Due temi di estrema attualità come l’intelligenza artificiale e il salario minimo sollevano tantissimi quesiti: i due possono trovare punti di contatto? Come sarà ridisegnato il mondo del lavoro dall’applicazione dell’Intelligenza Artificiale? Il salario minimo può essere una modalità per attenuare eventuali effetti negativi?
L’irruzione dell’IA nel mondo del lavoro
Partiamo sicuramente da un assunto noto: l’impiego degli algoritmi di intelligenza artificiale (IA) oggi ha generato una maggiore velocità ed un impatto più generalizzato nella nostra vita, sono aumentate le capacità computazionali, di elaborazione e stoccaggio dei dati, portando di conseguenza a soluzioni dirompenti anche sul mondo del lavoro.
L’automazione industriale ha modificato il mondo del lavoro sostituendo lo sforzo fisico con quello meccanico e l’IA può avere un ruolo sostitutivo delle attività intellettuali dell’uomo. Sono convinto che esistano molti livelli di sostituzione e penso che l’intelligenza artificiale debba condurre le persone ad utilizzare la loro capacità intellettiva in maniera più produttiva, surrogando l’attività routinaria con un’attività che possa portare ad un lavoro di maggiore qualità. Seguendo tale ragionamento è ovvio che un lavoro con un valore aggiunto maggiore si sleghi da un concetto di “retribuzione minima” e vada verso retribuzioni più alte e connesse alle capacità individuali e alle differenti abilità e necessità del settore; dall’altro lato tuttavia questo potrebbe creare una maggiore differenza tra lavoratori dell’IA e coloro che subiscono tale processo evolutivo.
I lavoratori che padroneggiano IA hanno una maggiore occupabilità e salari più alti; pertanto, è necessario pensare a processi di inclusione per colmare i ritardi di competenze e di esperienze degli altri lavoratori. Occorre pertanto concentrare l’attenzione su come l’intelligenza artificiale sta ridisegnando il contenuto del lavoro e al contempo rivoluzionando il suo contesto: l’IA potrà togliere lavoro, ma allo stesso tempo crearlo e, cosa ulteriormente interessante, potrà rinnovare lo stesso con nuove logiche che necessitano aggiornamenti di competenze e di policy gestionali.
A livello di contesto gli algoritmi potrebbero migliorare il grado di oggettività dei processi di valutazione e selezione delle persone, eliminando le disfunzioni discriminatorie, ma sempre se vi sarà un’attività di controllo su quello che è l’input dell’algoritmo.
In altre parole, non ci saranno mai più discriminazioni di paga tra generi, a condizione però che tale processo si avvalga di algoritmi programmati senza le stesse discriminazioni e senza elementi che ne generino. Le sue potenzialità però fanno i conti anche con l’altro lato della medaglia: un algoritmo programmato sulla produttività potrebbe valutare assenze tutelate come mancanze di produttività, o non tenere conto di particolari situazioni sociali delle persone, andando così meccanicamente a discriminare le persone più fragili.
Il salario minimo
Il salario minimo ha, e potrà avere, una funzione livellatrice, ma lo stesso compito è oggi esercitato dall’articolo 36 della Costituzione che prevede una retribuzione sufficiente e proporzionata, che in più si estende ad una valutazione anche sociale del lavoratore (“sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”). In Italia oggi le retribuzioni minime per i lavoratori dipendenti sono garantite, secondo un rimando più di prassi che normativo, dalla contrattazione collettiva, che garantisce ulteriormente una serie di misure minime, delegate dalla normativa, di tutela per i lavoratori.
Equo compenso o salario minimo?
Tale tema deve guardare però ad un’altra evoluzione del lavoro connessa al digitale, ovvero lo slegarsi dalla dicotomia subordinato/autonomo. L’evoluzione digitale, infatti, ha messo in discussione elementi come luogo e orario di lavoro, ma ha anche attenuato il tema della subordinazione a favore di una terza via (si veda ad esempio l’inquadramento dei rider). Posto che la Costituzione non indica la necessità di una retribuzione sufficiente solo per i lavoratori subordinati ma per tutti i lavoratori, bisognerebbe rivedere il concetto di salario minimo in un più corretto, almeno dal punto di vista formale, equo compenso, slegando tale concetto dal solo rapporto di lavoro subordinato.
Oggi molti lavoratori “digitali” si possono considerare fuori dalla valutazione della subordinazione e quindi fuori da ogni tutela: senza il riconoscimento di una nuova forma di lavoro ibrido dalle classiche definizioni normative, non si potrà rispondere a quelle che sono le necessarie tutele per i lavoratori definiti, in un articolo del Technology Review del MIT, “lavoratori invisibili dell’AI”. Al momento, infatti, le applicazioni deep learning dell’AI richiedono un’enorme quantità di dati di formazione per essere affidabili e l’etichettatura dei dati viene in genere eseguita da molti lavoratori a basso reddito; si pensi ad esempio al Mechanical Turk di Amazon nel quale tali lavoratori prendono piccolissime commesse di etichettatura dei dati per l’Intelligenza artificiale: ad oggi il come gestire tali commesse e quanto pagarle è lasciato alla decisione aziendale.
Non vi è quindi conoscenza delle tutele, di come possono essere scelti i lavoratori, e di come alcuni lavoratori possono essere esclusi dalle micro-commesse, essendo poi esclusi dalla subordinazione: emerge quindi un problema urgente poiché gli stessi non avrebbero alcuna tutela né dall’attuale contesto normativo, né da quello che si affaccia per modernizzarlo.
Il 9 dicembre 2021 la Commissione Europea ha presentato una proposta di direttiva, in discussione, relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali. Tale miglioramento, relativamente ai lavoratori delle piattaforme, ha come obiettivi:
- miglioramento delle condizioni di lavoro;
- miglioramento della protezione dei dati personali;
- la trasparenza, l’equità e la responsabilità nell’uso dei sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati.
Conclusioni
A tale primo punto andrebbe affiancata una definizione delle politiche retributive minime, non rifacendosi solo ad un contesto di lavoro subordinato, ma operando su tutte le modalità lavorative che necessitano di una tutela minima contro lo sfruttamento. Una possibile soluzione, come oggi avviene solamente in parte, potrebbe essere quella di passare attraverso una contrattazione collettiva certificata e di qualità, con però una chiara e univoca indicazione di applicazione e con una certezza rispetto a quale contrattazione collettiva applicare.
Ad oggi esistono circa 1.000 contratti collettivi ma, nonostante ciò, cercando una rappresentanza ampia – o almeno tale – per un settore come quello dello sviluppo software, si rimanda ancora al CCNL dei Metalmeccanici: questo, dunque, evidenzia quanto il problema del riconoscimento, e conseguentemente quello del salario minimo, sia urgente e andrebbe rivisto e risolto a favore di un maggiore inquadramento di tali lavoratori che ad oggi vantano poche tutele.