà prestissimo a disposizione i cofinanziamenti e l’accesso a capitale finanziario a condizioni agevolate per poterlo fare.

Anche qui, tutto bene. C’è un problema, però.

Ed è il solito: la regia. La definizione di una visione di insieme e la stesura di un piano industriale per il G-Cloud.

Si lavora “per tavoli”, questo è vero: ci si parla, si condividono idee e – in qualche caso – progetti. Ma, probabilmente, tutto questo non è sufficiente.

Anche in questo caso, non ci sarebbe niente da inventare: basta copiare.

USA, Canada, Regno Unito, Francia. Tralasciando realtà e casi dimensionalmente troppo piccoli per essere comparati.

Ingredienti della ricetta:

  • Un Presidente/Premier che ci crede, aiuta parecchio; un CTO (o, se vogliamo, un “Digital Champion”) capace di diventare “il regista”; un gruppo di CIO (nei Ministeri, nelle Regioni, in Sanità) determinati a collaborare.
  • Ingrediente segreto: comprendere che il regista, come cinema e teatro ci insegnano, è uno e uno solo, e – quasi sempre – ha un pessimo carattere e ama avere l’ultima parola. Il che non significa “centralismo”, “autoritarismo”, o qualsiasi altra parola che finisca in “ismo”: significa più semplicemente superare la logica dei tavoli autocelebrativi e il “parliamo, discutiamo, poi tanto io faccio quello che mi pare perché sono autonomo”. Salvo errori, è ancora vigente l’art. 117 della Costituzione. Il quale dice che il coordinamento dei sistemi informativi di stato, regioni e autonomie locali è di competenza esclusiva dello Stato. Che il nostro “Digital Champion” usi il 117 come “arma di ultima istanza”: troviamo un accordo che vada bene a tutti, altrimenti “117!” et voilà.
  • Le Regioni, soprattutto quelle storicamente “più avanti”, possono e devono giocare un ruolo determinante. Evitando, se possibile, la moltiplicazione per 21 (contando le due Province Autonome di Bolzano e Trento) della riscoperta dell’acqua calda. Non si sente la necessità di ventuno fascicoli sanitari elettronici, ventuno sistemi informativi per il bollo auto, ventuno piattaforme di CMS, eccetera.
  • Si metta mano alle norme che intralciano processi di cooperazione inter-regionale, a partire dal patto di stabilità e dalle limitazioni poste alle società ICT “in-house” dall’art. 13 della Legge Bersani (occorre derogare dal principio di divieto generalizzato per le attività commerciali extraterritoriali, consentendole solamente nei casi in cui si tratti di supporto tecnico a progetti di riuso e/o sviluppo congiunto di piattaforme, prodotti e servizi).
  • Si avvii, soprattutto, un regime di pieno partenariato pubblico-privato a livello di sistema, attraverso una costante attività di audizione e di coinvolgimento propositivo dei vendor internazionali e nazionali. Il compito da assegnare a tutti è quello di contribuire alla stesura di un Master Plan.
  • Alla politica, il compito (non banale e niente affatto scontato) di crederci fino in fondo. Rottamando, una volta per sempre, la mitologia della “innovazione a costo zero”.

L’obiettivo è quello di arrivare a “somma zero”, dove gli investimenti sono capaci di ripagarsi con le economie conseguite.

Consapevoli (speriamo) che i tanti messaggi giunti a Palazzo dalle urne elettorali sortiscano un qualche effetto. E tra questi messaggi, ricordiamocelo, ce ne sono parecchi che parlano di modernizzazione, semplificazione, razionalizzazione. Agenda Digitale, per intenderci.

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