la riflessione

Dal consumo alla predizione: l’uomo non affidi alle macchine i valori del futuro

L’Intelligenza Artificiale è il modo per analizzare il presente come mai si è potuto fare nella storia, ora sta all’uomo utilizzarlo per fermare e poi invertire lo squilibrio planetario che ha creato e progettare il futuro

Pubblicato il 13 Dic 2022

Valter Fraccaro

Presidente della Fondazione SAIHUB

intelligenza artificiale ai act

Gli automi, apparati più o meno semplici generati dalla creatività umana, non hanno alcuna concezione del proprio destino: non temono il tempo perché non lo percepiscono, né provano alcun timore dell’essere spenti o di venire distrutti. Sono semplicemente insensibili al futuro.

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Gli uomini e il futuro

Al contrario dell’uomo: che si tratti di prevedere la posizione delle stelle o cosa si mangerà a pranzo, gli umani hanno infatti, da sempre, destinato gran parte della propria attività intellettiva alla previsione del futuro.

Sembra quasi che nessun pensiero possa sorgere se non legato a qualcosa che ancora non è accaduto, tanto che persino i ricordi vengono estratti dalla memoria per poterli comparare con l’oggi e fornire una qualche indicazione su ciò che capiterà tra poco o tanto tempo.

La percezione continua dell’instabilità della condizione umana è alla radice di ogni religione, modello filosofico, ideologia. Da solo o insieme ad altri, ognuno elabora nella mente ipotesi che hanno a che fare con il seguito della propria vita e perfino oltre.

Se il primo uomo che raccolse un bastone da terra per potersi aiutare nel camminare potremmo immaginarlo come il primo consumatore umano e simultaneamente il primo inventore, viene da chiedersi dove stesse andando. È assai probabile che avesse un obiettivo, magari un posto preciso oppure semplicemente di salvarsi da un pericolo che lo stava inseguendo. In qualsiasi caso, il suo agire era condizionato dal futuro che si prefigurava e in cui, possiamo esserne certi, non si immaginava solo ma quale parte di una comunità.

Era un consumatore, un inventore, un innovatore che cercava di predire il proprio futuro e realizzarlo con altri, ben sapendo che la sua vita sarebbe altrimenti stata breve nel dover, acciaccato e solo, continuare il suo viaggio o la sua fuga.

Aveva insomma, quell’essere immaginario, tutte le caratteristiche che fanno di un essere umano un animale con caratteristiche specifiche che lo differenziano dagli altri.

Nel salvaguardare il suo corpo, egli percepiva la possibilità di affrontare il dolore, la vecchiaia, la malattia e la morte.

Trascorsi centinaia di millenni, ancora nessuna di queste idee o sensazioni l’uomo è riuscito a trasferire in forma di conoscenza ad altre specie animate né tantomeno alle macchine.

Gli automi e il futuro

Gli automi sono il risultato della lotta dell’uomo per salvaguardare il proprio corpo e realizzare desideri, concepiti per sostituirlo nella fatica del realizzare o per raggiungere risultati che i suoi limiti fisici non potrebbero ottenere.

L’avanzamento di scienza e tecnologia, che potremmo chiamare per comodità “innovazione”, è quel fenomeno tipicamente umano tramite cui si cerca una sempre maggior conoscenza delle regole che governano l’universo e la si utilizza per trasferire progressivamente alle macchine tutte quelle mansioni, in particolare quelle gravose, che le successive generazioni definiranno “disumane” e di cui nessuno intenderà mai più occuparsi, se non in casi specifici e limitati.

Partendo da questo punto di vista, si può ben capire come l’innovazione digitale contemporanea non è che la naturale prosecuzione di una attività che il nostro genere ha cominciato quando ha raccolto da terra quel primo bastone, lanciato il primo sasso, acceso il primo fuoco, iniziato a cucinare.

Ognuna di quelle azioni ha condizionato il futuro della specie e si è trasmessa per via culturale, non genetica. Lo stare con gli altri, il parlare con loro, il dedicarsi all’istruzione della prole propria e altrui sono altrettante forme di consumo, prodromo di nuove conoscenze, tecnologie e altri consumi.

Quando gli antichi greci immaginarono la Sfinge, terribile mostro in grado di parlare e porre quesiti, ne caratterizzarono l’apparenza dando aspetto femmineo al suo viso e monili alla sua bellezza: le sue parole esprimevano il suo essere senziente, l’indossare gioielli ne esplicitavano l’essere soggetto umano, dunque consumatore di prodotti tecnologicamente realizzati.

Il mito di Edipo e i nessi col presente

Era sola, la Sfinge, per quello poteva essere distrutta in un solo attimo dalla risposta di Edipo alla sua domanda su quale fosse l’essere che camminava prima con quattro, poi con due e infine con tre gambe. “L’uomo”, rispose il figlio di Laio e Giocasta, ponendo fine al controllo che la Sfinge aveva sulla città di Tebe e spiegando nella maniera più breve ciò che distingueva l’uomo stesso da ogni altro animale sulla Terra: il bastone con cui si reggeva nella sua tarda età, tecnologia sconosciuta a tutte le altre specie.

Tutta la storia mitologica di Edipo, giova ricordarlo, gira intorno ad una serie di predizioni degli oracoli che, una volta espresse, condizioneranno il comportamento dei diversi personaggi, conducendoli verso una sequenza di errori che causeranno tragedie man mano più rilevanti ed estese, tanto da portare all’indebolimento della stessa Tebe, evento massimamente terribile in una cultura di cui il destino della “polis” era elemento dominante.

Riguardando a quel ciclo di racconti che si concentrano su progenitori e figli di Edipo, non è faticoso ritrovare nessi con il presente: anche l’enorme “polis” costituita dal nostro mondo così fortemente antropocentrico vive una condizione dai caratteri contraddittori. La Terra è abitata da tanti umani quanti mai prima; la loro speranza di vita (cioè il tempo medio che ad ogni nascituro si prospetta di poter vivere) è in continua crescita; grazie a continui progressi in medicina, farmaceutica, trasformazione alimentare e logistica, il numero di esseri umani che muoiono prima di compiere 5 anni è sceso di ben oltre il 50% in soli 30 anni; le persone costrette a vivere con un reddito attualizzato inferiore ai 100$ al mese sono passate dall’essere quasi un terzo della popolazione mondiale a meno del 9%: tutti risultati oltremodo positivi, se guardati come manifestazioni del successo della specie Homo Sapiens.

L’impronta negativa dell’uomo sul Pianeta

Insieme a questi dati, ve ne sono però altri di segno opposto: oltre un terzo delle aree boschive che coprivano il Pianeta cinquanta anni fa sono state distrutte e, nello stesso periodo, l’anidride carbonica (indicatore dell’inquinamento dell’aria e tra le cause del mutamento climatico) è più che raddoppiata.

Insomma, arrivati al massimo successo come specie, gli umani si trovano a dover affrontare una situazione che ne minaccia le prossime generazioni e di cui sanno essere la causa.

Tralasciando gli incerti presagi che sono utilizzati da taluni per creare paura e da altri per negare le responsabilità umane, le soluzioni devono essere attivate sin da ora, tanto più che i loro effetti si misureranno tra decenni e, dunque, è richiesta alle generazioni presenti e a quelle immediatamente successive di non demordere, pur se nel corso delle loro vite i segnali di cambiamento potranno apparire molto limitati e persino contrastanti, prima di manifestarsi definitivamente positivi.

Le tecnologie

Come gli antichi osservavano il moto delle stelle prendendone nota per secoli fino a poter prevedere eclissi e quadri astrali, così sarà il lavoro dei futuri, pur con l’enorme vantaggio di aver strumenti e dati mai prima disponibili.

Volendo sintetizzare il percorso intrapreso dall’umanità attraverso l’Agenda 2030 dell’ONU e i suoi 17 macro-obiettivi attraverso il nome del suo fine ultimo, la “Sostenibilità”, appare chiaro che essa richiederà l’apporto delle tecnologie già presenti e di quelle che ne deriveranno come migliorie o superamento.

Ciò che l’uomo possiede oggi e mai aveva avuto sino a pochissimi anni fa è una smisurata e dettagliata immagine del comportamento suo, delle macchine, dell’economia e dei fattori ambientali: si tratta dell’immenso cumulo di dati che negli ultimi vent’anni sono stati registrati attraverso ogni sorta di attività digitale. Ogni volta che qualcuno ha utilizzato un computer o che le macchine si sono scambiate segnali, la Grande Registrazione ha aumentato il suo contenuto informativo, seppur rendendolo sempre più difficile da cogliere proprio per la sua smisurata e crescente grandezza.

È assolutamente impossibile interpretare quella massa di dati attraverso la sola azione del cervello umano, anche nel caso in cui tale compito sia assunto da uno sterminato numero di persone, ed è proprio qui che la specie si avvale di un nuovo strumento che, come bastone e pietra, ne estende i poteri: la cosiddetta “Intelligenza Artificiale”.

Sono e saranno sempre più gli stessi computer a provvedere all’esegesi della Grande Registrazione, ora che l’uomo ha trasferito ad essi una facoltà tipica della mente: la capacità di accumulare esperienza e imparare da quella. I meccanismi che presiedono larga parte delle abilità di analisi delle macchine di calcolo digitali si concentrano infatti proprio sulla funzione di memorizzare le caratteristiche di migliaia o milioni di casi e, da quelli, identificare ciò che vi è di comune e ripetitivo (i cosiddetti “pattern”). A partire da questo confronto, si avviano ulteriori processi man mano in grado di trasformare i dati in informazioni e, infine, comporre descrizioni da cui ricavare risultati probabilistici alle domande poste.

Raffinato questo sistema analitico, i ricercatori sono riusciti a introdurre nelle metodologie degli elaboratori ciò che si potrebbe chiamare l’imitazione digitale di un comportamento della natura che l’uomo aveva identificato appena duecento anni fa, l’evoluzione biologica delle specie. In questo modo, la macchina può adattare autonomamente i propri comportamenti di esame dei dati al fine di migliorare continuamente precisione ed efficienza degli output forniti all’umano.

Conclusioni

Lo strumento che convenzionalmente si chiama “Intelligenza Artificiale” è, dunque, il risultato odierno di un processo di estensione delle proprie facoltà extra-corporee che l’umanità porta avanti da milioni di anni, da quando il genere Homo era ben distante dall’attuale specie Sapiens.

In sintesi, quella specie, la nostra, è giunta al suo massimo fulgore planetario attraverso metodi che hanno richiesto una quantità di energia tale da compromettere l’equilibrio naturale dell’astro su cui vive e ora deve salvaguardare quel risultato prima fermando e poi invertendo il senso di quel processo distruttivo. Ha i mezzi per farlo e disporrà presto di altri e più potenti, ma dovrà predisporre un progetto complessivo, prevedere un futuro che si baserà sulle scelte di oggi, basate su valori etici sostanzialmente condivisi dall’intera umanità, evitando la tentazione di affidare alle macchine responsabilità solo ed esclusivamente umane.

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