Gli studi

Fake news e bullshit su coronavirus: come farsi gli anticorpi

La infodemia scoppiata insieme al Coronavirus richiama l’attenzione sul tema delle fake news e sulle bullshit, un nemico della verità più pericoloso delle menzogne. Vediamo in che modo gli studiosi ne hanno misurato la ricettività e come si possono coltivare gli “anticorpi mentali” contro la disinformazione

Pubblicato il 05 Mar 2020

Francesca Michetti

PHD in Business and Behavioral Science - 'G.D'Annunzio' University; Master Degree in Law - LUISS Guido Carli University

bullshit

Nella società “post-fattuale” (Manjoo, 2008)[1] o ‘post-verità’ (Keyes, 2004)[2] la disinformazione, si sa, corre veloce. Ancor di più in tempi di crisi globale, come quella provocata dal coronavirus.

In principio era il verbo, poi vennero le fake news.

Nelle ultime settimane è allarme ‘infodemia‘, lo afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ossia «una sovrabbondanza di informazioni – alcune precise e altre no – che rende difficile per le persone individuare fonti affidabili».[3] Una epidemia di informazioni, dunque, che si accompagna all’emergenza sanitaria globale e che sta contagiando (anche) la comunicazione di massa, diffondendo allarmismi, contenuti falsi e teorie cospirative sull’origine del patogeno, oltre ai presunti rimedi fai-da-te che proliferano in rete.

Il che richiama l’attenzione sul tema delle fake news. E non solo.

Bullshit: cos’è e come riconoscerla

Nell’intricato ecosistema informativo odierno dimora anche un’altra ‘specie’ (a rischio, si spera): la bullshit.

«Un nemico della verità più pericoloso delle menzogne», secondo il filosofo Hanry Frankfurt che, nel suo saggio “On Bullshit“,[4] effettua un’accurata analisi concettuale del fenomeno, chiarendone i contorni e gli ambiti applicativi.

Il “bullshitting” è un modo di parlare insidioso, finalizzato ad impressionare il pubblico ma che è del tutto slegato dalla verità. Il che lo distingue dalla menzogna che comporta, invece, una deliberata manipolazione e sovversione della verità. Ironia della sorte, se il bugiardo, per ingannarci con successo, deve pensare di sapere cosa è vero per cercare di nasconderlo, il bullshitter agisce «senza alcun riguardo per come sono realmente le cose».[5] L’essenza delle bullshit, dunque, non attiene alla falsità, bensì alla finzione: possono essere vere, false, o prive di significato.[6]

Ed è proprio in questa mancanza di preoccupazione per la verità che si manifesta l’insidia maggiore: siamo generalmente più tolleranti nei confronti delle bullshit e, per di più, confidiamo nella nostra capacità di riconoscerle e respingerle. Eppure, i risultati empirici suggeriscono il contrario (Pennycook et al., 2015; Pennycook & Rand, 2018; Pfattheicher & Schindler, 2016)[7].

Quanto siamo ‘sensibili’ alle bullshit?

Se lo sono chiesti Pennycook et al. (2015)[8], i quali, in una prima indagine sul tema, hanno creato una scala per misurare la ricettività individuale alle bullshit, concentrandosi su una particolare categoria: le cosiddette bullshit “pseudo-profonde”.

Due gli elementi caratteristici: la vaghezza che oscura il significato profondo dell’affermazione e la preoccupazione per la “profondità“, a riprova del fatto che le bullshit aspirano ad impressionare più che ad informare il pubblico.

Come spiegare, dunque, questa generale “ricettività” alle bullshit pseudo-profonde?

In primo luogo, trattasi di un fattore di credulità generale. È stato dimostrato, infatti, che alcuni individui hanno una mente eccessivamente “aperta”, ragion per cui risultano più inclini a valutazioni di profondità relativamente elevate, anche per affermazioni del tutto banali, indipendentemente dal contenuto.[9]

In secondo luogo, le differenze individuali nel pensiero analitico giocano un ruolo altrettanto importante. I pensatori più analitici sono naturalmente più propensi a riflettere criticamente sulle bullshit pseudo-profonde assegnando, pertanto, valutazioni di profondità più basse. Per contro, gli individui più intuitivi, che reagiscono sulla base della prima impressione, confondono la vaghezza con la profondità e giungono, pertanto, a valutazioni di profondità più elevate. [10]

Nello specifico, Pennycook et al. (2015), hanno presentato ai partecipanti affermazioni apparentemente impressionanti, dotate altresì di una struttura sintattica appropriata, ma che consistevano in una raccolta casuale di vocaboli vaghi e privi di significato (ad esempio, “Siamo nel bel mezzo di una fioritura consapevole dell’essere che ci allineerà con il nesso stesso”). Poi, hanno chiesto loro di valutare la profondità di ogni affermazione su una scala da 1 (per niente profonda) a 5 (molto profonda).

Attraverso quattro studi, è stato dimostrato come gli individui differiscano nella loro tendenza ad attribuire profondità alle bullshit e, soprattutto, come una tale propensione individuale sia correlata a una vasta gamma di fattori psicologici. In particolare, si è scoperto che i più ricettivi alle bullshit presentavano uno stile cognitivo meno riflessivo (avendo ottenuto un punteggio più basso nel Test di Riflessione Cognitiva), oltre che minori capacità cognitive ed una maggiore tendenza a sostenere credenze “epistemicamente sospette” (religiose, cospiratorie e paranormali).

Bullshit e fake news a confronto

E veniamo alle fake news. Che cosa le accomuna alle bullshit? Indubbiamente la mancanza di preoccupazione e/o di rispetto per la verità.

Nel loro recente studio, Pennycook e Rand (2019)[11] hanno indagato il ruolo della bullshit receptivity nell’ambito delle fake news, dimostrando come la tendenza ad attribuire profondità a frasi astratte generate in modo casuale influisca sulla percezione dell’accuratezza delle fake news, nonché sulla capacità di distinguere tra notizie false e notizie reali (discernimento della verità mediatica).

In altre parole, gli individui che cadono preda delle notizie false sono anche i più ricettivi alle bullshit pseudo-profonde.

In proposito, è interessante notare come la presenza/assenza della fonte della notizia e la precedente familiarità con il titolo non abbiano prodotto alcun effetto sull’accuratezza percepita delle notizie.

Al contrario, gli individui che rivendicano eccessivamente il proprio livello di conoscenza – che hanno, cioè, la tendenza ad indicare la propria conoscenza pregressa di nomi ed eventi storici e di argomenti scientifici – (Paulhus et al., 2003)[12] giudicano le notizie false come più accurate.

La teoria dell’inoculazione

Indubbiamente, la creazione di un indice di ricettività alle bullshit si rivela un primo passo importante verso una migliore comprensione dei meccanismi cognitivi sottostanti che determinano se e quando le bullshit vengono rilevate e, soprattutto, quanto questo influisca sull’adescamento dalle fake news.

Vi è chi[13], poi, ha suggerito un vero e proprio «vaccino contro la disinformazione» per prevenire un contagio informativo, prima ancora che biologico.

In aggiunta ai ben noti strumenti di debunking e fast-checking, alcuni ricercatori hanno proposto l’utilizzo di mezzi preventivi per mitigare il problema, estendendo la teoria dell’inoculazione nel contesto delle fake news.

Originariamente sperimentata da McGuire nel corso degli anni Sessanta (McGuire e Papageorgis, 1961, 1962; McGuire, 1964)[14], la teoria dell’inoculazione si basa sulla metafora dell’immunizzazione biologica: così come l’inoculazione di una dose indebolita di un virus può innescare anticorpi nel sistema immunitario per conferire resistenza ad infezioni future, allo stesso modo si possono coltivare gli “anticorpi mentali” contro la disinformazione. Come? Esponendo preliminarmente le persone a una versione indebolita di un argomento fuorviante e rifiutando preventivamente questo stesso argomento, si può sviluppare una resistenza attitudinale contro futuri tentativi di inganno.

Una possibile cura all’epidemia informativa cui stiamo assistendo negli ultimi giorni, che ci ricorda come l’azione di contrasto al virus debba investire anche – e soprattutto, forse – la sfera dell’informazione e della comunicazione.

__________________________________________________________________

  1. Manjoo, F. (2008). True enough: Learning to live in a post-fact society. Hoboken, NJ: John Wiley & Sons.
  2. Keyes, R. (2004). The post-truth era: Dishonesty and deception in contemporary life. New York: St. Martin’s.
  3. Rapporto OMS, 2 febbraio 2020, «L’epidemia del 2019-nCoV è stata accompagnata da una massiccia infodemia, una sovrabbondanza di informazioni — alcune accurate e altre no — che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno». Available at https://www.who.int/docs/default-source/coronaviruse/situation-reports/20200202-sitrep-13-ncov-v3.pdf
  4. Frankfurt H. (2005). On bullshit. Princeton: Princeton University Press, p. 61.
  5. Frankfurt H. (2005). Op. Cit., p. 30.
  6. Frankfurt H. (2005). Op. Cit., p. 47.
  7. Pennycook G, Cheyne JA, Barr N, Koehler DJ, Fugelsang JA. On the reception and detection of pseudo-profound bullshit. Judgment and Decision making 2015; 10: 549-563. Pennycook G, Rand DG. Who falls for fake news? The roles of bullshit receptivity, overclaiming, familiarity, and analytic thinking. Journal of Personality 2019; 00: 1-16.Pfattheicher S, Schindler S. Misperceiving Bullshit as Profound Is Associated with Favorable Views of Cruz, Rubio, Trump and Conservatism. Plos One 2016; 11: 1-7.
  8. Pennycook G, Cheyne JA, Barr N, Koehler DJ, Fugelsang JA. On the reception and detection of pseudo-profound bullshit. Op Cit. supra note 7.
  9. Pennycook G, Cheyne JA, Barr N, Koehler DJ, Fugelsang JA. On the reception and detection of pseudo-profound bullshit. Op Cit. supra note 7.
  10. Pennycook G, Cheyne JA, Barr N, Koehler DJ, Fugelsang JA. On the reception and detection of pseudo-profound bullshit. Op Cit. supra note 7.
  11. Pennycook G, Rand DG. Who falls for fake news? The roles of bullshit receptivity, overclaiming, familiarity, and analytic thinking, supra note 7.
  12. Paulhus D L, Harms P D, Bruce M N, Lysy D C. (2003). The over‐claiming technique: Measuring self‐enhancement independent of ability. Journal of Personality and Social Psychology 2003; 84: 890– 904.
  13. Roozenbeek J, Van Der Linden S. Fake news game confers psychological resistance against online misinformation. Palgrave Communications 2019; 5: 1-10.
  14. McGuire WJ, Papageorgis D. Resistance to persuasion conferred by active and passive prior refutation of the same and alternative counterarguments. Journal of Abnormal & Social Psychology 1961; 63:326–332. McGuire WJ, Papageorgis D. Effectiveness of forewarning in developing resistance to persuasion. Public Opinion Quarterly 1962; 26(1):24–34. McGuire WJ. Inducing resistance against persuasion: some contemporary approaches. Advances in Experimentak Social Psychology 1964; 1:191–229.

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