Il panorama legale che circonda Apple e il suo ecosistema, in particolare l’App Store, è diventato sempre più intricato e controverso negli ultimi anni, con una serie di sfide antitrust e normative che pongono l’azienda di Cupertino al centro di una disputa globale sulla concorrenza e la legalità delle sue pratiche commerciali.
Nella controversia legale in corso tra Apple e il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, si è aperto un nuovo capitolo incentrato sulle politiche di apertura della big tech. In risposta alle critiche e alle pressioni, Apple ha dichiarato di aver intrapreso azioni concrete per rendere la sua piattaforma più accessibile ai terzi, pur mantenendo rigorosi standard di sicurezza.
Per oltre un decennio, Apple ha dimostrato una straordinaria capacità nel mantenere un’immagine impeccabile, trasformando ogni nuovo prodotto in un’icona culturale e un successo commerciale. Tuttavia, il 2024 sta portando una serie di sfide che mettono alla prova la tenacia del gigante tecnologico di Cupertino.
Le contestazioni
La controversia si estende anche oltre i confini degli Stati Uniti, con l’Unione Europea che ha avviato indagini formali contro Apple per presunte violazioni delle normative antitrust e del Digital Markets Act. Le modifiche proposte da Apple per conformarsi al DMA sono state accolte con critiche da parte di sviluppatori e altre grandi aziende tecnologiche, che le considerano ancora insufficienti a garantire una concorrenza equa sul mercato digitale.
A ciò si aggiunge anche la battaglia legale tra Apple, Epic Games e altre aziende, anch’essa destinata a plasmare il futuro dell’App Store e dell’ecosistema tecnologico globale, con implicazioni significative per gli sviluppatori, gli utenti e il panorama competitivo nel suo complesso.
Mentre le diverse parti si preparano a difendere le proprie posizioni in tribunale, il risultato di queste dispute avrà un impatto duraturo sul modo in cui le grandi piattaforme tecnologiche operano e sono regolamentate in tutto il mondo.
Le accuse del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti
Nelle settimane recenti, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha avviato un’azione legale antitrust contro Apple, accusandola di favorire i propri prodotti rispetto ai concorrenti all’interno del suo ecosistema, soprattutto su iPhone. Secondo l’accusa, Apple avrebbe ostacolato la concorrenza impedendo ad altre aziende di offrire applicazioni in competizione con le proprie, come nel caso del portafoglio digitale.
In particolare, secondo il governo, le azioni di Apple sarebbero caratterizzate da pratiche esclusive e anticoncorrenziali, limitando le scelte dei consumatori, aumentando i prezzi, riducendo la qualità e ostacolando l’innovazione. Il governo afferma che le politiche dell’azienda nei confronti degli sviluppatori isolino Apple dalla competizione.
Nonostante l’azione legale, sostenuta dall’amministrazione Biden e da 16 stati, sembra che Apple non sia troppo preoccupata. Ha risposto dichiarando di non essere d’accordo con le conclusioni dei procuratori e anticipando una ferma opposizione in difesa del nucleo aziendale e dei principi che distinguono i prodotti Apple in mercati altamente competitivi.
I sei presunti motivi di abuso
La denuncia del Dipartimento di Giustizia evidenzia almeno sei modi in cui Apple avrebbe abusato della sua posizione dominante:
Green bubbles di iMessage: Il Dipartimento di Giustizia sostiene che Apple abbia deliberatamente reso difficile agli utenti iPhone inviare messaggi a coloro che possiedono telefoni Android, creando una percezione di qualità inferiore degli smartphone non Apple. Le cosiddette “Green bubbles” di iMessage, che indicano gli utenti Android, sarebbero infatti illegali secondo l’accusa.
Esclusività di Apple Pay: Apple Pay è l’unico modo per i possessori di iPhone di utilizzare la tecnologia di pagamento mobile integrata negli iPhone. Questa esclusività, secondo il Dipartimento di Giustizia, priva gli utenti dei vantaggi e delle innovazioni che potrebbero derivare dall’introduzione di portafogli digitali multipiattaforma.
Limitazioni degli Apple Watch: Apple Watch, uno dei prodotti di maggior successo di Apple, è progettato per funzionare esclusivamente con iPhone. Questo, secondo l’accusa, costringe i clienti ad acquistare iPhone e limita l’innovazione e la concorrenza nel settore degli smartwatch.
Vietare gli app store di terze parti: Apple permette solo l’installazione di app tramite il proprio App Store, impedendo la concorrenza e limitando le scelte degli utenti. Questo, afferma il Dipartimento di Giustizia, ostacola l’innovazione e crea un ambiente monopolistico.
Limitare le super app: Apple impone agli sviluppatori di scrivere codice specifico per il suo sistema operativo, impedendo la creazione di app universali in grado di funzionare su più piattaforme.
Non solo Apple, l’UE apre la prima indagine Dma sulle big tech
In settimana la Commissione ha avviato un’indagine di non conformità ai sensi del Digital Markets Act (DMA) sulle regole di Alphabet in materia di “steering” in Google Play e di “self-preferencing” in Google Search, sulle regole di Apple in materia di “steering” nell’App Store e nella schermata di scelta di Safari e sul “modello di pagamento o consenso” di Meta.
La Commissione sospetta che le misure messe in atto da questi gatekeeper non rispettino effettivamente gli obblighi imposti dalla DMA.
Inoltre, la Commissione ha avviato indagini sulla nuova struttura tariffaria di Apple per gli app store alternativi e sulle pratiche di classificazione di Amazon sul suo marketplace.
Infine, la Commissione ha ordinato ai gatekeeper di conservare determinati documenti per monitorare l’effettiva attuazione e il rispetto dei loro obblighi.
Alphabet e Apple su app store
La Commissione ha avviato un procedimento per valutare se le misure attuate da Alphabet e Apple in relazione ai loro obblighi in materia di app store violino la DMA. L’articolo 5(4) del DMA impone ai gatekeeper di consentire agli sviluppatori di app di “indirizzare” i consumatori verso offerte al di fuori degli app store dei gatekeeper, a titolo gratuito.
La Commissione teme che le misure adottate da Alphabet e Apple non siano pienamente conformi, in quanto impongono diverse restrizioni e limitazioni. Queste limitano, tra l’altro, la capacità degli sviluppatori di comunicare e promuovere liberamente le offerte e di concludere direttamente i contratti, anche imponendo vari oneri.
Google search
La Commissione ha avviato un procedimento nei confronti di Alphabet per stabilire se la visualizzazione dei risultati di ricerca di Google da parte di Alphabet possa portare all’autoreferenzialità in relazione ai servizi di ricerca verticali di Google (ad esempio, Google Shopping, Google Flights e Google Hotels) rispetto ad analoghi servizi concorrenti.
La Commissione teme che le misure attuate da Alphabet per conformarsi al DMA non garantiscano che i servizi di terzi presenti nella pagina dei risultati di ricerca di Google siano trattati in modo equo e non discriminatorio rispetto ai servizi di Alphabet, come richiesto dall’articolo 6, paragrafo 5, del DMA.
Il rispetto da parte di Apple degli obblighi di scelta degli utenti
La Commissione ha avviato un procedimento nei confronti di Apple in merito alle misure adottate per ottemperare agli obblighi di (i) consentire agli utenti finali di disinstallare facilmente qualsiasi applicazione software su iOS, (ii) modificare facilmente le impostazioni predefinite su iOS e (iii) proporre agli utenti schermate di scelta che devono effettivamente e facilmente consentire loro di selezionare un servizio predefinito alternativo, come un browser o un motore di ricerca sul proprio iPhone.
La Commissione teme che le misure di Apple, compresa la progettazione della schermata di scelta del browser web, possano impedire agli utenti di esercitare realmente la loro scelta di servizi all’interno dell’ecosistema Apple, in violazione dell’articolo 6, paragrafo 3, del DMA.
Il modello “paga o acconsenti” di Meta
Infine, la Commissione ha avviato un procedimento nei confronti di Meta per verificare se il modello “paga o acconsenti” recentemente introdotto per gli utenti dell’UE sia conforme all’articolo 5, paragrafo 2, del DMA, che impone ai gatekeeper di ottenere il consenso degli utenti quando intendono combinare o utilizzare in modo incrociato i loro dati personali tra diversi servizi della piattaforma principale.
La Commissione teme che la scelta binaria imposta dal modello “paga o acconsenti” di Meta possa non fornire una reale alternativa nel caso in cui gli utenti non acconsentano, non raggiungendo così l’obiettivo di prevenire l’accumulo di dati personali da parte dei gatekeeper.
Altre misure di indagine e di applicazione
La Commissione sta inoltre adottando altre misure investigative per raccogliere fatti e informazioni al fine di chiarire se:
Amazon possa privilegiare i prodotti di marca propria sull’Amazon Store in violazione dell’articolo 6(5) del DMA, e
la nuova struttura tariffaria di Apple e gli altri termini e condizioni per gli app store alternativi e la distribuzione di app dal web (sideloading) possano vanificare gli obblighi previsti dall’articolo 6(4) del DMA.
La Commissione ha inoltre adottato cinque ordini di conservazione indirizzati ad Alphabet, Amazon, Apple, Meta e Microsoft, chiedendo loro di conservare i documenti che potrebbero essere utilizzati per valutare la loro conformità agli obblighi del DMA, in modo da preservare le prove disponibili e garantire un’applicazione efficace.
Infine, la Commissione ha concesso a Meta una proroga di 6 mesi per conformarsi all’obbligo di interoperabilità (articolo 7 DMA) per Facebook Messenger. La decisione si basa su una disposizione specifica dell’articolo 7(3) DMA e fa seguito a una richiesta motivata presentata da Meta. Facebook Messenger rimane soggetto a tutti gli altri obblighi DMA.
Le prossime tappe
La Commissione intende concludere il procedimento avviato oggi entro 12 mesi. Se l’indagine lo giustificherà, la Commissione informerà i gatekeeper interessati delle sue conclusioni preliminari e spiegherà le misure che sta pensando di adottare o che il gatekeeper dovrebbe adottare per rispondere efficacemente alle preoccupazioni della Commissione.
In caso di violazione, la Commissione può imporre ammende fino al 10% del fatturato mondiale totale dell’azienda. Tali ammende possono arrivare al 20% in caso di violazione ripetuta. Inoltre, in caso di violazioni sistematiche, la Commissione può adottare ulteriori misure correttive, quali l’obbligo per il gatekeeper di vendere un’attività o parti di essa, o il divieto per il gatekeeper di acquisire ulteriori servizi connessi alla non conformità sistemica.
Il nodo di CarPlay
Non solo. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ritiene altresì che il colosso tecnologico stia estendendo il proprio dominio dagli smartphone all’industria automobilistica. Secondo la denuncia,infatti, Apple starebbe minando l’innovazione anche nel settore automobilistico attraverso la pratica delle chiavi digitali dell’auto abbinata al sistema di infotainment CarPlay. Ovvero, la richiesta agli sviluppatori di aggiungere le chiavi digitali sviluppate per le proprie app ad Apple Wallet, aumenterebbe la dipendenza del conducente dall’iPhone. Inoltre, Apple avrebbe chiesto ai produttori di automobili di rendere CarPlay[1] più centrale nelle loro auto, esercitando così un maggiore potere sui partner commerciali, comprese le case automobilistiche americane.
I motivi dell’accusa non sembrano nuovi, ma la denuncia del Dipartimento di Giustizia e degli stati coinvolti rappresenta comunque un ulteriore significativo passo nel dibattito in corso sulla posizione di Apple nel mercato tecnologico e sulla legittimità delle restrizioni imposte al suo approccio “walled garden“.
La difesa di Apple contro le accuse di monopolio
Apple si dichiara pronta ad affrontare con fermezza le accuse di monopolio in violazione della Sezione 2 dello Sherman Act avanzate dal governo degli Stati Uniti.
Secondo i sostenitori di Apple, il Dipartimento di Giustizia si basa principalmente su informazioni obsolete o poco accurate e potrebbe non essere in grado di dimostrare danni reali ai consumatori. Pertanto, ritengono che il procuratore generale Merrick Garland e i suoi colleghi rischiano di subire perdite significative se dovessero insistere su argomentazioni poco consistenti e che non riflettono la realtà attuale.
Le accuse, a loro dire, sembrano includere affermazioni che potrebbero persino apparire addirittura ridicole e non aggiornate, come quella secondo cui Apple potrebbe deliberatamente peggiorare i propri prodotti per preservare il monopolio sugli smartphone. Anche l’accusa riguardante le “super app” sembrerebbe poco fondata, dato che Apple non ha mai espresso un divieto esplicito su questo tipo di app e, anzi, molte super app esistenti sono disponibili proprio su dispositivi Apple.
È probabile che la questione si protrarrà per anni e, in base alle argomentazioni attuali del Dipartimento di Giustizia, pare che Apple abbia già affrontato, in diverse occasioni, molte delle critiche sollevate.
La società ha dichiarato di avere diverse linee di difesa a disposizione per contrastare le affermazioni del Dipartimento di Giustizia.
Il “mercato rilevante”
Uno dei punti chiave della difesa di Apple sarà sicuramente la contestazione della definizione del mercato rilevante proposta dal governo. Mentre il Dipartimento di Giustizia sostiene che il mercato rilevante sia limitato agli “smartphone ad alte prestazioni”, Apple potrebbe argomentare che tale definizione esclude gli smartphone entry-level e non riflette accuratamente il panorama complessivo del settore.
Inoltre, Apple contesta la teoria legale alla base delle accuse e le prove a sostegno di essa. La società respinge l’accusa di mantenere illegalmente un monopolio in violazione della Sezione 2 dello Sherman Act, sostenendo che la sua condotta non è escludente né anticoncorrenziale. Apple sostiene al contrario che le regole dell’azienda per gli sviluppatori siano progettate proprio per migliorare l’esperienza degli utenti e non intendono limitare la concorrenza.
Secondo Apple, i consumatori mostrano infatti un grande apprezzamento per i suoi prodotti, mentre il governo sembra che stia essenzialmente chiedendo a un giudice statunitense di assumere il ruolo di un ingegnere e ridefinire completamente l’ecosistema di Apple.
I precedenti favorevoli
La difesa di Apple si basa anche su precedenti giudiziari favorevoli.
La società cita, a sua difesa, il caso del 2021 contro Epic Games, in cui un giudice della California ha respinto l’affermazione che Apple fosse un monopolista. Il giudice distrettuale statunitense Yvonne Gonzalez Rogers dichiarò che la quota di mercato di Apple, che superava allora il 55%, e i suoi margini di profitto elevati non rappresentassero ancora una violazione delle leggi antitrust vigenti.
Sebbene il giudice avesse riconosciuto alcuni comportamenti anticoncorrenziali di Apple, tali da dover richiedere l’adeguamento di alcune sue pratiche commerciali, tuttavia non ravvisò alcuna violazione delle leggi antitrust federali da parte dell’azienda.
In particolare Apple sottolinea come il Dipartimento di Giustizia abbia modificato la teoria alla base della sua denuncia almeno sei volte in quattro anni ( la causa del Dipartimento di Giustizia era infatti preparazione da anni), nonostante l’assenza di prove o danni conferenti. Questo perché, a detta della società, i tribunali federali hanno già costantemente stabilito come le azioni di Apple siano conformi alle leggi antitrust federali.
Nel distretto settentrionale della California, il giudice Gonzalez Rogers ha dato ragione ad Apple riguardo alle regole dell’App Store, e la decisione viene confermata anche dalla Corte d’Appello del Nono Circuito.
Apple attribuisce grande importanza anche alla recente vittoria ottenuta nella causa antitrust riguardante l’algoritmo della frequenza cardiaca su Apple Watch, respingendo le accuse avanzate da AliveCor, una società californiana specializzata nello sviluppo e nella produzione di dispositivi medici. Secondo AliveCor, Apple avrebbe agito in modo anticompetitivo indebolendo deliberatamente la funzionalità della sua analisi del ritmo cardiaco per danneggiare i concorrenti.
La decisione emessa lo scorso febbraio dal giudice distrettuale statunitense Jeffrey S. White è stata definita da Apple come un successo totale, confermando come non vi fosse alcuna prova che le azioni dell’azienda fossero in alcun modo anticompetitive.
Nel frattempo, AliveCor ha annunciato l’intenzione di presentare ricorso contro la decisione della corte. Tuttavia, la sentenza non avrà alcun impatto sulle controversie ancora in sospeso sui brevetti tra le due società, che rimangono pendenti presso la Commissione per il commercio internazionale degli Stati Uniti e il Patent Trial and Appeal Board degli Stati Uniti.
Il caso Pacific Bell Telephone Co. contro LinkLine Communications, Inc
Ma i casi giudiziari citati da Apple non finiscono qui: Apple sostiene infatti di non essere obbligata a riprogettare i suoi prodotti per favorire i rivali, richiamando l’attenzione su un altro precedente caso della Corte Suprema degli Stati Uniti.
Il riferimento è alla vicenda giudiziaria del 2009, Pacific Bell Telephone Co. contro LinkLine Communications, Inc (che a sua volta richiama il caso Nel caso Verizon Communications v. Law Offices of Curtis V. Trinko, del 2004). In tale caso, la Corte Suprema ritenne all’unanimità che Pacific Bell non avesse violato la legge antitrust statunitense addebitando tariffe presumibilmente eccessive per consentire ad altri fornitori di servizi Internet di utilizzare le sue linee per fornire una connessione Internet.
Apple sostiene che questa decisione stabilisca un precedente importante, dimostrando che un’azienda non è tenuta ad adottare le preferenze dei suoi concorrenti se ciò comporta un peggioramento dell’esperienza degli utenti del proprio prodotto. In altre parole, Apple ritiene di non essere obbligata a modificare il suo ecosistema per favorire i suoi concorrenti, specialmente se ciò può compromettere la qualità o l’esperienza utente offerta dai suoi dispositivi iPhone.
A ciò si aggiunge anche l’esito dell’ultimo evento giudiziario in cui il giudice distrettuale statunitense P. Casey Pitts ha stabilito che la California Crane School non è riuscita a fornire prove dirette di accordi di non concorrenza tra Google e Apple riguardanti il motore di ricerca predefinito su iPhone e altri dispositivi Apple.
Il rapporto con gli sviluppatori e i concorrenti
La società contrasta anche la tesi del governo riguardo al presunto controllo delle app, sostenendo viceversa come stia offrendo agli sviluppatori molteplici strumenti per creare app innovative. D’altra parte, all’accusa del Dipartimento di Giustizia che ha sollevato preoccupazioni riguardo al controllo esercitato da Apple sulla creazione e distribuzione delle app, note come “Super App“, realizzate utilizzando linguaggi di programmazione come HTML5 e JavaScript, Apple ha ribattuto evidenziando quanto le Super App, come WeChat di Tencent in Cina e Data Neu di Tata in India, non stiano godendo di grande popolarità tra i consumatori statunitensi (e non solo).
Nel complesso quadro legale che pone Apple sotto i riflettori per presunte pratiche anticoncorrenziali, l’azienda ha dunque già respinto energicamente le accuse mosse dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, definendole come argomentazioni basate su un’interpretazione selettiva e strumentale che non rispecchia la realtà del mercato tecnologico o le intenzioni concrete dell’azienda.
Piuttosto ha ribadito con forza il proprio impegno costante nel promuovere un ambiente aperto e competitivo per gli sviluppatori sulla sua piattaforma iOS ed ha altresì menzionato il progetto di adozione dei Rich Communication Services (RCS), che consentirà agli utenti iPhone di comunicare con dispositivi non Apple. Una mossa che è stata presentata come una dimostrazione tangibile del desiderio di Apple di promuovere l’interoperabilità e la libertà di scelta degli utenti.
La mail interna
Una delle principali questioni sollevate dal Dipartimento nei confronti di Apple riguarda la citazione di un’email interna datata marzo 2016, in cui un dirigente Apple discuteva con il CEO Tim Cook sull’eventualità di portare iMessage su dispositivi Android: “moving iMessage to Android will hurt us more than help us.”. Un frammento di testo che Apple riferisce come funzionale alle accuse ma in realtà parte di un dialogo più ampio che non dovrebbe essere interpretato come una prova definitiva di pratiche anticoncorrenziali.
Ovviamente tanto non convince il Dipartimento di Giustizia che ha infatti citato una serie di pratiche aziendali, incluso il presunto uso di restrizioni onerose per mantenere il controllo sugli acquisti in-app e limitare la concorrenza nel settore.
In particolare, il Dipartimento di Giustizia ha citato il requisito imposto da Apple secondo cui qualsiasi gioco in streaming su cloud, o qualsiasi aggiornamento di un gioco, debba essere presentato come un’applicazione autonoma per l’approvazione da parte di Apple, aumentando in tal modo i costi associati al rilascio dei giochi su iPhone.
Lo scenario
Sia come sia, quando il caso arriverà in tribunale, Apple sarà pronta a sostenere la sua posizione. Probabile che la società sosterrà che altri colossi tecnologici come Samsung, Google e Xiaomi rappresentino attori di una competizione significativa, sfatando così l’idea di un presunto monopolio da parte di Apple.
Inoltre prevedibile che Apple difenda strenuamente le proprie funzionalità di sicurezza e privacy applicate all’iPhone, sostenendo quanto tali caratteristiche vengano implementate per proteggere gli interessi degli utenti e non per limitare la concorrenza.
Il Dipartimento di Giustizia, d’altro canto, sarà chiamato a dimostrare che queste funzionalità siano effettivamente utilizzate in modo pretestuoso per consolidare il potere di Apple sul mercato. In definitiva, il confronto legale tra Apple e il Dipartimento di Giustizia avrà un impatto duraturo sul panorama tecnologico globale, delineando i confini tra apertura, sicurezza e concorrenza nel mondo digitale in continua evoluzione. E forse servirà anche a mettere un punto sulla storia giudiziaria infinita che vede contrapposte sul fronte dell’antitrust Apple ed Epic.
Epic Games VS Apple per l’apertura dell’App Store
Epic Games, il produttore di Fortnite, ha infatti intentato una nuova causa contro Apple per il controllo eccessivo sull’App Store, sollevando preoccupazioni sul rispetto delle disposizioni stabilite in seguito alla disputa legale conclusa nel 2021.
Nel primo grado di giudizio, Epic Games ha subito una parziale sconfitta contro Apple, con la sentenza che ha stabilito la violazione del contratto da parte di Epic per aver implementato un sistema di pagamento alternativo nella sua App Fortnite. Di conseguenza, Epic è stata condannata a pagare il 30% delle entrate raccolte ad Apple. Tuttavia, il giudice Yvonne Gonzalez Rogers ha anche emesso anche un’ingiunzione permanente per imporre ad Apple di non vietare agli sviluppatori di includere nelle loro app collegamenti esterni o altre “call to action” che indirizzassero gli utenti verso meccanismi di acquisto esterni alla piattaforma. Ciò ha consentito alle app iOS di orientare gli utenti verso opzioni di pagamento diverse da quelle disponibili con i pagamenti in-app.
Nella relazione presentata in veste di amicus curiae da parte di aziende come Microsoft, Meta, X e Match, intervenute a sostegno di Epic Games, si afferma che le tariffe richieste da Apple sono eccessive e che ci sono troppe restrizioni sulle modalità con cui gli sviluppatori possono indirizzare gli utenti ai loro siti esterni. In particolare, si lamenta il fatto che Apple non permetta agli sviluppatori di inserire link diretti che consentano agli utenti di effettuare acquisti senza passare dai sistemi di pagamento in-app. Anche se Apple consente agli sviluppatori di utilizzare modalità di pagamento esterne, richiede comunque commissioni che vanno dal 12% al 27%.
Epic Games ha dichiarato in tribunale che Apple non rispetta l’ordinanza emessa dalla giudice e ritiene che anche per questo dovrebbe essere accusata non solo di pratiche concorrenziali scorrette, ma anche di oltraggio alla corte. Secondo Epic, l’implementazione di Apple rende, invero, praticamente inutilizzabili i link nelle app a causa delle commissioni e delle relative restrizioni imposte.
Nell’intervento amicus curiae, le aziende hanno spiegato che Apple non permette loro neanche di includere informazioni basilari su modalità di acquisto alternative all’acquisto in-app. A tanto si aggiunge il fatto per cui, Apple non consentirebbe agli utenti delle app di conoscere le modalità per ricevere sconti acquistando direttamente da siti esterni all’App Store.
Nonostante le dichiarazioni di Apple che assicurano il pieno rispetto del provvedimento della corte e l’offerta agli sviluppatori di modalità per informare gli utenti sui pagamenti alternativi sia all’interno che all’esterno delle app, Epic Games e le aziende sostenitrici restano convinte che le pratiche di Apple siano inaccettabili e dannose per la concorrenza nel settore.
La battaglia legale tra Epic Games e Apple è dunque destinata a durare, con entrambe le parti che si preparano a difendere le proprie posizioni nei prossimi sviluppi del caso.
E non è tutto.
Il coinvolgimento di Google
Nei prossimi cinque mesi, il tribunale federale di Melbourne sarà il palcoscenico di una battaglia tra Epic Games, Apple e Google, che metterà sotto la lente d’ingrandimento il controllo esercitato da Apple sul suo impero e le pratiche di Google nell’ecosistema Android.
Le cause legali, inizialmente avviate nel 2020 e sospese nell’aprile 2021 in attesa degli esiti delle cause parallele negli Stati Uniti, coinvolgono ancora una volta Epic Games contro Apple e Google, entrambi accusati di abuso di potere di mercato nei confronti dei loro app store.
Sebbene Epic abbia perso parzialmente la causa antitrust contro Apple nel 2021, ha ottenuto una vittoria contro Google alla fine dello stesso anno. Adesso, i casi, inizialmente separati, sono riuniti in un unico processo dinanzi al giudice Jonathan Beach, al fine di evitare la duplicazione delle prove testimoniali.
Le differenze tra le cause
Le cause presentano similitudini ma anche importanti differenze.
Mentre iOS e l’App Store di Apple sono completamente chiusi e controllati dall’azienda, Google consente il “sideloading” delle app su Android, oltre ad avere il suo app store e ad autorizzare altri produttori di telefoni ad avere i propri. Tuttavia, entrambe le aziende addebitano commissioni per le transazioni nei propri app store.
La battaglia legale metterà alla prova le difese di entrambe le società. Apple, vista come l’avversario più riluttante al cambiamento, sostiene che la sicurezza degli utenti iPhone sia in gioco e che Epic stia cercando di ottenere ulteriori profitti a spese di essa. Google, che si è vantata di offrire un ecosistema più aperto, deve difendere le sue pratiche contro le accuse di danneggiare la concorrenza.
Le presentazioni di apertura del processo dureranno due settimane, seguite da tre mesi di prove di testimoni ed esperti e due settimane di presentazioni di chiusura. Tra i testimoni attesi ci sono il CEO di Epic, Tim Sweeney, e dirigenti chiave di Apple e Google. I testimoni chiave di Apple includono Phil Schiller, responsabile dell’App Store, e Craig Federighi, vicepresidente senior dell’ingegneria del software, che discuteranno dello sviluppo e del funzionamento dello store, oltre all’approccio della società alla sicurezza e alla privacy degli utenti.
La sentenza del giudice Beach è attesa entro sei mesi dalla fine del processo, ma potrebbero esserci ricorsi successivi.
Indipendentemente dall’esito, i cambiamenti implementati da Apple nell’App Store dell’UE a seguito del Digital Markets Act potrebbero indicare una direzione futura anche per l’Australia. Nel frattempo, Apple ha ripristinato l’account sviluppatore di Epic nell’UE.
Questi sviluppi, insieme all’accusa del Dipartimento, rappresentano, peraltro, solo gli ultimi di una serie di casi simili intentati da regolatori in tutto il mondo, con l’Europa che non lesina sferzate a destra e a manca.
La compliance al Digital Markets Act
Oltre alle dispute in corso sulla costa occidentale, Epic e Apple si stanno infatti scontrando anche in Europa con riguardo alla conformità di Apple al Digital Markets Act.
In effetti, con l’entrata in vigore del Digital Markets Act (DMA), Apple si trova sotto i riflettori come mai prima d’ora, costretta a confrontarsi con una serie di nuove normative che mettono in discussione il suo rigido controllo sull’ecosistema iOS.
Nell’ultimo mese, Margrethe Vestager, dal 2014 Commissario europeo per la concorrenza, ha rivelato che Stati Uniti e Unione Europea hanno raggiunto un livello di allineamento senza precedenti riguardo alla necessità di regolamentare il settore tecnologico. “Non ricordo una cooperazione così efficace da molto tempo a questa parte”, ha recentemente affermato.
Il modo in cui Apple e gli altri gatekeeper si adatteranno a questi cambiamenti rimane però ancora incerto. Le modifiche proposte da Apple comprendono una serie di nuove opzioni per sviluppatori e utenti, tra cui l’introduzione di oltre 600 nuove API e strumenti. Tra le novità, vi è la possibilità di sideload di app da fonti diverse dall’App Store, consentendo agli utenti dell’UE di scaricare app da mercati alternativi. Inoltre, Safari mostrerà una schermata di scelta del browser per consentire agli utenti di selezionare il browser predefinito su iOS 17.4.
Le modifiche all’App store
Per quanto riguarda l’App Store, sono state implementate nuove opzioni di pagamento, consentendo l’uso di fornitori di servizi di pagamento (PSP) all’interno dell’app e l’elaborazione dei pagamenti tramite collegamento.
Tuttavia, le tariffe e le restrizioni imposte da Apple continuano a sollevare critiche significative da parte degli sviluppatori.
Le modifiche apportate da Apple per conformarsi al DMA hanno suscitato critiche significative, soprattutto da parte della Federazione Europea degli Sviluppatori di Giochi (EGDF) che ha etichettato le modifiche come anticoncorrenziali e ha sollevato dubbi sulla transizione alle nuove norme.
Anche Meta e Microsoft hanno criticato le modifiche di Apple, definendole non conformi al DMA e dannose per la concorrenza nel mercato digitale. Altre grandi aziende tecnologiche, tra cui appunto Epic Games e Spotify, hanno sollecitato l’intervento della Commissione europea per bloccare le modifiche proposte da Apple.
Nonostante le critiche, Apple, muovendo da altre prospettive ha piuttosto continuato a sollevare dubbi sulla sicurezza e sulla privacy associate alle modifiche, sottolineando la necessità di implementare ulteriori misure protettive.
Tanto non è passato inosservato agli occhi della Commissione europea che infatti ha già avviato le prime indagini formali contro Apple (oltre Google e Meta Platforms per sospette violazioni della legge sui mercati digitali)[2] il cui focus è incentrato proprio sulla struttura tariffaria applicata al suo App Store. Le indagini potrebbero protrarsi per un anno e, in caso di violazioni accertate, Apple e le altre aziende coinvolte potrebbero essere multate fino al 10% del loro fatturato mondiale totale. Le violazioni ripetute potrebbero comportare multe più elevate e interventi più invasivi nella struttura aziendale.
Sembra dunque che il futuro dell’App Store di Apple sia destinato ad essere modellato dalle sfide antitrust e dai cambiamenti normativi in corso a livello globale.
Le vicende legali in UE, UK e Corea del Sud
La pressione su Apple per adattarsi a un ambiente normativo sempre più complesso è destinata a intensificarsi, con conseguenze significative per lo sviluppo delle app e per gli utenti di iOS. La denuncia del Dipartimento americano arriva infatti un mese dopo che il produttore di iPhone è già stato multato per aver violato le leggi antitrust dell’UE.
In Europa, DMA a parte, la Commissione Europea ha inflitto ad Apple una multa di 1,8 miliardi di euro per pratiche anticoncorrenziali nell’ambito dell’App Store, sostenendo come l’azienda abbia impedito ai rivali dello streaming musicale di offrire agli utenti promozioni e aggiornamenti di abbonamenti.
Una situazione analoga si è verificata nei Paesi Bassi e in Corea del Sud, dove Apple è stata multata per pratiche sleali riguardanti i pagamenti all’interno delle app.
Inoltre Apple si trova al centro di un’azione legale collettiva anche nel Regno Unito, in cui oltre 1.500 sviluppatori stanno chiedendo un risarcimento di 785 milioni di sterline, pari a 1 miliardo di dollari, per le tariffe applicate sull’App Store.
L’azione legale nel Regno Unito segue una serie di iniziative simili intraprese da governi e organizzazioni in tutto il mondo contro le politiche dell’App Store di Apple. La società è stata oggetto di indagini o accuse di pratiche anticoncorrenziali anche in paesi come Francia, Germania e Giappone. Sempre nel Regno Unito, l’Autorità britannica per la concorrenza e i mercati (CMA) ha avviato un’indagine sulle condizioni dell’App Store di Apple sin da marzo 2021.
Il futuro di Apple
Anche gli investitori stanno mostrando segni di preoccupazione. Mentre il settore tecnologico nel suo complesso ha visto un aumento delle valutazioni, le azioni di Apple sono invece diminuite, evidenziando la crescente incertezza sul futuro dell’azienda.
L’annuncio dell’indagine del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ) nei confronti di Apple ha scatenato flessioni significative delle azioni del gigante tecnologico, che ora (24 marzo) figura tra le società a grande capitalizzazione più deboli degli Stati Uniti.
Gli esperti di Wall Street hanno suggerito che, sebbene al momento non si attendano cambiamenti immediati nel modello di business di Apple, è probabile che l’azienda debba alla fine trovare un accordo per risolvere il caso. Si prevede che ciò possa comportare il pagamento di una multa sostanziale e la necessità di rinegoziare la struttura futura dell’App Store, con possibili ripercussioni sui ricavi dei servizi ad alto margine.
In aggiunta, le preoccupazioni riguardanti il calo delle vendite di iPhone in Cina hanno portato il CEO Tim Cook a intraprendere un viaggio nel paese per affrontare la situazione.
Almeno per ora però non è chiaro se e come Apple riuscirà a invertire la dinamica sfavorevole, nonostante la robustezza del suo core business.
Conclusione
Le sfide di Apple non si limitano agli aspetti legali e finanziari. Tanto è vero che si registra una crescente pressione da parte degli investitori affinché l’azienda entri nel campo dell’intelligenza artificiale generativa, un settore che alcuni ritengono possa portare a profitti enormi. Mentre rivali come Microsoft e Google stanno già facendo passi avanti in questo settore, Apple deve ancora proporre un prodotto concreto.
La situazione si fa dunque sempre più tesa per Apple, ma non tutto è perduto. La società continua a registrare profitti enormi, e il suo marchio rimane estremamente popolare tra i consumatori.
Il vero test per Apple sarà la sua capacità di adattarsi alle normative e rispondere efficacemente a queste sfide, mantenendo nel contempo la fiducia dei suoi clienti e investitori. Per ora, il destino dell’azienda più preziosa al mondo rimane, tra detrattori e sostenitori, piuttosto incerto.
_
Note
[1] La denuncia sostiene che Apple abbia detto alle case automobilistiche che la prossima generazione del suo sistema di infotainment “prenderà il controllo di tutti gli schermi, i sensori e gli indicatori di un’auto”, costringendo i conducenti a un’esperienza incentrata sull’iPhone.
Apple ha affermato che oltre 800 modelli supportano CarPlay; di questi più di due dozzine offrono chiavi digitali dell’auto. Tuttavia, fonti riportano che General Motors avrebbe smesso di supportare il sistema iPhone nei nuovi veicoli elettrici per sviluppare infotainment integrato con Google.
[2] Le indagini si concentrano su questioni quali le schermate di scelta, le preferenze automatiche, le regole anti-sterzo nelle app e il modello “paga o consenso” di Meta, che potrebbero violare la legge contro il potere dei gatekeeper.