l'analisi

Cina “matrigna” con le sue Big Tech: ecco i rischi di questa strategia

Pechino predilige gli investimenti nelle infrastrutture tecnologiche più che nelle piattaforme web, che possono mettere in discussione il controllo stringente sull’opinione pubblica che il Partito vuole continuare a esercitare in regime di assoluto monopolio. Ma quanto è lungimirante questa politica?

Pubblicato il 31 Ago 2021

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

wechat

Il modello di crescita cinese, imperniato sulla nuova via della seta (Belt & Road Initiative- BRI) comincia a mostrare i suoi limiti, unitamente alle politiche repressive messe in atto nei confronti delle Big Tech nazionali da Pechino, che mostra sempre di prediligere gli investimenti in infrastrutture che non in servizi innovativi “rei” di mettere in crisi il modello culturale che il Partito vuole continuare a perpetuare.

Vediamo quali sono le ripercussioni di tali iniziative sui rapporti internazionali, con gli Usa in primis, e sul mercato digitale interno.

UE-USA, la nuova agenda della cooperazione globale

Biden contro la BRI, rilancia con la BBBW

All’ultimo G7, il presidente Usa Joe Biden ha lanciato l’iniziativa internazionale (Build Back Better World – BBBW) per lo sviluppo delle infrastrutture nei paesi in via di sviluppo, con l’obiettivo di togliere spazio alle nuove vie della seta del presidente Xi Jinping. La competizione si accentua anche sulle iniziative mondiali per lo sviluppo: ma i rischi di una globalizzazione non più collaborativa e nemmeno competitiva, ma conflittuale, si accentuano. Biden avrà i suoi problemi a mettere a lavorare insieme i partner occidentali, che hanno interessi diversi nei confronti della Cina. Ma anche Xi Jinping non trova più solo porte aperte dopo l’esplosione della pandemia.

Quantomeno la narrativa, per non dire della gestione istituzionale e della governance della BRI, richiedono una profonda revisione, se è vero che solo l’11% delle aziende che si aggiudicano i progetti infrastrutturali della BRI non sono cinesi. I rischi di una percezione ormai diffusa della predominanza degli interessi cinesi, percezione che potrebbe portare a crescenti difficoltà di adesione dei paesi coinvolti, è stata ben delineata dal professor Li dell’Università di Hong Kong: “(BRI) deve essere percepita al servizio degli interessi cinesi e dei paesi coinvolti, ad esempio attraverso il libero commercio e benefici condivisi, altrimenti rischierebbe di essere deragliata dalle spinte contrarie alla globalizzazione”[1].

Molti nemici della globalizzazione li troviamo in Europa, in Russia, in America e in Cina, dove il presidente Xi Jinping ha sferrato alcuni colpi che dimostrano come sia disposto ad affrontare grosse perdite pur di sottrarsi al confronto sulle regole comuni della globalizzazione che pure hanno assicurato per decenni alla Cina una crescita formidabile.

Un oscuro ufficio di Pechino

È da un oscuro ufficio della cybersecurity cinese che è venuto l’ulteriore attacco contro Didi, l’ultimo della serie che vede nell’occhio del ciclone le aziende Big Tech cinesi che dovrebbero essere il fiore all’occhiello dello sviluppo tecnologico e finanziario del paese.

Come si vede nella figura 1, la classifica dei maggiori social network mondiali (per n. di utenti), vede la Cina ben rappresentata: il paese ha inseguito gli Stai Uniti con grande dinamismo. Fino ad oggi.

Ma il governo di Pechino predilige gli investimenti nelle infrastrutture tecnologiche, più che nelle piattaforme web: ritiene di poter tenere saldamente sotto controllo le prime, mentre le piattaforme web, nonostante censure e firewall, possono mettere in discussione il controllo stringente sull’opinione pubblica che il Partito vuole continuare ad esercitare in regime di assoluto monopolio. E così, dopo le sanzioni contro Alibaba, il gigante dell’e-commerce per pratiche monopolistiche, dopo il blocco della IPO di Ant, il leader dei pagamenti e della finanza alle PMI che faceva molta ombra alle banche di stato, dopo le sanzioni contro Tencent, il colosso dei video giochi e di WeChat – la versione cinese migliorata di WhatsApp– per pratiche anticoncorrenziali, è venuto il blocco delle app dopo la quotazione di Didi negli Stati Uniti per motivi di sicurezza. Una motivazione valida per giustificare qualsiasi intendimento di chiudere le finestre aperte sul mercato globale, come fece Trump nel bloccare Huawei nel 5G e TikTok negli Stati Uniti.

Didi ha raccolto 4,4 miliardi di dollari con la sua IPO alla borsa di New York il 30 giugno 2021, con un valore di 14 dollari per azione. La maggiore IPO di un’azienda cinese alla borsa di NY, dopo quella di Alibaba nel 2014, che aveva raccolto 25 miliardi. Lo ha fatto nonostante qualche settimana prima i regolatori avessero suggerito di ritardare l’offerta. La reazione è stata durissima: le autorità cinesi hanno ordinato di rimuovere tutte le app di Didi Global Inc. a tutti gli app store, compresa la app che consente ai guidatori che offrono i propri servizi di consegna di accedere a finanziamenti e pagamenti. Come si vede le preoccupazioni sono le stesse che hanno spinto le autorità a bloccare Ant, con in più la motivazione della sicurezza, derivante dal fatto che la società si è quotata a NY e quindi è divenuta “sospetta”[2].

I costi dell’attacco alle Big Tech

Mentre il governo afferma che le relazioni con gli Stati Uniti sono “in stallo”, le politiche di accorciamento delle redini sulle aziende tecnologiche cinesi cominciano a diventare costose, non solo per i riders che non possono più operare con Didi, o per le PMI che volevano utilizzare i servizi finanziari di Ant-Alibaba.

La quotazione di Didi è stata un successo, ma le successive strette e i bandi operati da Pechino contro le app della società hanno portato il valore del titolo sotto il livello della quotazione (mentre scriviamo il 26/7 sta di poco sopra 8 dollari), con una perdita del 43%. Hang Seng Tech, l’indice della borsa di Hong Kong centrato sui titoli tecnologici, dopo aver corso per 12 mesi e aver toccato a febbraio +59% dal suo varo, è improvvisamente precipitato perdendo 551 miliardi di capitalizzazione, per effetto del cumularsi degli attacchi di Pechino contro i propri campioni high tech.

Fig. 2. Indice Hang Seng Tech al 26 luglio 2021

In generale Le performance dei titoli tecnologici cinesi sono state, nell’ultimo anno, assai meno brillanti di quella del Nasdaq, come si vede nella figura 3.

Fig. 3. Indice Nasdaq 27/7/2021

I costi della politica di restrizione cinese sono rilevanti nell’immediato, perché gli investitori stanno mandando a Xi Jinping segnali inequivocabili. Ma i costi possono essere ancora più rilevanti nel medio-lungo periodo, se la stagnazione o il crollo degli indici di borsa porterà al tracollo degli investimenti. Nell’immediato, per il regime conta la crisi del consenso popolare, a causa del blocco dei servizi online, di tipo finanziario o commerciale, che impedisce alle persone di lavorare o impone costi insostenibili, come quelli dovuti alle inefficienti banche pubbliche.

Nel medio-lungo termine gli imprenditori cinesi, che hanno dimostrato una straordinaria capacità di entrare nel mercato nuovo dei servizi internet, potrebbero stancarsi di dover subire le limitazioni di un governo che punta tutto sul controllo delle infrastrutture di rete e sulla limitazione politico-burocratica imposta all’accesso ai servizi internet.

Il progetto della nuova via della seta cerca di perpetuare un modello trainato dallo sviluppo delle infrastrutture, che pone meno problemi politico-sociali di un modello in cui è la domanda di servizi avanzati da parte delle famiglie e delle imprese che determina il livello degli investimenti in infrastrutture.

Forse il modello di crescita cinese comincia a manifestare i limiti che derivano da un’impostazione dirigista ed illiberale dell’uso delle nuove tecnologie.

Note

  1. ) Jiatao LI, Winning Hearts and Minds: China’s Belt and Road Initiative, South China Morning Post,15 July 2021.
  2. ) Yoko Kubota, China Orders Stores to Remove More Apps Operated by Didi, The Wall Street Journal, 9 July, 2021.

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