Gli studiosi della sostenibilità si sono concentrati in gran parte sulla sostenibilità esterna, cioè sulle complesse relazioni tra società, economia e ambiente. Ma di fondamentale importanza è anche la sostenibilità interiore, cioè valori, convinzioni e atteggiamenti che costituiscono la dimensione personale di ciascuno. La sostenibilità olistica integra le diverse dimensioni fino a delineare una sorta di competenza globale, cruciale per il nostro futuro, per la sua forza trasformativa.
Le competenze nei curricoli formativi
Quando oltre vent’anni fa abbiamo cominciato a occuparci di scuola e di innovazione didattica, nessun Paese era ancora riuscito a integrare le competenze trasversali nel curricolo dominante delle conoscenze standardizzate e, a dire il vero, la questione non era neanche centrale nel dibattito educativo. Solo alcune persone illuminate come il linguista Tullio De Mauro si ostinavano a sostenere l’importanza delle competenze funzionali, la capacità di saper fare, e la necessità di una formazione continua. Se proviamo a tracciare oggi una sorta di bilancio, possiamo affermare con certezza che i livelli di consapevolezza sono molto più alti. Abbiamo anche un disegno di legge sullo “Sviluppo di competenze non cognitive nei percorsi scolastici” che sta completando il suo iter parlamentare.
Le competenze non cognitive: una definizione
Sulla definizione delle competenze non cognitive e sullo stato del dibattito attuale, rimandiamo a un articolo dell’Invalsi, che fa il punto della situazione in Italia e in Europa, e al volume sulle Character Skills (Chiosso G. et al, 2021). Possiamo considerare un buon riferimento la definizione delle competenze non cognitive come “combinazione dinamica di abilità cognitive e metacognitive, abilità interpersonali, intellettuali e pratiche accanto a valori etici. Consentono agli individui di adattarsi e di comportarsi positivamente in modo da affrontare efficacemente le sfide della vita quotidiana e professionale”. Definizione che troviamo adeguata anche al nostro modello di “Educazione per la vita” (Molina A., 2016), che integra conoscenze codificate, competenze e valori e tiene conto delle riflessioni più recenti su apprendimento e istruzione: infatti ridefinisce i pilastri dell’educazione per lo sviluppo del carattere, tiene conto delle menti e delle intelligenze multiple di Howard Gardner, arricchisce il quadro delle competenze per il XXI secolo con la firtualità, la capacità di integrare dimensione fisica (territoriale) e virtuale (on line) in un solo approccio di pensiero e azioni strategiche. Una competenza che diventa sempre più preziosa (Molina A. 2021).
Il concetto di educazione per la vita, in particolare, comprende sei aspetti, tre di contenuto (conoscenze standardizzate, competenze e valori fondamentali) e tre modalità di apprendimento (Lifelong learning, Lifewide learning, Lifedeep learning), integra e sviluppa diversi approcci.
Il concetto di “competenza globale”
A livello internazionale il dibattito non si è mai fermato, anzi è proseguito fino al tentativo di descrivere una sorta di super competenza, la “competenza globale”, che definisce il saper combinare la conoscenza del mondo con il ragionamento critico. Se leggiamo più in dettaglio le definizioni di Pisa troviamo diverse connessioni con il concetto di sostenibilità: le persone dotate di competenza globale sono in grado di “agire per il benessere collettivo e lo sviluppo sostenibile”. Un’interessante riflessione sulla rilevanza della competenza globale, non solo a livello scolastico, la troviamo nel volume di Schleicher Una scuola di prima classe (Schleicher A., 2020): “La valutazione PISA della competenza globale offre un modo per fornire ai Paesi i dati di cui hanno bisogno al fine di costruire società più sostenibili attraverso l’educazione. Fornirà una panoramica completa degli sforzi dei sistemi educativi volti a creare ambienti di apprendimento che incoraggino i giovani a comprendersi l’un l’altro, comprendere il mondo al di là del loro ambiente più prossimo e ad agire per costruire comunità coese e sostenibili”.
Le competenze per la sostenibilità
La pubblicazione nel 2022 dello studio GreenComp che definisce il quadro europeo delle competenze per la sostenibilità, rappresenta un’altra importante tappa per affrontare la complessità del nostro tempo, mettendo insieme valori, pensiero sistemico, alfabetizzazione al futuro, capacità di azione. Elaborato dal Centro comune di ricerca (JRC) della Commissione europea, il documento riflette in modo trasparente anche alcuni nodi irrisolti del dibattito, a cominciare dal titolo “green”, scelto per “la sua fonetica e la sua semplicità rispetto alle alternative proposte in precedenza”, nonostante rischi di portare fuori strada lasciando intendere che si parli solo di compenze relative alla sostenibilità ambientale (pag. 9). In realtà il GreenComp è un potente strumento di riferimento per definire in ambito educativo i contorni della sfida sulla sostenibilità, da intendersi nel suo significato pieno. Lo studio “delinea una serie di competenze in materia di sostenibilità da inserire nei programmi d’istruzione per aiutare i discenti a sviluppare conoscenze, abilità e attitudini che promuovano modi di pensare, pianificare e agire con empatia, responsabilità e attenzione a favore del pianeta e della salute pubblica”. Il punto di partenza è la necessità di integrare la competenza per la sostenibilità nei sistemi di istruzione e formazione proprio “per proteggere la salute pubblica e quella del pianeta”. È interessante notare che il GreenComp, che come metodologia fa riferimento agli altri quadri europei (DigComp, EntreComp e LifeComp), si rivolga a tutti, indipendemente dall’età e dal livello di istruzione, con l’obiettivo di diventare uno strumento per l’apprendimento permanente, formale e non formale. Altro aspetto interessante è la sottolineatura diffusa dell’agentività, per diventare capaci di progettare, pianificare e agire per la sostenibilità, cioè per sviluppare una reale capacità di azione. Viene immediata l’associazione con quella “competenza globale” che Pisa sta cercando di codificare. “Diventare competenti in materia di sostenibilità”, spiegano gli esperti del GreenComp, “consentirà ai discenti di superare la dissonanza cognitiva che deriva dal fatto di conoscere un problema ma di mancare di agentività”.
Ancora interessante è il costante riferimento alla crescente complessità di questo nostro tempo, tanto da arrivare, oltre che all’individuazione specifica dell’area “accettare la complessità nella sostenibilità”, alla definizione di “problema spinoso”, come “problema o una questione politica che è difficile risolvere a causa della sua complessità o carente strutturazione. Comporta diversi aspetti incompleti, complicati, controversi, contestati e mutevoli, difficili da riconoscere o da collegare. Spesso non esiste un’unica soluzione”. Una delle conseguenze della “grande accelerazione” sembra essere proprio l’aumento dei problemi spinosi, che richiedono crescenti capacità di discernimento nella comunità dei decisori. Però sorprende che in tutto il documento le parole “tecnologia” e “digitale” compaiano una volta sola nella descrizione dell’azione collettiva che nell’era digitale può essere aumentata e supportata dalla tecnologia, come nell’European Education for Climate Coalition, “una piattaforma digitale che consente ai membri di una comunità di pratica di decidere collettivamente, agire in modo collaborativo e co-creare soluzioni per la sostenibilità”. Intanto proviamo a immaginare di sostituire al titolo GreenComp un’espressione meno orecchiabile ma più sfidante come HoliComp. Perché quello di cui abbiamo urgente bisogno è inserire nella sfida educativa la competenza per la sostenibilità olistica.
La sostenibilità olistica
Se chiediamo a ChatGPTun aiuto veloce per ricostruire la maternità o la paternità dell’espressione “sostenibilità olistica”, ci porta fuori strada: non riusce a individuare i termini del dibattito, lo considera un “prodotto collettivo di molte menti”, un concetto emerso gradualmente nel contesto delle discussioni sulla sostenibilità. Se da una parte questa prospettiva comunitaria è sicuramente affascinante, dall’altra è invece importante delineare differenze e sfumature, ovviamente solo se queste sono sostanziali. In particolare cercheremo di spiegare perché l’approccio sistemico alla sostenibilità e la sostenibilità olistica non siano la stessa cosa e perché occorre fare uno sforzo maggiore per superare la prevalenza della visione ambientale e dare più rilevanza alle connessioni con la trasformazione digitale e con la sostenibilità della persona.
La sostenibilità viene spesso citata come un concetto relativamente nuovo, nato dal Rapporto Brundtland del 1987 (Brundtland et al., 1987), mentre alcuni autori ritengono che le origini della scienza della sostenibilità risalgano al XVII secolo, quando i governi degli imperi europei si mobilitarono per impedire la deforestazione. Il termine sostenibilità sarebbe stato poi ufficialmente coniato all’inizio del XVIII secolo da Hans Carl von Carlowitz, fondatore del principio della silvicoltura a rendimento sostenibile. A lui si attribuisce la paternità del discorso moderno sulla sostenibilità, a partire dalle analisi sulle connessioni tra la riduzione delle foreste e i progressi della tecnologia, la propagazione delle malattie, i disordini sociali e le misure di conservazione (Caradonna, 2014).
L’approccio green alla scienza della sostenibilità è ancora predominante nel coinvolgimento del grande pubblico, nella proposta di soluzioni strategiche per mobilitare i movimenti pro-ecologici, tra cui il riciclaggio, gli orti comunitari e gli alimenti biologici, o strategie come il passaggio a lampadine a basso consumo o l’uso di pannelli solari (Noppers et al., 2014; Gromet et al., 2013). Tuttavia, una mentalità basata solo sulle soluzioni potrebbe aver annullato il potenziale di ottenere risultati significativi e duraturi. Sebbene le soluzioni implichino processi e azioni importanti per sostenere il cammino verso un futuro sostenibile, una prospettiva limitata, che si basa solo su soluzioni esterne, può essere sistematicamente insufficiente per gli obiettivi di sostenibilità globale. In altre parole, molte soluzioni moderne di sostenibilità, come ad esempio la raccolta differenziata o alcune strategie di mobilità, possono vedere solo i sintomi di un problema, ignorando la causa principale che deriva da valori, credenze e atteggiamenti individuali e collettivi. La scienza della sostenibilità sta iniziando a integrare questi aspetti nella sostenibilità interiore, un ambito che considera le cause profonde delle sfide della sostenibilità (Berejnoi Bejarano et al., 2019).
Con il Rapporto Brundtland arriva quella che potremmo definire la “concettualizzazione politica” del termine con il forte legame tra progresso, sviluppo umano e salvaguardia delle risorse naturali e il richiamo alla responsabilità intergenerazionale. Per sviluppo sostenibile si intende “far sì che esso soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere alle loro”. Negli ultimi due decenni, lo sviluppo di indicatori e criteri (tra cui i cosidetti ESG, acronimo che sta per Environmental, Social, Governance) ha dato progressivamente forma alla scienza della sostenibilità, una transdisciplina ancora in costruzione. Si tratta forse della più grande sfida che la ricerca inter e multi disciplinare si trova ad affrontare, per giungere a una sorta di “scienza della convergenza” in grado di interpretare la complessità e indicare processi concreti per il cambiamento e lo sviluppo sostenibile.
Progressivamente i significati si stanno spostando e il concetto di sostenibilità si arrichisce di nuove valenze, compreso il concetto di prosperità: “Siamo determinati ad assicurare che tutti gli esseri umani possano godere di vite prosperose e soddisfacenti e che il progresso economico, sociale e tecnologico avvenga in armonia con la natura”.
Secondo la definizione dell’Enciclopedia Treccani la sostenibilità implica un benessere (ambientale, sociale, economico) costante e preferibilmente crescente e la prospettiva di lasciare alle generazioni future una qualità della vita non inferiore a quella attuale. Superando progressivamente la mera declinazione ambientalista, gli studiosi e gli scienziati della sostenibilità, però, si sono concentrati in gran parte sulla sostenibilità esterna, cioè le complesse relazioni tra società, economia e ambiente.
Una buona sintesi grafica alla base di questa prospettiva la propone Ken Wilber, filosofo statunitese, tra i fondatori del pensiero integrale e dell’Integral Institute, tracciando uno schema a matrice con i classici quattro quadranti (vedi rielaborazione di Shrivastava, 2020). In alto a sinistra colloca la creazione di significati (valori, credenze, consapevolezza, mappe concettuali) e a destra i comportamenti. I due quadrati in alto rappresentano la dimensione individuale. Nella parte in basso del quadrante, la dimensione collettiva, a sinistra si trova la cultura (norme, valori condivisi, narrativa ecc.), mentre a destra la scienza dei “sistemi” (governance, welfare ecc.). Secondo Shrivastava la scienza della sostenibilità è stata in gran parte confinata al dominio della scienza dei “sistemi” (quadrante in basso a destra) e meno attenzione è stata prestata al comportamento, alla cultura e alla creazione di significato. Un approccio integrale alla scienza della sostenibilità, invece, dovrebbe includere una rappresentazione più equilibrata delle diverse prospettive nei quattro quadranti.
Con il concetto di sostenibilità integrale si cerca di riequilibrare le dimensioni di sistema con i valori, i comportamenti e gli aspetti culturali, quindi soprattutto dimensione personale e collettiva. La sostenibilità olistica si fonda su un approccio ancora più strutturato e interconnesso che integra tutte le dimensioni della sostenibilità, personale e collettiva, interna ed esterna per garantirne un equilibrio duraturo. Ed è strettamente legata anche all’agentività, alla capacità di azione. Ma come aiutare le persone a cogliere la stretta connessione tra valori personali, comportamenti e sostenibilità? Le persone sono consapevoli degli effetti delle proprie scelte? Sanno auto valutarsi? Sanno cosa e come vorrebbero cambiare?
Abbiamo incluso approccio olistico, sostenibilità integrale, prosperità e ESG (Environmental, Social, Governance) nel concetto di sostenibilità olistica basato sulla Teoria degli ecosistemi personali. E a supporto abbiamo creato uno strumento di sviluppo personale e collettivo, il Personal Ecosystem Canvas (PEC).
L’ecosistema personale
L’ecosistema personale – multidimensionale, dinamico, evolutivo e complesso – include tutti gli aspetti che influenzano la vita di una persona ed è determinante anche per la realizzazione sociale e professionale. Lo abbiamo immaginato organizzato in sette sfere concentriche: al centro, nella prima sfera, si trova il sé, nel senso più ampio possibile, come somma di tutto ciò che ognuno può considerare proprio, quindi non solo il corpo, ma anche i poteri psichici, i genitori, i figli, gli antenati, gli amici, la reputazione, i lavori, il conto in banca (James, 1890). Sono compresi tutti gli aspetti che generano emozioni, come quei “beni” che non ci lasciano mai: identità, autostima, autoefficacia, consapevolezza di noi stessi, tutto quello che in inglese inizia per “self”. Poi le motivazioni, le aspirazioni, e infine le nostre “ombre”, come i limiti e le paure. Già avere una visione nitida di questa sfera può sembrare un percorso molto lungo e complicato. Lo scopo, ovviamente, non è avviare un lavoro psicologico o psicanalitico su sé stessi, ma quello di selezionare informazioni utili e comprendere con la propria esperienza lo stretto collegamento tra dimensione interiore ed esteriore. Chi sono e cosa so fare? Di quali strumenti dispongo? Chi c’è intorno a me? In che ambiente mi muovo?
Se ho chiare queste coordinate sono in grado di orientarmi in un percorso di studi, poso investire in una formazione specifica, sviluppare un progetto personale, fare un passo verso un nuovo impiego o prendermi cura dello sviluppo sostenibile dell’ambiente in cui vivo.
Le sfere successive sono i beni che possediamo (2), le relazioni (3), le organizzazioni (4), le infrastrutture (5), la cultura (6) e infine le tendenze del periodo in cui viviamo (7). Ovviamente micro sistemi personali e i macro sistemi sociali si influenzano reciprocamente.
Il Personal Ecosystem Canvas (PEC) è lo strumento che permette a chiunque, grazie al modello intuitivo delle sfere concentriche, di cominciare un percorso di riflessione sullo sviluppo e la costruzione del proprio ecosistema personale, per allinearlo, ad esempio, nelle sue dimensioni, sociale e lavorativa. Aiuta a comprendere come ognuno si rappresenta e come vorrebbe essere in futuro. Questa comprensione è cruciale, poiché la consapevolezza che abbiamo di noi stessi influenza la nostra capacità di agire e di prendere decisioni responsabili per noi stessi e per gli altri. Tutti gli elementi – aspetti interni (mente e corpo) e aspetti esterni (beni, relazioni, organizzazione, infrastrutture, cultura, tendenze globali), che presentano a loro volta una molteplicità di sottocategorie – vengono analizzati in dettaglio tramite la compilazione guidata di un questionario e la visualizzazione dei risultati in tempo reale, per “fotografare” la situazione attuale di ciascuno e la proiezione a breve termine. La persona è guidata poi a riunire i tasselli dell’analisi tramite pitch strutturati.
Nei corsi di formazione organizzati con la Fondazione Mondo Digitale, quando abbiamo al massimo quattro o cinque ore di tempo, si fa un classico esercizio per fare emergere rapidamente i propri punti di forza e di debolezza. Si chiama “elevator pitch”, il discorso dell’ascensore: entri in un ascensore con una persona importantissima per te e hai pochi minuti di tempo per convincerla a darti retta e aiutarti.
Al primo accesso sulla web app occorre creare un profilo personale con il proprio indirizzo di posta elettronica e una password a scelta. Per facilitarne l’uso il compito di auto valutazione è suddiviso in due parti: chi sono oggi e come vorrei essere in futuro. La web app può essere usata come strumento di sviluppo personale o collettivo (una squadra di lavoro, una classe ecc.). Nella scrittura delle presentazioni (pitch), ognuno può scegliere il livello di profondità con il quale desidera raccontarsi ad altre persone in un gruppo o in una sessione di consulenza.
La natura olistica del PEC ne consente l’applicazione in diversi contesti (scolastico, universitario, aziendale), per accrescere la consapevolezza della complessità e la propensione dinamica al cambiamento di singoli, gruppi e organizzazioni. Il PEC si rivela efficace per la formazione su team building, leadership, orientamento educativo e professionale, auto imprenditorialità. Dopo la prima compilazione guidata, in una sessione formativa con un esperto, può essere compilato tutte le volte che si ha bisogno di fare il punto della situazione. Stiamo mettendo a punto diverse versioni del Personal Ecosystem Canvas, con vari livelli di complessità per un uso più funzionale in contesti formativi scolastici o professionali. Siamo convinti che possa essere uno strumento molto utile non solo per i più giovani, ma anche per i lavoratori e i cittadini in genere. E che, se usato in modo sistematico, possa aiutare ad accelerare il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, perché, secondo l’ultimo rapporto Asvis, ancora siamo “a metà strada”, anche se “la meta è ormai in vista” (Asvis, 2023).
Immagine di sé, autoimprenditorialità e agentività
In ambito educativo, quando parliamo di autoimprenditorialità, è ormai chiaro che non parliamo della capacità di fare impresa, di diventare imprenditori. Nella definizione del Miur “La competenza imprenditoriale si riferisce alla capacità di agire sulla base di idee e opportunità e di trasformarle in valori per gli altri. Si fonda sulla creatività, sul pensiero critico e sulla risoluzione di problemi, sull’iniziativa e sulla perseveranza, nonché sulla capacità di lavorare in modalità collaborativa al fine di programmare e gestire progetti che hanno un valore culturale, sociale o finanziario”. Il riferimento del Sillabo per l’educazione all’imprenditorialità è il modello concettuale europeo EntreComp Framework, che si basa su tre aree e 15 competenze.
La nostra definizione dell’autoimprenditorialità è diventare imprenditori di sé stessi nel viaggio verso la piena realizzazione della vita nel XXI secolo. Crediamo che oggi sia questo il compito dell’educazione: contribuire ad attrezzare i giovani, le persone, a diventare imprenditori di se stesse, capaci di creare percorsi il cui prodotto, obiettivo, è la realizzazione di ognuno. Questo significa aiutare le persone a sviluppare la capacità di disegnare, costruire, alimentare e ricostruire costantemente, ecosistemi personali che portino alla realizzazione della loro vita, in interazione e collaborazione con gli altri e nell’esercizio di una cittadinanza responsabile.
Possiamo dire che l’autoimprenditorialità è una specie di prerequisito, significa avere una visione chiara di sé da cui partire senza aspettare che ce la diano gli altri, è la capacità di fare il punto su sé stessi in modo organizzato, mettersi al centro del proprio mondo e cominciare a tracciare intorno a sé una serie di cerchi sempre più ampi fino a disegnare una mappa chiara che risponda alle domande di partenza: chi sono e cosa so fare? Di quali strumenti dispongo? Chi c’è intorno a me? In che ambiente mi muovo?
L’obiettivo di una vera educazione alla sostenibilità olistica è quindi anche la convergenza di tre ecosistemi: personale, progettuale e di servizio. Se in riusciamo a mettere in campo un esercizio sistematico sulle diverse competenze, compresa l’autoimprenditorialità, acceleriamo il percorso di maturazione di una “consapevolezza globale” e della capacità di agire per il bene comune.
Conclusioni
Per essere capaci di affrontare un numero sempre maggiore di “problemi spinosi” dobbiamo spostarci progressivamente da un mero approccio olistico alla sostenibilità al concetto di sostenibilità olistica, che ne integra tutte le dimensioni, personale e collettiva, interna ed esterna, a partire dallo sviluppo di competenze personali orientate all’azione. E dobbiamo tenere presente che non saremo capaci di costruire società più sostenibili se non attraverso la scuola e un’educazione per la vita, capace di coniugare conoscenze, competenze, valori, pensiero sistemico, alfabetizzazione al futuro, capacità di azione.
Per completare questo cambiamento di prospettiva quindi occorre:
- investire più risorse nella scienza della sostenibilità olistica per generare un cambiamento personale, sociale, economico e ambientale a livello profondo e globale
- contaminare più profondamente la scienza della sostenibilità con le sfide della grande accelerazione tecnologica, a cominciare dall’impatto della trasformazione digitale
- integrare il quadro europeo delle competenze con il passaggio da GreenComp a HoliComp, come competenza per la sostenibilità olistica che ci rende capaci di agire per il benessere personale, collettivo e lo sviluppo sostenibile
- integrare la competenza per la sostenibilità olistica in tutti i livelli dei sistemi di istruzione e formazione, con attenzione anche all’educazione non formale
- costruire percorsi formativi e di orientamento, soprattutto per le nuove generazioni, che integrino le dimensioni ESG in compiti di realtà e/o di servizio (service learning).
Bibliografia
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