Abitare Facebook, una mappa

Matura il rapporto tra italiani e social network. Quattro quadranti di comportamento identificati da una ricerca del Social network studies Italia. Gli utenti comunicano con una presentazione del sé più o meno selettiva e scegliendo se mescolare la sfera pubblica e privata. La privacy diventa un fattore centrale dell’esperienza sul network

Pubblicato il 26 Nov 2013

Giovanni Boccia Artieri

Università di Urbino Carlo Bo

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Abbiamo capito che gli italiani stanno imparando a cogliere le vere opportunità offerte da un social network come Facebook. Emerge dalla ricerca Relazioni sociali ed identità in Rete: vissuti e narrazioni degli italiani nei siti di social network, condotta con 120 interviste, da cui affiora l’evoluzione biografica dei rapporti tra utente e social network.

Per leggere queste biografie abbiamo costruito un quadrante attorno a due variabili: self presentation e social connections. E’ una mappa con i seguenti punti.

1. da una parte Facebook si è radicato profondamente nell’esperienza quotidiana, familiarizzandoci a una presentazione di sé rivolta a un’audience all’interno di uno spazio non anonimo. Nella self presentation troviamo due estremi:

· presentazione di sé selettiva orientata all’esclusione comunicativa: qui sono compresi i casi in cui gli utenti si riferiscono a modalità di produzione di contenuti e gestione delle relazioni tendenzialmente esclusive e selettive. La self presentation si rivela come forma di partecipazione alla comunicazione basata sulla necessità dell’utente di tenere separate le diverse forme di appartenenza alla vita sociale – per ruolo, fase biografica, interessi, ecc. – preservando un’idea del confine tra pubblico e privato.

· presentazione di sé unitaria orientata all’inclusione comunicativa: qui sono compresi i casi in cui gli utenti si riferiscono a modalità di produzione di contenuti e gestione delle relazioni tendenzialmente inclusive ed unitarie. La self presentation si rivela come forma di partecipazione alla comunicazione basata sulla capacità dell’utente di accordare (compatibilizzare) le diverse forme di appartenenza alla vita sociale – per ruolo, fase biografica, interessi, ecc. In questo ambito, troviamo i casi in cui, dal punto di vista dei contenuti, gli utenti postano senza curarsi del collasso tra sfere private sociali; si usa una retorica della spontaneità, della trasparenza e dell’autenticità come scelta riflessiva consapevole. Spesso ci troviamo di fronte ad una sorta di accettazione delle logiche di Facebook che non motivano eccessive preoccupazioni rispetto alla (propria e altrui) privacy. Sul piano delle relazioni, quindi, abbiamo utenti che si riferiscono a network ampli, con narrazioni dirette potenzialmente all’intera audience.

2. dall’altra le attività comunicative (performate) su Facebook – cioè quelle utilizzate per la self presentation – sono incentrate su manifestazioni in pubblico di connessioni sociali (o friend) – social connection e qui abbiamo:

  • alta eterogeneità dei legami sociali: all’interno del profilo del soggetto troviamo reti sociali appartenenti a diversi ambiti di vita dell’intervistato (colleghi, amici di scuola, familiari, etc.);
  • bassa eterogeneità dei legami sociali: all’interno del profilo del soggetto troviamo reti sociali appartenenti a pochi e tendenzialmente omogenei contesti di relazione.

Ne esce una matrice i cui quadranti spiegano le pratiche connesse ai vissuti con Facebook.

Quadrante I

Presentazione di sé selettiva orientata all’esclusione comunicativa – alta eterogeneità dei legami sociali”

In questo quadrante troviamo i comportamenti di quegli utenti che, rivolgendosi ad un’audience eterogenea, ma volendo preservare selettivamente degli ambiti della self presentation rimandano a due strategie:

  1. pubblicare solo contenuti che vadano bene per tutte le reti arrivando semmai ad autocensurarsi rispetto a certi argomenti, immagini, link:

se è una cosa tranquilla, non ne ho più di tanto bisogno di pensarci, se è una cosa che possa creare discussione con qualcuno non la pubblico e basta” (BG, f24).

  1. usare le liste, i gruppi, che “restringono” e selezionano a valle il pubblico avendo una forte attenzione per le funzioni che preservano la privacy:

non sono persone a cui voglio comunicare determinate cose o che vedano le mie foto. Le mie colleghe attuali, la maggior parte non può vedere le mie cose, cioè non mi va che le persone con cui lavoro possano vedere il mio profilo, possono vedere quello che ho pubblicato la mattina prima di arrivare in ufficio” (MI, f29).

“Poi c’è un gruppo che si chiama “no status”, che non vede il mio status. Molti sono miei colleghi adulti che hanno Facebook o mio padre, ad esempio” (MI, f29).

Quadrante II

Presentazione di sé selettiva orientata all’esclusione comunicativa – bassa eterogeneità dei legami sociali”

In questo quadrante troviamo i comportamenti di quegli utenti che, agendo selettivamente sulla presentazione di sé, attivano strategie di chiusura attraverso cerchie molto definite – network limitati ed omogenei, esclusione di alcune categorie −, e calibrano attentamente i contenuti nella misura in cui sono rivolti ad un pubblico selezionato:

“Io praticamente su FB frequento solo un gruppo di persone che sono musicisti e lo fanno di mestiere. E quindi trovi il disco e oggi ho fatto questa cosa qua. […] Quindi conversazioni su argomenti di musica, politica 400, 500 post, litigate, persone che si bannano. Di tutto. Sempre sempre nel circuito di questi musicisti…[invece i contatti lavorativi] ho appena finito di cancellarli” (MI, f40).

Quadrante III

Presentazione di sé unitaria orientata all’inclusione comunicativa – alta eterogeneità dei legami sociali”

In questo quadrante troviamo i comportamenti tendenzialmente di chi, attivando una presentazione di sé inclusiva, pubblica contenuti senza preoccuparsi del collasso delle sfere pubbliche e private. Questi soggetti si rivolgono a network ampi e indifferenziati giustificando questo modo di stare su Facebook, sia utilizzando la retorica della spontaneità, sia mettendo in luce l’accettazione e/o la consapevolezza delle logiche di funzionamento di un mezzo semipubblico come Facebook.

“Questa scelta dipende dal fatto che secondo me, tutti quelli che dicono “ah no, io metto tutto privato, perché altrimenti possono vedere”…no, secondo me se tu usi un social network lo metti a disposizione di tutti…cioè, io adesso sto utilizzando molto instagram – so che non centra niente – per le fotografie…mi piace l’idea che con un hashtag tu possa essere visualizzata da una persona che vive ai Caraibi… che magari ti scrive like perché è interessato ai tramonti…tu posti il tramonto, “sunset” e così… a me piace questa idea di connessione con il mondo, quindi non vedo perché devo nascondere le mie foto o i miei post a persone…anche a me sconosciute…anche perché non scrivo e non posto nulla che non possa essere conosciuto dagli altri” (UR, f30).

La spontaneità giustifica la pubblicazione di contenuti considerati in alcuni casi fraintendibili e problematici. Un ulteriore elemento “giustificativo” rispetto a questi contenuti pubblicati riguarda la logica della “trasparenza e autenticità” rispetto al proprio sé, alla sua unitarietà, alla sua compatibilità con l’immagine proiettata all’esterno.

“[i miei contatti] sanno che sono esuberante e trasgressiva. Il problema può essere quando ci sono persone che non conosci benissimo e magari potrebbero dire che sono esibizionista, se uno pubblica una foto con un cappello così sdraiata su una Porsche potrebbe dire che posso apparire esibizionista, ma proprio non mi interessa” (MI, f39).

Quadrante IV

Presentazione di sé unitaria orientata all’inclusione comunicativa – bassa eterogeneità dei legami sociali”

In questo quadrante troviamo i comportamenti di chi attiva una presentazione di sé inclusiva ed unitaria ma rivolta a network limitati e omogenei.

“I miei amici [circa 40] li conosco tutti personalmente …sapendo che, Facebook di fatto la privacy non c’è, e che quindi, devi andare a gestire tutto, quindi devi ricordarti di cancellare, inserire, gestire le cerchie e via dicendo e questo io non sono, in grado di farlo per una questione di tempo, proprio, quindi inserisco lo stretto indispensabile che se anche finisce sul giornale a me non crea assolutamente problemi…non lo uso come vetrina pubblica per farmi conoscere a tutto il mondo…è una vetrina limitata” (BG, F48)

In questo quadrante troviamo i veri “entranti” nel mondo di Facebook, che considerano sempre di più necessario “essere” su Facebook, senza fino in fondo accettarne le logiche produttive, fruitive e relazionali o resistendogli.

Contro i luoghi comuni

Il racconto della propria esperienza su Facebook e il confronto con quella degli altri permette di mettere in discussione alcuni dei pregiudizi che rischiano di ridurre un fenomeno così ampio e complesso ad una manciata di luoghi comuni.

Chi sta su Facebook rinuncia alla privacy”. Gli intervistati – sia gli adulti sia gli utenti più giovani – conoscono i rischi legati alla condivisione di informazioni private ma li percepiscono come distanti dai loro vissuti quotidiani. Quello che conta piuttosto è gestire strategicamente la propria identità privata in pubblico avendo imparato ad utilizzare gli strumenti che Facebook mette a disposizione.

“Stare su Facebook è il pretesto per pubblicare ogni cosa”. Gli intervistati dichiarano invece di essere molto attenti ai contenuti postati e condivisi, arrivando anche ad autocensurarsi per agire in un modo ritenuto corretto per un ambiente non anonimo e semi-pubblico come Facebook.

“Facebook è un luogo di simulazione della vita”. Per gli intervistati Facebook non è un contesto di simulazione anonima e sganciato dalla realtà quotidiana. Colgono però le possibilità che Facebook offre per presentarsi in accordo all’immagine che esprime meglio l’idea che uno ha di sé.

Ne esce un’idea di Facebook lontana dall’immagine di una luogo alienante dove esibire le parti più intime di sé o uno spazio anonimo in cui simulare una identità fittizia.

Come scrive, sintetizzando i dati Simone Cosimi su Repubblica:

Anche la “sindrome dell’ombelico” sembra in parte superata: nel corso del decennio a base di like e post gli utenti hanno infatti imparato a selezionare gli argomenti, fuggendo dal rumore delle piccole questioni fra amici e sfruttando sempre di più la piattaforma per approfondire i temi caldi del momento. Gli italiani tengono dunque d’occhio “i comportamenti degli altri nell’ambiente e vedono come utilizzano il mezzo: si socializza con quelli che, su Facebook, sembrano come me”.

Chiudendo così il cerchio con una narrazione della nostra vita online che, per una volta, parte dalla ricerca più che dalle opinioni.

Trovate nel sito del progetto “sns italia” un racconto più esaustivo e scientificamente preciso.

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